Confermata la rilevanza del ‘vizio’ nella comunicazione dell’azienda alle organizzazioni sindacali in merito alla decisione di attivare la procedura di mobilità. Si è parlato di riduzione del volume di affari, ma si è ‘dimenticato’ anche di comunicare che la procedura era finalizzata anche alla realizzazione di una fusione con una società più grande.
Produttività in crisi, e prospettiva – rosea – di una acquisizione da parte di una realtà imprenditoriale più grande ecco le ragioni per cui viene percorsa la strada della procedura di mobilità dei dipendenti. Tutto ciò, però, può esser fatto, sì, ma solo ‘giocando’ a carte scoperte col sindacato. Altrimenti l’ultimo passaggio, il licenziamento, è da ritenere illegittimo. Cassazione, sentenza numero 20614, sezione Lavoro, depositata oggi Causale occulta. A imporre una svolta – pro dipendente – alla vicenda giudiziaria è il giudizio della Corte d’Appello, che, ribaltando quanto deciso in primo grado, dichiara «illegittimo il licenziamento» operato da una ‘spa’ nei confronti di un dipendente a chiusura di una lunga «procedura di mobilità». Fatale, secondo i giudici, il ‘vizio’ nei documenti messi sul tavolo dall’azienda nel confronto coi sindacati più precisamente, «era risultato che la causale della procedura di mobilità, dichiarata nella comunicazione di apertura, non corrispondeva a quella effettiva», e, quindi, «le organizzazioni sindacali avevano ricevuto informazioni inesatte ed incomplete, ed era stato così ostacolato il pieno e compiuto svolgimento dei compiti di controllo loro assegnati dalla legge». Vizio fatale. Elemento decisivo è una «delibera del consiglio d’amministrazione» della società, delibera «antecedente la decisione di avvio della procedura di mobilità». Ebbene, da quel momento, come evidenziato già in secondo grado, è facile desumere che «la riduzione del personale era funzionale alla successiva fusione per incorporazione, già prevista» e che «la circostanza della riduzione del volume di affari, connessa alla scadenza di alcuni brevetti di prodotti di punta» era ‘secondaria’. Ma, invece, solo quest’ultimo aspetto era stato messo in evidenza nel serrato confronto col sindacato Lacuna, questa, gravissima, sanciscono i giudici. Per la semplice ragione che «la concorrenza di diverse motivazioni per la riduzione del personale comportava l’obbligo della società, in un contesto normativo di trasparenza, di procedere ad una comunicazione esaustiva di tutte le ragioni che avevano determinato la scelta, ivi compresa la deliberazione, tutt’altro che interna e riservata, di procedere alla cessione della società». Invece, in questo caso, non si è assolutamente concretizzato il «rispetto dei doveri di informazione che devono accompagnare l’inizio della procedura con la comunicazione di tutte le ragioni essenziali alla scelta di aprire una procedura di mobilità». E questa «omessa comunicazione» è stata legittimamente fatta valere dal lavoratore come vizio nella procedura di licenziamento, perché «l’incompletezza dell’informazione» costituisce concreto «impedimento» alla «proficua partecipazione, da parte del sindacato, alla cogestione della crisi».
