Ai fini dell’applicabilità del canone previsto dagli accordi locali in relazione ai contratti di locazione abitativa ad uso transitorio, la tipologia di immobile locato deve essere specificamente individuata in sede di stipulazione, che dovrà inoltre avvenire secondo precisi oneri formali.
Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 13058/18, depositata il 25 maggio. Il caso. La Corte d’Appello di Trento confermava la pronuncia di prime cure di rigetto della domanda di restituzione delle somme pagate oltre il dovuto da parte della conduttrice, in relazione ad un contratto di locazione urbana ad uso abitativo. La Corte territoriale negava inoltre la sussistenza di un grave inadempimento da parte della locatrice in riferimento alla dedotta rumorosità dell’immobile che la conduttrice invocava come sintomo di malafede. La conduttrice soccombente ricorre per la cassazione della pronuncia. Canone di locazione. In primo luogo, la Suprema Corte precisa che la fattispecie contrattuale in oggetto rientra in quella della locazione ad uso transitorio, tipico contratto di locazione abitativa utilizzato per esigenze temporanee non turistiche, in relazione ad esigenze ben individuate e dietro pagamento di un corrispettivo liberamente concordato tra le parti, ad eccezione di alcune aree urbane e metropolitane italiane dove il canone è fissato da accordi territoriali ad esempio Roma, Milano, Venezia, Genova, Bari e Palermo . La tipologia di immobile locato deve dunque essere specificamente individuata al fine di poter applicare il canone previsto dagli accordi locali e la stipula del contratto deve avvenire secondo precisi oneri formali che nel caso di specie non sono stati riscontrati. Sottraendosi così il contratto all’applicazione degli accordi locali, il canone è quello risultante dalla negoziazione delle parti non potendo essere invocata alcuna sua riduzione. Con la seconda censura, la conduttrice si duole per la mancata pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento della locatrice in relazione all’elevata rumorosità dell’immobile, circostanza «deliberatamente taciuta in sede di stipula con malafede». Non essendo però stato indicato dalla ricorrente l’atto e la fase processuale in cui era stato censurato tale profilo, la doglianza risulta inammissibile. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile l’intero ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 7 novembre 2017 – 25 maggio 2018, numero 13058 Presidente Chiarini – Relatore Armano Fatti del processo La Corte d’appello di Trento, in relazione ad un contratto di locazione ad uso transitorio di un immobile nel Comune di Trento, stipulato fra F.G. , locatrice, e B.L. , conduttrice, con sentenza del 19-5-2015 ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda della conduttrice volta ad ottenere la restituzione di somme pagate in più del dovuto. Propone ricorso la conduttrice B.L. . Resiste con controricorso la locatrice F.G. . Ragioni della decisione 1. La Corte di appello ha affermato che la legge sulle locazioni urbane ad uso abitativo non pone più delle limitazioni all’ammontare del canone, quindi non può certo un accordo a livello locale porre dei vincoli nella libera contrattazione. Ed invero l’accordo in oggetto risulta siglato solo da alcune associazioni sindacali e per altro verso il contratto de quo non è stato concluso con l’assistenza di alcune di queste ultime. Solo in tal caso avrebbero dovuto essere rispettati i limiti e le condizioni oggetto di quell’accordo. Il contratto di locazione dedotto in causa, al contrario, è frutto della volontà delle parti in libero mercato e non è invocabile alcuna violazione di norme a livello locale in materia di canone, né un ingiustificato arricchimento. In ordine alla asserita rumorosità dell’immobile locato, la Corte d’appello ha ritenuto che non sussisteva grave inadempimento della locatrice che non risultava essere stato dedotto in primo grado, sul rilievo che la B. non aveva mai ipotizzato comportamenti malafede della locatrice per avere volontariamente taciuto la situazione di rumorosità. 2.Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione degli articolo 2, 4 e 5 legge 1998/431, articolo 2/4 D.M. 30-12-2002, articolo 115 c.p.comma e 2697 cc sul canone libero o non libero nel contratto di locazione transitoria. 