Oltre 20 anni per un diverso alloggio popolare, non sussiste responsabilità del Comune che abbia condizionato il cambio all'effettiva disponibilità

Non sussiste responsabilità per il ritardo in capo all'amministrazione comunale che abbia autorizzato un cambio di alloggio di edilizia residenziale pubblica in altro alloggio allo stato indisponibile e resosi disponibile solo dopo 20 anni, avendo peraltro concesso la disponibilità di un terzo alloggio.

Così la Terza Sezione della Cassazione Civile, nell'ordinanza numero 14723/18 del 7 giugno 2018. Il caso. Sia il Tribunale che la Corte d'Appello avevano rigettato la domanda di risarcimento avanzata nei confronti del Comune da un assegnatario di alloggio di edilizia popolare che, fatta richiesta di altro alloggio per esigenze abitative, si era visto effettivamente assegnare altro alloggio, poi di fatto risultato indisponibile per oltre 20 anni. Nel frattempo, peraltro, il Comune aveva fornito la disponibilità di un terzo alloggio, pur conservando in capo all'assegnatario la custodia dell'alloggio originariamente assegnato. Tale alloggio era stato oggetto di ripetuti tentativi di terzi di occupare indebitamente tale immobile. La Corte Territoriale in particolare aveva rilevato a che le condotte illecite dei terzi andavano qualificate come mere molestie di fatto, non addebitabili in alcun modo al Comune b che nemmeno poteva configurarsi alcuna responsabilità in capo al Comune per aver rilasciato ai predetti terzi la residenza nell'immobile occupato abusivamente, dal momento che l'iscrizione della residenza non costituisce in alcun modo titolo legittimo di detenzione dell'alloggio c che non era configurabile alcuna responsabilità in capo al Comune per la mancata consegna del nuovo alloggio, giacché il provvedimento dell'assessore era una mera autorizzazione ad effettuare in futuro il cambio di alloggio in un immobile dichiarato al momento indisponibile, tanto è vero che nel medesimo provvedimento si era provveduto a concedere provvisoriamente la disponibilità di un terzo alloggio d che non erano stati allegati i danni derivanti dalla indisponibilità dell'alloggio, ma soltanto i maggiori oneri sopportati per difendersi dalla occupazione abusiva del primo alloggio assegnato. La vicenda è stata dunque portata all'attenzione della Corte di Cassazione. Quella del Comune non era una assegnazione, ma semmai una “promessa”. Anche la Suprema Corte ha respinto la richiesta risarcitoria, riconoscendo corretto l'operato della Corte d'Appello. In particolare, non è stata accolta la tesi del ricorrente secondo cui il provvedimento assessoriale doveva intendersi come nuova assegnazione, laddove invece correttamente il giudice di secondo grado ha ritenuto che “avesse piuttosto inteso subordinare la mobilità da un alloggio all'altro alla condizione della liberazione dell'immobile sito in via ”. In pratica, mentre restava il ricorrente rimaneva per il momento assegnatario del “vecchio” alloggio, veniva autorizzato in un futuro non definito, ovvero quando si fosse reso disponibile, a effettuare il cambio di alloggio al contempo, al fine di soddisfare comunque in via provvisoria le esigenze abitative, veniva consentito il trasferimento in altro alloggio, libero. Oltretutto, affermano gli Ermellini, il ricorrente risulta non aver fornito alcuna indicazione in merito a fatti imputabili a colpa del comune che avrebbero impedito oppure ostacolato il verificarsi dell'evento-disponibilità del nuovo alloggio. L'iscrizione di residenza non equivale a legittimare l'occupazione senza titolo. La Terza Sezione ha confermato al correttezza della sentenza di secondo grado anche relativamente alla residenza rilasciata dal Comune ai terzi occupanti illegittimamente l'alloggio assegnato come primo al ricorrente. Infatti, come si legge nella sentenza in commento, «la certificazione anagrafica non attribuiva alcun titolo di legittimazione al godimento dell'alloggio». Da ultimo, la domanda è risultata carente anche dal punto di vista della quantificazione, non essendo stato specificato come il disagio psichico, richiesto quale danno non patrimoniale, si sarebbe manifestato, se sotto il profilo del danno alla salute ovvero come mero fastidio tollerabile e in quanto tale irrisarcibile, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite numero 26972/2008 .