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 luglio – 9 settembre 2013, numero 20614 Presidente Lamorgese – Relatore Garri Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Milano, accogliendo il ricorso proposto da R.S., ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa città ed ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimatogli il 15.3.2007 dalla Bayern s.p.a., incorporante la Schering s.p.a La corte territoriale, acquisita perché ritenuta indispensabile ai fini del decidere, la delibera del 17.1.2007 del consiglio di amministrazione della Schering s.p.a., società che aveva intimato il licenziamento prima di essere assorbita per incorporazione dalla Bayern, ha ritenuto che la procedura di licenziamento fosse viziata per essere stato violato l'articolo 4 comma 3 della l. 223 del 1991 in quanto era risultato che la causale della procedura di mobilità, dichiarata nella comunicazione di apertura, non corrispondeva a quella effettiva con la conseguenza che le organizzazioni sindacali avevano ricevuto informazioni inesatte ed incomplete, ed era così stato ostacolato il pieno e compiuto svolgimento dei compiti di controllo loro assegnati dalla legge numero 223 del 1991. Con riguardo poi alle richieste istruttorie formulate dalla Bayern per accertare l'avvenuta percezione da parte del lavoratore nel periodo in discussione di compensi in relazione ad attività lavorativa media tempore altrimenti prestata, la corte d'appello le respingeva ritenendole di natura esplorativa e dunque inammissibili. Per la cassazione della sentenza ricorre la Bayern s.p.a. che articola tre motivi. Resiste con controricorso il S. che deposita memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli articolo 414 comma 5, 437 comma 2, 420, 421 comma 2 c.p.c. e 2697 c.c e l'omessa e insufficiente motivazione in relazione alla circostanza, decisiva, della ritenuta tempestività della produzione in appello della delibera del consiglio di amministrazione della Schering s.p.a Sostiene la società ricorrente che erroneamente era stata ritenuta ammissibile la tardiva produzione della delibera del consiglio di amministrazione della Schering s.p.a., poi posta a base della decisione, sebbene non fosse stata offerta la prova da parte del S. della esistenza di una causa a lui non imputabile che ne aveva impedito la tempestiva produzione trattandosi di documento che era stato formato prima del deposito del ricorso introduttivo del giudizio. La censura non è fondata. E’ principio cui si intende dare continuità quello secondo cui nel rito del lavoro, in deroga al generale divieto di nuove prove in appello, è possibile l'ammissione di nuovi documenti, su richiesta di parte o anche d'ufficio, solo nel caso in cui essi abbiano una speciale efficacia dimostrativa e siano ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione della causa, facendosi riferimento per indispensabilità delle nuove prove ad una loro influenza causale più incisiva rispetto alle prove in genere ammissibili in quanto rilevanti , ovvero a prove che sono idonee a fornire un contributo decisivo all'accertamento della verità materiale per essere dotate di un grado di decisività e certezza tale che da sole considerate, e quindi a prescindere dal loro collegamento con altri elementi e da altre indagini, conducano ad un esito necessario della controversia. cfr. cass. 26.7.2012 numero 13353 v. anche 13432/2013 e già Cass. numero 6498/2011 . A ciò si aggiunga che nel caso in cui, come nella specie, il ricorrente sia venuto a conoscenza dell'esistenza del documento per il tramite di una sentenza pronunciata in un giudizio instaurato da altro lavoratore intervenuta successivamente al deposito del ricorso di primo grado, a maggior ragione la produzione tardiva deve essere dichiarata ammissibile. A tali principi si è conformata la sentenza impugnata che, pertanto, sul punto deve essere confermata. Il secondo motivo di ricorso attiene alla violazione e falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.c., articolo 4 della L. numero 223/1991 ed articolo 1345, 1362 e 1363 c.c., oltre che all'omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia individuato nella errata interpretazione del contenuto motivazionale della già richiamata delibera del consiglio amministrazione della Schering s.p.a. adottata il 17 gennaio 2007. Sostiene la società ricorrente che si sarebbe operata una errata commistione tra i motivi esternati dalla delibera ed i motivi interni che ne costituivano il presupposto. Ad avviso della società, infatti, l'esistenza e l'effettività dei motivi esternati non è inficiata dalla contestuale esistenza di ulteriori ragioni interne solo confermative della bontà della scelta operata in quanto, all'evidenza, i motivi interni, non esternati nella comunicazione ex att. 4 l. numero 223/1991, non rilevano posto che ciò che conta è la veridicità delle ragioni esternate e valutate nel confronto con le parti sociali. Anche tale censura è infondata. E' noto che in terna di collocamento in mobilità e di licenziamento collettivo, la comunicazione di avvio della proceduta ex articolo 4, comma 3, della legge numero 223 del 1991 rappresenta una cadenza essenziale per la proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato e per la trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro. E' per questa ragione che il lavoratore é legittimato a far valere l'incompletezza della comunicazioni quale vizio del licenziamento e che il successivo raggiungimento di un accordo sindacale, pur essendo rilevante ai fini del giudizio retrospettivo sull'adeguatezza della comunicazione, non sana ex se il deficit informativo, ed al giudice di merito è demandato l'accertamento del fatto che il