L’articolo 71, d.lgs. numero 151/2001 non consente alla Cassa forense di erogare il trattamento di maternità allorché la lavoratrice abbia goduto, per lo stesso titolo, di un trattamento a carico di altro ente previdenziale.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro, con la sentenza numero 15072, depositata il 17 giugno 2013. I giudici di merito si pronunciano a favore del cumulo . La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso dall’avvocatessa iscritta all’albo ed, al contempo, insegnante scolastica di ruolo part-time , al fine di vedersi riconosciuto il diritto alla corresponsione, da parte della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense, dell’indennità di maternità, in aggiunta a quella già percepita dall’Inpdap, in relazione al rapporto di lavoro subordinato con il Ministero dell’istruzione. Al termine dei primi due gradi di giudizio, i giudici di merito hanno riconosciuto il diritto dell’iscritta a cumulare l’indennità di maternità corrisposta dall’ente di previdenza forense con quella erogata dall’ente pubblico, atteso che l’articolo 70, d.lgs. numero 151/2001 – che disciplina l’indennità di maternità per le libere professioniste – non prevede il divieto di cumulo. I giudici di merito, inoltre, hanno osservato che l’articolo 71 del medesimo decreto, nell’obbligare l’iscritta alla Cassa a dichiarare l’inesistenza di altro trattamento di maternità, non prevede alcuna conseguenza per l’ipotesi in cui l’iscritta percepisca altro trattamento. Con la domanda alla Cassa, l’iscritta deve dichiarare l’inesistenza di altri trattamenti . A norma dell’articolo 71, d.lgs. numero 151/2001, la domanda rivolta alla Cassa deve essere corredata, oltre che da idonea certificazione medica, dalla dichiarazione, rilasciata dall’interessata, attestante l’inesistenza del diritto ad altro trattamento di maternità, come lavoratrice pubblica o autonoma. Secondo la pronuncia in commento, tale ultima disposizione non consente alla Cassa di erogare il trattamento di maternità allorché la lavoratrice abbia goduto, per lo stesso titolo, di un trattamento a carico di altro ente previdenziale. Ed infatti, secondo la Cassazione, la finalità della norma è proprio quella di evitare il cumulo di prestazioni da parte di più enti previdenziali per lo stesso evento la maternità . Diversamente opinando, la citata disposizione sarebbe inutiler data che senso avrebbe chiedere all’interessata una dichiarazione attestante l’inesistenza di altri trattamenti di maternità, se poi eventuali altre erogazioni fossero prive di conseguenze? Il divieto di cumulo non contrasta con i principi costituzionali in materia. La pronuncia in commento esclude che il divieto di cumulo presenti profili di incostituzionalità. In proposito, la Cassazione richiama l’orientamento della Consulta, secondo cui l’indennità di maternità «serve ad assicurare alla madre lavoratrice la possibilità di vivere questa fase della sua esistenza senza una radicale riduzione del tenore di vita che il suo lavoro le ha consentito di raggiungere e ad evitare che alla maternità si ricolleghi uno stato di bisogno economico» cfr., ad es., Corte cost. numero 3/1998, numero 423/1995, e numero 132/1991 . Secondo la Corte costituzionale, quindi, l’indennità in parola mira ad evitare una “drastica” riduzione del tenore di vita ed uno stato di bisogno tali situazioni non coinciderebbero automaticamente con una determinazione dell’indennità in una misura ridotta rispetto alla retribuzione goduta prima dello stato di gravidanza. La tutela della maternità deve conciliarsi con le esigenze di bilancio. Ad ulteriore conferma dell’esistenza, nella disciplina vigente, di un divieto di cumulo, la pronuncia in commento afferma che, in materia di trattamenti di maternità in favore delle libere professioniste, la determinazione del sistema indennitario rientra nella discrezionalità del legislatore, che è libero di modulare, diversamente nel tempo, il livello di tutela della maternità, tenendo conto anche delle esigenze di bilancio e dell’incidenza quantitativa delle