La caparra incassata non è computata come reddito ai fini dell'evasione fiscale almeno fino a quando non viene concluso il contratto di compravendita.
La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 28221/2011 depositata il 18 luglio, ha affermato che la caparra incassata non è computata come reddito ai fini dell'evasione fiscale. Perlomeno, fino a quando non viene concluso il contratto di compravendita.Il caso. A un imprenditore edile veniva contestato, dopo un accertamento effettuato dalla Guardia di Finanza, un'evasione di Iva, Irap e Ires pari a una cifra superiore al limite previsto dalla legge per la configurazione del reato articolo 4 d.lgs. numero 74/2000 , ovvero oltre 103mila euro 200 milioni di vecchie lire .Il Tribunale del riesame, dunque, confermava il decreto di sequestro preventivo, emesso dal Gip, di conti correnti, beni mobili e immobili, ai fini della confisca per equivalente per un valore di oltre 250mila euro, ovvero pari al profitto conseguito con la parziale evasione delle imposte sui redditi del 2008 per mancata dichiarazione dei ricavi ottenuti dalla vendita di 8 villette.Per imposta evasa si intende la differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione. L'imprenditore, con il ricorso per cassazione, richiama la definizione di imposta evasa stabilita dall'articolo 1 d.lgs. numero 74/2000. In più, viene sottolineato che le caparre ricevute non devono considerarsi incasso imponibile, ma meri debiti nei confronti dei promittenti acquirenti, almeno fino alla conclusione del contratto di compravendita.Proprietà venduta, imposta dovuta. La S.C. ritiene che il ricorso sia fondato. Infatti, le caparre, o comunque gli acconti sulle fatture di vendita, sono da computarsi esclusivamente nell'anno di imposta in cui si realizza il trasferimento di proprietà.Nel caso di specie, il sindacato del Tribunale del riesame si è mantenuto su un piano di astrattezza e di ipoteticità , senza una valutazione concreta degli assunti difensivi. L'evasione fiscale deve essere riscontrata con verifiche concrete. Secondo i giudici di legittimità, quindi, la motivazione è apparente. Insomma il riesame, ai fini del mantenimento della misura cautelare reale, deve valutare in concreto la sussistenza del fumus del reato contestato e il relativo periculum in mora.In conclusione, manca la risposta alle eccezioni della difesa da parte del riesame, pertanto, la Corte Suprema annulla l'ordinanza impugnata per mancanza di motivazione e rinvia per nuovo esame.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 aprile - 18 luglio 2011, numero 28221Presidente Ferrua - Relatore FrancoSvolgimento del processoCon l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Santa Maria Capua Vetere confermò il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del medesimo tribunale il 17.5.2010 di conti correnti bancari, beni mobili ed immobili della srl Arcaica Costruzioni finalizzato alla confisca per equivalente fino alla concorrenza di Euro 256.152,50, pari al profitto da mancato pagamento di parte delle imposte sui redditi del 2008 per mancata dichiarazione dei ricavi ottenuti dalla vendita di otto villette, in riferimento al reato di cui all'articolo 4 d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74.M.E., amministratore della srl Arcaica Costruzioni, propone ricorso per cassazione deducendo mancanza di motivazione nonché violazione di legge e del principio della effettiva capacità contributiva di cui all'articolo 53 Cost Osserva che per la configurabilità del reato di cui all'articolo 4 d. lgs. 10 marzo 2000, numero 74, occorre che l'imposta evasa sia superiore ad Euro 103.291,38 con riferimento a taluna delle singole imposte. Non può quindi computarsi congiuntamente l'importo evaso relativo alle imposte sui redditi e quello relativo all'IVA, ancorché sia stata presentata la dichiarazione unificata prevista dall'articolo 3, comma 1, d.p.R. 322/98.Inoltre, la nozione di imposta evasa è contenuta nell'articolo 1, lett. f , del d. lgs. 10 marzo 2000, numero 74.Non si comprende quindi da dove il tribunale del riesame abbia ricavato l'ammontare della imposta evasa, posto che la GDF ha accertato maggiori costi per Euro 316.686,00 per i quali non risulterebbero registrate le relative fatture. Questo dato non è stato tenuto in considerazione, non essendo stati calcolati i maggiori costi.Il giudice, pertanto, avrebbe dovuto, per operare l'esatto ammontare dell'imposta presuntivamente evasa, dedurre dai maggiori ricavi ottenuti dalla società come accertati dalla GDF i maggiori costi come accertati dalla stessa GDF , nonché mondare gli importi