sindacato partecipò alla trattativa, poi sfociata nell'intesa, senza una piena consapevolezza dei dati di fatto che avevano determinato l'azienda a disporre la riduzione del personale cfr. in termini Cass. 6.4.2012 numero 5582 ed anche 20.3.2013 numero 6959 . Ciò premesso si osserva che la corte d'appello non è incorsa nel denunciato vizio di interpretazione della delibera societaria antecedente la decisione di avvio della procedura di mobilità. Al contrario, proprio interpretando le clausole della delibera in questione, una per mezzo delle altre, anche alla luce del comportamento successivamente tenuto dalle parti, ha potuto verificare che la riduzione del personale era funzionale alla successiva fusione per incorporazione già prevista. La circostanza concorrente della riduzione del volume di affari connessa alla scadenza di alcuni brevetti di prodotti di punta, la reso, anch'essa, funzionale la riduzione del personale alla utile acquisizione della società da parte dell'incorporante. La concorrenza di diverse motivazioni per la riduzione del personale comportava l'obbligo della società, in un contesto normativo di trasparenza, di procedere ad una comunicazione esaustiva di tutte le ragioni che avevano determinato la scelta ivi compresa la deliberazione, tutt'altro che interna e riservata di procedere alla cessione della società. A tali principi si conforma la sentenza impugnata che ricostruisce la vicenda sostanziale in maniera funzionale alla verifica dell'avvenuto rispetto dei doveri di informazione che devono accompagnare l'inizio della procedura con la comunicazione di tutte le ragioni essenziali alla scelta di aprire una procedura di mobilità. Ancora una volta vale ricordare che In tema di licenziamento collettivo e di comunicazione ex articolo 4, comma 3, legge numero 223 del 1991, . la procedura potrà considerarsi regolare solo ove la medesima comunicazione, conformatasi ai requisiti prescritti – l’indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza, nonché il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale da eliminare - consenta alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l'esubero di personale e le unità che, in concreto, l'azienda intende espellere, di talché sia evidenziabile la connessione tra le enunciate esigenze aziendali e l'individuazione del personale da licenziare, risultando incongrua, una comunicazione di esubero per chiusura di una linea produttiva seguita dall'indicazione di espulsione di personale estraneo alla medesima cfr. in termini Cass. l4.4.2010 numero 8894 e 27.11.2007 numero 24640 . L'ultimo motivo di ricorso attiene ancora alla violazione dell'articolo 4 comma 3 della legge numero 223 del 1991 anche sotto il profilo della insufficiente motivazione in relazione all'incompletezza della comunicazione di avvio della procedura. Sostiene la società ricorrente che erroneamente si è ritenuta sussistere una non corrispondenza tra il causale effettiva e quella indicata nella comunicazione di apertura della procedura di mobilità. La corte territoriale non avrebbe chiarito per quale ragione la volontà di procedere ad una fusione farebbe venir meno la concorrente necessità di ridurre il personale per ragioni connesse ad uno stabile calo di fatturato. Le due motivazioni sarebbero, a giudizio della ricorrente, entrambe vere e tra loro compatibili. Inoltre sottolinea che la mera circostanza dell’omessa comunicazione del progetto di fusione era di per sé irrilevante tenuto conto dei fatto che le organizzazioni sindacali erano, pacificamente, a conoscenza della volontà della società di procedervi sin dall'ottobre 2006 e dunque la rilevanza della carente comunicazione andava valutata in relazione alla concreta idoneità dell'informativa a fuorviare o ledere l'esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuito alle organizzazioni sindacali. Anche per cale aspetto la censura è infondata. Nel ribadire che la comunicazione di avvio della proceduta, ex articolo 4, comma 3, della legge 23 luglio 1991, numero 223, rappresenta una cadenza essenziale per la proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato e per la trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro e che, quindi, il lavoratore è legittimato a far valere l'incompletezza dell'informazione, in quanto la comunicazione rituale e completa della mancanza di alternative ai licenziamenti rappresenta, nell'ambito della procedura, una passaggio che, se mancante, risulta ontologicamente impeditivo di una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato cfr. Cass. numero 6959/2013 cit. , è appena il caso di osservare che anche ove, come è verosimile sia, entrambe le motivazioni indicate nella delibera fossero reali, ciò non esclude che la comunicazione solo parziale delle ragioni che determinavano la società a ridurre il personale ha, inevitabilmente, determinato una non corretta informazione poiché, per stessa ammissione della parte, e per logica deduzione, entrambe hanno concorso alla formazione della volontà societaria. E' ben vero che a norma dell'articolo 2112 c.c. è fatta salva la facoltà per il datore di lavoro cedente di procedere in autonomia a licenziamenti che siano ritenuti necessari ma ciò non esclude l'obbligo, una volta adottata la scelta di procedere ad una riduzione di personale, di rispettare gli obblighi di comunicazione agendo in maniera trasparente sì da consentire alle parti sociali di svolgere la funzione di garanzia che la legge loro demanda. Per le considerazioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico della società ricorrente nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in € 4000,00 per compensi professionali ed in € 50 per esborsi oltre accessori dovuti per legge.