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 7 novembre 2017 – 7 giugno 2018, numero 14723 Presidente Chiarini – Relatore Olivieri Fatti di causa La Corte d’appello di Roma con sentenza 20.4.2015 numero 2444, confermando la decisione di prime cure, ha rigettato la domanda di risarcimento danno per illecito contrattuale ed extracontrattuale proposta da A.A. nei confronti del Comune di Roma per l’inadempimento della obbligazione di consegna dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica sito in omissis , ritenuto maggiormente adeguato alle esigenze del nucleo familiare, che era stato assegnato fin dal 1990 ma era risultato indisponibile per oltre venti anni, con la conseguenza che era dovuto andare ad abitare in altro alloggio in omissis , fornitogli dall’ente pubblico provvisoriamente, essendo stato costretto a mantenere comunque la custodia del precedente alloggio ERP in via che gli era stato originariamente assegnato, ed avendo dovuto ripetutamente contrastare i tentativi di occupazione di tale immobile da parte di terzi. Il Giudice di appello rilevava che a le condotte illecite dei terzi venivano a qualificarsi come molestie di fatto, essendo stata accertata all’esito dei giudizi intentati contro i terzi la occupazione sine titulo dell’alloggio in via , insussistendo pertanto un inadempimento del Comune, giusta l’articolo 1585 c.c. né era ravvisabile un concorso colposo dell’ente locale per avere consentito la permanenza nell’alloggio dell’occupante abusivo, in quanto l’ente locale si era subito attivato presentando querela per il reato di invasione dell’immobile in proprietà pubblica, e neppure configurandosi una condotta illecita nel fatto che il terzo aveva ottenuto la iscrizione della residenza anagrafica nell’immobile abusivamente occupato, non attribuendo il relativo certificato alcun titolo legittimo alla detenzione dell’alloggio b l’inadempimento relativo alla mancata consegna del nuovo alloggio in via , non poteva qualificarsi tale, in quanto la nota dell’Ufficio speciale casa a firma dell’Assessore non integrava ex se il provvedimento di assegnazione dell’alloggio, di competenza di altra autorità amministrativa, trattandosi invece di mera autorizzazione ad effettuare in futuro il cambio di alloggio in immobile dichiarato allo stato indisponibile, e ad accedere provvisoriamente in altro alloggio disponibile in via omissis c in ogni caso l’A. non aveva allegato danni derivanti dalla indisponibilità dell’alloggio, ma soltanto i maggiori oneri che aveva dovuto sopportare per difendersi dalla occupazione abusiva dell’unico immobile tuttora ritualmente assegnatogli. La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione, con due motivi, dall’A. che beneficia del gratuito patrocinio giusta delibera 5.11.2015 di ammissione in via anticipata del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Resiste con controricorso Roma Capitale. Ragioni della decisione Il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata. Il primo motivo violazione degli articolo 115, 214 e 215 c.p.c. è inammissibile. La carenza del requisito di specificità richiesto dall’articolo 366 co1 numero 4 c.p.c. impedisce l’accesso del motivo al sindacato di legittimità, atteso che non viene fornito alcun riscontro della univoca condotta non contestativa tenuta dal Comune avente ad oggetto la formale assegnazione all’A. del nuovo alloggio in via numero 11 non venendo neppure trascritti i passi salienti della comparsa di risposta in primo grado dell’ente locale . Inoltre la censura si palesa del tutto inconferente con la ratio decidendi si contesta, infatti, che la Corte territoriale non avrebbe considerato che il provvedimento datato 7.12.1990 ed a firma dell’Assessore comunale, doveva ritenersi legalmente riconosciuto, ai sensi dell’articolo 215, comma 1, numero 2 c.p.c., per mancato disconoscimento alla prima udienza ai sensi dell’articolo 214, comma 1, c.p.c., mentre, nella specie, non viene affatto in questione la riferibilità o meno del provvedimento assessoriale all’ente locale, quanto piuttosto la rilevazione ed interpretazione del contenuto di tale atto, ossia della effettiva volontà espressa dall’ente locale, che la Corte territoriale ha inteso individuare nella autorizzazione ad accedere in via provvisoria in altro alloggio più idoneo