3. Il motivo è inammissibile. Il contratto di locazione ad uso transitorio è un tipo di contratto di locazione abitativa utilizzato per esigenze temporanee non turistiche. Il locatore concede per un limitato periodo di tempo e per un’esigenza transitoria bene individuata il godimento di un immobile destinato ad abitazione ad un altro soggetto dietro pagamento di un corrispettivo. La legge determina il periodo minimo e massimo di durata del contratto e il corrispettivo della locazione ad uso transitorio può essere liberamente determinato dalle parti tranne che in alcune zone in cui l’importo del canone determinato secondo accordi territoriali e precisamente alcune città italiane e relativa area metropolitana Roma, Milano, Venezia, Genova, Bari, Palermo e comuni confinanti con le città sopra elencate e nei capoluoghi di provincia, quale è la città di Trento. 4. Ma tenendo conto della disciplina applicabile che prevede che la tipologia dell’immobile deve essere specificatamente individuata al fine di poter applicare la misura del canone definito dagli accordi locali per i contratti per esigenze transitorie - la cui stipula anch’essa soggetta ad oneri formali anche in relazione all’esigenza transitoria considerando che la Corte di Appello ha aggiunto una sua autonoma motivazione al rigetto della domanda, ma ha in sostanza confermato anche la motivazione del giudice di primo grado secondo cui vi è un difetto assoluto di prova dei requisiti per l’eventuale riduzione del canone,non emergendo alcuna caratteristica del bene dal contratto di locazione e non potendo essere valutata la deposizione di un teste che non ha visionato il bene e per di più intrisa di valutazioni che tale statuizione non è stata impugnata dalla ricorrente, anche in considerazione che gli elementi costitutivi del preteso diritto alla riduzione del canone corrisposto,oggetto della domanda, dovevano essere provato nel rispetto delle preclusioni di rito da qui l’inammissibilità del motivo. 5. Con il secondo motivo si censura violazione dell’articolo 3 legge numero 431/98 e articolo 12/2 e 14 delle preleggi in relazione alla durata del termine di preavviso in presenza di gravi motivi giustificanti il recesso. 6. Il motivo è inammissibile perché introduce questioni nuove. Infatti risulta dalla sentenza impugnata che la conduttrice, in relazione al pagamento dei canoni posteriori al rilascio a titolo di mancato preavviso, ha proposto impugnazione deducendo che non era stato valutato che la rumorosità dell’appartamento integrava un grave inadempimento imputabile alla locatrice in quanto da questa deliberatamente taciuto in sede di stipula con malafede che il preavviso non era dovuto perché ella aveva trovato alla locatrice un nuovo inquilino, illegittimamente rifiutato. La conduttrice non ha dedotto riproducendo in ricorso, come era suo onere, in quale atto ed in quale fase processuale era stata censurata tempestivamente la durata del preavviso. 7. Con il terzo motivo di ricorso si censura erroneità della sentenza ex articolo 360 numero 3 e 5 c.p.comma in particolare avendo omesso la Corte di tenere in considerazione che parte del termine di preavviso, base per il calcolo del danno riconosciuto alla locatrice, era stato in parte dato dalla conduttrice, con conseguente riduzione dell’importo dovutogli inoltre erronea applicazione dell’articolo 115 c.p.c 8. Con il quarto motivo di ricorso si censura erroneità della sentenza ex articolo 360 numero 3 e 5 c.p.c con riferimento all’omesso esame della domanda di ripetizione di quota di spese di registrazione del contratto e/o erronea applicazione dell’articolo 115 c.p.c 9. Il terzo il quarto motivo sono inammissibili in quanto introducono questioni nuove. Infatti tali questioni non risultano fra i motivi di impugnazione riportati nella sentenza di appello e la conduttrice non ha dedotto, riproducendo in ricorso, come era suo onere, in quale atto ed in quale fase processuale sono state tempestivamente introdotte tali censure. 10. Con il quinto motivo di ricorso si censura erroneità della sentenza ex articolo 360 numero 3 e 5 c.p.comma con riferimento all’omesso esame della domanda di ripetizione di compensi e spese di avvio di mediazione obbligatoria e alle erronea applicazione degli articoli 115 c.p.comma 91 c.p.comma 8 e 13 d.lgs. 4 marzo 2019 numero 28. Il motivo è assorbito dal rigetto del ricorso. Le spese del giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 1.500,00,oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali come per legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.