Alla diffamazione televisiva non è applicabile, in via analogica, la pena pecuniaria privata prevista per il reato commesso a mezzo stampa.
Con la sentenza numero 10214/11, depositata il 10 maggio, la Corte di Cassazione precisa che la norma che prevede una pena pecuniaria privata per la diffamazione a mezzo stampa non è suscettibile di applicazione analogica a casi diversi da quelli espressamente contemplati.La fattispecie. Il conduttore di una trasmissione televisiva esprimeva giudizi ritenuti penalmente rilevanti, con riferimento al reato di diffamazione, e veniva, pertanto, condannato, in solido con la società emittente tv, al pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni. Contro la sentenza della Corte d'Appello di Bologna proponevano ricorso per cassazione i soccombenti.Confermata la diffamazione. La Corte di Cassazione ritiene condivisibile la pronuncia di merito, sostenendo che l'esimente del diritto di critica e di cronaca, invocata dai ricorrenti, è già stata esclusa dai giudici d'Appello in quanto il conduttore ha superato abbondantemente i limiti della continenza mentre, per altro verso, ha esposto durante la trasmissione questioni non aventi alcun interesse pubblico.Non è applicabile in via analogica la norma contenuta nella legge sulla stampa. L'unico motivo di ricorso che viene accolto è quello relativo alla condanna al pagamento di somme previste dalla legge sulla stampa rileva, in proposito, il Collegio che l'articolo 12, L. numero 47/48, nel prevedere un'ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata per la diffamazione a mezzo stampa, non è applicabile analogicamente a casi diversi da quelli previsti in modo espresso. Poiché la legge che disciplina i reati commessi con il mezzo televisivo non contempla un richiamo alla normativa de quo, la pena pecuniaria in esame non può trovare applicazione.Alla luce delle precedenti considerazioni, la Corte di Cassazione riduce la condanna solidale per l'importo relativo alla pena pecuniaria privata, e conferma per il resto la sentenza di appello.