via omissis resosi disponibile, in attesa del provvedimento di sostituzione della assegnazione dell’alloggio di via con quello in via , essendo quest’ultimo ancora non disponibile per motivi amministrativi. Il Giudice di appello ha, quindi, ritenuto che l’ente locale -con l’atto assessoriale non avesse disposto una nuova assegnazione, ma avesse piuttosto inteso subordinare la mobilità da un alloggio all’altro -e dunque la emissione del relativo provvedimento di sostituzione dell’alloggio in favore dell’assegnatario dell’A. alla condizione della liberazione dell’immobile sito in via . In sostanza l’A. rimaneva a tutti gli effetti assegnatario dell’alloggio in via , dallo stesso originariamente occupato, ma veniva autorizzato ad effettuare il cambio di alloggio in via omissis se e quando tale immobile si fosse reso disponibile, mentre -per soddisfare temporaneamente alle esigenze manifestate dall’assegnatario si consentiva in via transitoria la occupazione di altro alloggio, in via omissis , che risultava attualmente libero. Su tale aspetto avrebbe dovuto, pertanto, incentrarsi la critica mossa alla sentenza impugnata per violazione dei criteri legali ermeneutici applicabili anche agli atti amministrativi , ovvero per errore di fatto nel caso in cui la Corte territoriale avesse omesso di valutare uno o più elementi circostanziali, determinanti, nella ricostruzione della effettiva volontà negoziale espressa dal Comune con il provvedimento sottoscritto dall’Assessore, e tali da dimostrare che si era definitivamente provveduto a sostituire l’assegnazione dell’alloggio ERP -cui doveva seguire la immediata esecuzione della consegna del nuovo immobile con la contestuale revoca della precedente assegnazione dell’alloggio sito in via dovendo rilevarsi, al riguardo, come risulti indimostrata, e neppure allegata dal ricorrente, la intervenuta revoca della precedente assegnazione o la richiesta da parte del Comune del rilascio dell’immobile in via , con conseguente estinzione del diritto di godimento relativo a tale alloggio . Il secondo motivo violazione ed erronea applicazione dell’articolo 112 c.c., nonché degli articolo 1218, 1223, 2043 e 2697 c.c. violazione dell’articolo 1585 c.c. è in parte inammissibile ed in parte infondato. Relativamente alla violazione dell’articolo 1585 c.c. il ricorrente si limita a reiterare gli stessi argomenti posti a base dell’atto introduttivo del giudizio, sui quali entrambi i Giudici di merito hanno risposto in modo adeguato, escludendo che la iscrizione della residenza anagrafica del terzo nell’alloggio abusivamente occupato, trasforma la molestia di fatto in molestia di diritto, atteso che la certificazione anagrafica non attribuiva alcun titolo di legittimazione al godimento dell’alloggio, come provato dai ripetuti provvedimenti di condanna del terzo al rilascio dell’immobile in via in favore del legittimo assegnatario A. . La mancata attivazione del Comune per l’adozione dei provvedimenti di sgombero, è stata egualmente valutata dalla Corte territoriale, laddove la applicazione dell’articolo 1585, comma 2, c.c. presuppone che la detenzione dell’immobile sia stata attribuita in base ad un titolo idoneo al soggetto che esercita il godimento, il quale pertanto è legittimato in via esclusiva ad agire in giudizio per opporsi alle turbative di fatto arrecate dai terzi al libero godimento dell’immobile. Tale argomento in diritto non viene inficiato dalla censura in esame, limitandosi il ricorrente al richiamo delle norme che attribuiscono al presidente IACP attuale ATER la competenza ad emettere il decreto, avente efficacia di titolo esecutivo, per il rilascio degli alloggi di edilizia residenziale pubblica occupati senza titolo articolo 18 comma 1, Dpr 30 dicembre 1972 numero 1035 , richiamo che si palesa inidoneo a fondare una responsabilità da illecita condotta omissiva del Comune. Quanto alla contestata, prolungata, inerzia del Comune nell’attuazione del cambio di alloggio, cui aveva acconsentito con il provvedimento emesso nel 1990, configurata ex se come ingiusta dal ricorrente e sulla quale il primo Giudice aveva omesso di pronunciare, la Corte d’appello ha ritenuto infondata la pretesa per mancata allegazione di danni patrimoniali o morali che fossero diretta conseguenza della mancata disponibilità dell’immobile. Il