relativi ai maggiori ricavi ottenuti di quelle somme da considerarsi caparre, o comunque acconti sulle future vendite, che per l'anno d'imposta 2008 rappresentano per la società meri debiti nei confronti dei promittenti acquirenti, da computarsi, ai sensi dell'articolo 109 del d.p.R. 917/86, esclusivamente nell'anno di imposta in cui si realizza il trasferimento di proprietà.Facendo i calcoli esatti, si ricava dallo stesso PVC che le imposte evase per il 2008 non superano la soglia indicata per la configurabilità del reato.Motivi della decisioneIl ricorso è fondato. Il tribunale del riesame, infatti, si è basato sul principio - affermato come premessa dell'ordinanza - che il suo sindacato sulla sussistenza del fumus del reato non potrebbe investire la concreta fondatezza dell'accusa, ma dovrebbe essere compiuto solo sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non potrebbero essere sindacati sotto il profilo fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che andrebbero valutati così come esposti dal pubblico ministero al fine di veri-ficare se essi consentano di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica il tribunale del riesame, quindi, non dovrebbe instaurare un processo nel processo.Si tratta però di una tesi che non può essere condivisa, sia perché, per disporre e mantenere la misura cautelare reale, con conseguente compromissione del diritto costituzionalmente tutelato, occorre che vi sia il fumus del reato ipotizzato, sia perché il sindacato del tribunale del riesame non può limitarsi alla mera verifica della astratta possibilità di ricondurre il fatto contestato alla fattispecie di reato ipotizzata, ma deve appunto verificare la concreta sussistenza del fumus del reato e del periculum in mora,II diverso principio, che pure a volte era stato affermato in passato da una parte della giurisprudenza sulla base di una tralaticia e non completa considerazione della motivazione di una decisione delle Sezioni Unite 20.11.1996, numero 23/97, Bassi , è stato però disatteso innumerevoli volte dalla giurisprudenza più recente - che qui si conferma -, secondo cui il tribunale del riesame, per espletare il ruolo di garanzia dei diritti costituzionali che la legge gli demanda, non può avere riguardo solo alla astratta configurabilità del reato, ma deve prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato cfr., ex plurimis, Sez. 1^, 9 dicembre 2003, numero 1885/04, Cantoni, m. 227.498 Sez. 3^, 16.3.2006 numero 17751 Sez. 2^, 23 marzo 2006, Cappello, m. 234197 Sez. 3^, 8.11.2006, Pulcini Sez. 3^, 9 gennaio 2007, Sgadari Sez. IV, 29.1.2007, 10979, Veronese, m. 236193 Sez. 5^, 15.7.2008, numero 37695, Cecchi, m. 241632 Sez. 1, 11.5.2007, numero 21736, Citarella, m. 236474 Sez. 4^, 21.5.2008, numero 23944, Di Fulvio, m. 240521 Sez. 2^, 2.10.2008, numero 2808/09, Bedino, m. 242650 Sez. 3^, 11.6.2009, Musico Sez. 3^, 12.1.2010, Turco Sez. 3^, 24.2.2010, Normando Sez. 3^, 11.3.2010, D'Orazio Sez. 3^, 20.5.2010, Bindi Sez. 3^, 6.10.2010, Kronenberg-Widmer .Nella specie, invece, il tribunale del riesame ha appunto omesso di considerare e valutare le tesi della difesa e la documentazione prodotta a loro sostegno.Nel merito, infatti, l'ordinanza impugnata si è limitata ad osservare che sussiste senz'altro fumus del reato contestato di dichiarazione infedele prevista dall'articolo 4 d.l.vo numero 74/2000, essendo astrattamente configuratole una falsa rappresentazione contabile mediante mendaci indicazioni inerenti agli elementi attivi del reddito dell'impresa . così come appare superata la soglia di punibilità . . Subito dopo rileva che fatti salvi più approfonditi accertamenti anche sulla scorta dei rilievi contenuti nella relazione tecnica di parte depositata, non appaiono condivisibili le conclusioni riportate in tale elaborato in ordine agli errori di calcolo . . Quindi osserva che si ritiene astrattamente configurabile la realizzazione di un profitto da parte dell'indagato . così come determinato dalla Guardia di Finanza operante che, nella determinazione di tale importo, pare abbia tenuto presente non solo i ricavi, ma anche i costi sostenuti dall'impresa .È evidente che il sindacato del tribunale del riesame si è mantenuto su di un piano di astrattezza e di ipoteticità, senza valutare in concreto il fondamento degli assunti difensivi. La motivazione è quindi solo apparente.In particolare, la difesa dell'indagato aveva ricordato che è configurabile il reato invece che un illecito amministrativo solo quando è superata la soglia di punibilità prevista dalla norma e che il superamento della soglia di Euro 103.291,38 di imposta evasa va riferito a ciascuna delle singole imposte, di modo che è e-sclusa la possibilità di computare congiuntamente l'importo evaso concernente le imposte sui redditi e quello relativo all'IVA, ancorché sia stata presentata la dichiarazione unificata prevista dall'articolo 3, comma 1, d.p.R. 322/98.Aveva ancora eccepito la difesa che la nozione di imposta evasa è quella contenuta nell'articolo 1, lett. f , d. lgs. 74/00 e consiste nella differenza tra imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione al netto delle somme già versate. Aveva quindi lamentato la erroneità della somma indicata come imposta evasa, dal momento che la stessa GdF nel corso della perquisizione aveva accertato maggiori costi per Euro 316.686,00 per acquisti di materiali e servizi effettuati ai fornitori per i quali non sarebbero state registrate le relative fatture.Aveva quindi rilevato che, proprio sulla base del processo verbale di constatazione, le imposte evase nel 2008 sarebbero state di Euro 93.716,60 per IVA, di Euro 14.548,25 per IRAP, e di Euro 83.003,52 per IRES e che non era stato assolutamente calcolato, nel computo della base imponibile sia per l'IRAP sia per l'IRES, l'importo sostenuto dalla società per i maggiori costi che la stessa GDF, sempre sulla evidenza dei dati extracontabili rinvenuti, aveva riscontrato sempre sulla evidenza dei dati extracontabili rinvenuti, aveva riscontrato.La tesi difensiva avrebbe quindi essere dovuto essere esaminata sotto il profilo del fumus in quanto, almeno in astratto, non appariva manifestamente infondata, dal momento che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, In tema di determinazione del reddito d'impresa, la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi, in presenza dei requisiti indicati nell'articolo 75 del d.P.R. 22 dicembre 1986, numero 917, non è preclusa né dalla violazione degli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili, di cui all'articolo 22 del d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600 risolvendosi tale violazione nell'impossibilità per l'imprenditore di giovarsi della prova documentale per dimostrare l'esistenza di un fatto a sé vantaggioso - laddove sia gravato del relativo onere -, ma non assumendo rilievo allorché il verificarsi di tale fatto non sia contestato , né dall'omessa o irregolare registrazione dei costi, atteso che il relativo obbligo, previsto dall'ari. 75, comma sesto, del citato d.P.R. numero 917 del 1986 - la cui violazione precludeva la possibilità di provare l'esistenza di costi altrimenti deducibili -, è stato abrogato dall'articolo 5 del d.P.R. 9 dicembre 1996, numero 695, e tale nuova disciplina trova applicazione anche nei procedimenti pendenti Cass. civ., Sez. 5^, 11.7.2001, numero 10090, m. 555660 In tema di imposte sui redditi inerenti ad attività d'impresa, il principio sancito dall'ari. 75 del d.P.R. numero 917 del 1986 e ribadito dall'articolo 6 bis del D.L. numero 90 del 1990, secondo cui le spese sono deducibili se e nella misura in cui siano annotate nelle scritture contabili ed abbiano concorso alla determinazione del risultato del conto profitti e perdite, non è applicabile in caso di rettifica induttiva, in cui alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un'incidenza percentualizzata dei costi ld., 17.1.2001, n, 640, m. 543241 Qualora, dall'esame della dichiarazione dei redditi del contribuente, risulti l'esistenza di false fatturazioni, la rettifica di essa da parte dell'amministrazione finanziaria, a mezzo di accertamento induttivo, deve essere effettuata mediante ricostruzione, anche in via analitica, di tutte le voci che hanno determinato il reddito imponibile, ovvero prendendo in considerazione tutte le componenti infedelmente dichiarate, sia che esso giovi all'amministrazione consentendo il recupero a tassazione di porzioni di reddito sottratte all'imposizione, sia che giovi al contribuente, determinando un abbattimento della base imponibile e del relativo tributo Id., 12.12.2003, numero 19062, m. 568862 .Il tribunale del riesame non ha risposto alle suddette eccezioni, così come non ha risposto all'eccezione che gli acconti su future vendite avrebbero dovuto, secondo la difesa, essere conteggiate tra i ricavi solo nell'anno di imposta in cui si sarebbe realizzato il trasferimento di proprietà.L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata per mancanza di motivazione, con rinvio al tribunale di Santa Maria Capua Vetere per nuovo esame.P.Q.M.La Corte Suprema di Cassazione annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Santa Maria Capua Vetere per nuovo esame.