ricorrente censura la statuizione sostenendo che, fin dall’atto di citazione che trascrive in parte e poi con l’atto di appello, aveva contestato l’inadempimento del Comune ad una tempestiva consegna dell’alloggio e richiesto la liquidazione, anche con criterio equitativo, di tutti i danni subiti e subendi di qualsivoglia natura, compreso quello morale , aggiungendo che il ritardo aveva determinato un disagio psichico, andando ad intaccare interessi costituzionalmente garantiti. Osserva il Collegio che la censura è infondata. La descrizione dei fatti riportati nella citazione introduttiva -e reiterata nell’atto di appello risulta infatti carente, tanto in relazione alla individuazione della condotta materiale non jure e contra jus tenuta dall’ente locale, atteso che il provvedimento autorizzativo del cambio alloggio era ab origine sospensivamente condizionato al verificarsi dell’evento-disponibilità dell’immobile in via , ed alcuna indicazione ha fornito il ricorrente in ordine alla verifica della condizione predetta, ovvero a fatti imputabili a colpa del Comune che hanno impedito od ostacolato il verificarsi della condizione, quanto in relazione alla individuazione delle conseguenze pregiudizievoli derivate -secondo il nesso di causalità giuridica individuato dall’articolo 1223 c.c. dal colpevole ritardo dell’ente locale, avendo genericamente richiesto l’A. il risarcimento di tutti i danni, senza tuttavia indicarne la evidenza fenomenica tale da consentire a di verificare se trattasi di conseguenze immediate e dirette della condotta illecita contestata b di apprezzarne la entità lesiva nella sfera patrimoniale e non patrimoniale del danneggiato. Al proposito deve, infatti, rilevarsi che l’A. , il quale ha continuato per tutto il periodo ad essere assegnatario dell’alloggio in via , non è stato privato del godimento dell’alloggio -come invece nel caso dell’aspirante assegnatario impedito ad accedere all’alloggio per omessa ottemperanza del Comune all’annullamento della graduatoria dichiarata invalida dal TAR, oggetto del precedente Corte cass. Sez. 1, Sentenza numero 4539 del 22/02/2008 ma è stato invece autorizzato ad occupare temporaneamente, in attesa della sostituzione, un altro alloggio ERP non formalmente assegnatogli , che è stato effettivamente utilizzato dall’assegnatario al fine di soddisfare alle proprie esigenze abitative e della famiglia, sicché in assenza di ulteriori allegazioni il semplice richiamo operato dall’A. , negli atti difensivi, al precedente di legittimità sopra indicato, non è ex se sufficiente a ravvisare nella specie una lesione di interessi costituzionalmente protetti inerenti la persona, né risulta a tal fine significativa la deduzione di un disagio psichico quale voce di danno anche questa meramente desunta dal richiamato precedente giurisprudenziale non essendo stato neppure specificato nel ricorso in che modo tale disagio si sia manifestato e se debba o meno essere valutato sotto il profilo del danno alla salute, ovvero risulti invece relegabile nell’ambito del pregiudizio irrilevante mero fastidio della situazione precaria coincidente con quelle violazioni di minima entità di interessi pure di rango costituzionale che l’individuo è tenuto a sopportare in virtù del principio di solidarietà ex articolo 2 Cost., non trovando luogo il risarcimento del danno non patrimoniale quando l’offesa non superi una soglia minima di tollerabilità ed il danno sia futile, consistendo in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza numero 26972 del 11/11/2008 . In conclusione il ricorso deve essere rigettato. La natura della controversia consente di ravvisare giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità ex articolo 92 c.p.c. nel testo vigente ante modifiche introdotte dalla legge numero 263/2005, essendo iniziata la causa in primo grado con atto notificato in data 13.10.2003 . Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato delibera Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma in data 18.9.2015 , non si applica l’articolo 13, comma 1 quater, del Dpr 30 maggio 2002 numero 115. P.Q.M. rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato delibera Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma in data 18.9.2015 , non si applica l’articolo 13, comma 1 quater, del Dpr 30 maggio 2002 numero 115.