erogazioni, che, per quanto riguarda la professione forense, è mutata rispetto ai primi anni di applicazione della legge cfr. Cass. numero 22023/2010 . La stessa evoluzione della normativa – che ha introdotto una misura massima per l’indennità in parola l. numero 289/2003 – mostrerebbe, peraltro, la mancanza di una stretta correlazione tra livelli retributivi e misura della prestazione di maternità. Infine, la Cassazione ritiene irrilevante il fatto che, nella fattispecie, la lavoratrice abbia subito, in concreto, una sensibile riduzione del proprio tenore di vita, avendo ottenuto la sola prestazione a carico dell’Inpdap, in relazione ad un rapporto di lavoro part-time ed infatti, tale situazione sarebbe ascrivibile – secondo i giudici di legittimità – ad una scelta della stessa interessata, la quale, avendo presentato domanda alla Cassa solo dopo aver già ottenuto il trattamento Inpdap, non avrebbe così optato per il trattamento offerto dalla Cassa, preferendo quello dell’ente di previdenza pubblico.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 marzo 17 giugno 2013, numero 15072 Presidente Napoletano – Relatore Bronzini Svolgimento del processo L'Avv.to B.M. iscritta all'Albo degli avvocati ed anche insegnante scolastico di ruolo part-time lamentava avanti il Giudice del lavoro il rigetto della domanda di corresponsione da parte della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense dell'indennità di maternità in quanto già percepita a carico del'INPDAP in relazione al rapporto subordinato con il Miur il Tribunale di Arezzo accoglieva la domanda con sentenza del 24.2.2005. La Corte di appello di Firenze con sentenza del 11.1.2008 rigettava l'appello della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense. La Corte territoriale rilevava che l'articolo 70 D. Lgs numero 151/2001 che disciplina l'indennità di maternità per le libere professioniste non stabiliva alcun divieto di cumulo e che l'articolo 71 del detto Decreto legislativo, che obbligava l'iscritta alla Cassa a dichiarare l'inesistenza di altro trattamento per maternità, non prevedeva alcuna conseguenza se l'iscritta avesse percepito altro trattamento. La giurisprudenza costituzionale e di legittimità aveva stabilito che l'indennità di maternità ha la finalità di garantire che la lavoratrice non subisca una sostanziale decurtazione del suo tenore di vita durante questa fase particolare della vita e che nel caso di specie la lavoratrice avrebbe percepito solo una scarsa copertura dal rapporto part-time perdendo il trattamento collegato ai contributi alla Cassa collegati all'effettiva attività professionale svolta. L'articolo 70 stabiliva peraltro sino al 2003 non un trattamento massimo, ma minimo correlato alla contribuzione versata. Si imponeva pertanto una interpretazione conforme della norma nel senso di non ritenere ostativa alla cumulabilità dell'indennità di maternità a carico della Cassa con altre erogate da diversi enti di previdenza la previsione di apposita dichiarazione da corredare alla domanda . Altrimenti opinando la disposizione finirebbe con il porsi in contrasto con gli articolo 31 secondo comma e con lo stesso articolo 3 della Costituzione facendo perdere all'avv.to B. l'indennità di maternità gestita dalla Cassa e correlata ai i ben più consistenti renditi professionali goduti nel periodo di riferimento pregiudicando fortemente il livello di reddito goduto in precedenza. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Cassa con un motivo, corredato da memoria difensiva ex articolo 378 c.p.c. resiste l'intimata con controricorso. Motivi della decisione Con il proposto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articolo 70 e 71 D. Lgs numero 151 /2001 nonché l'omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata. L'interpretazione offerta dalla Corte territoriale della normativa in materia è in contrasto con la formulazione letterale dell'articolo 71 del citato Decreto legislativo del 2001 che non consente alla Cassa di erogare il trattamento di maternità allorché la lavoratrice abbia già goduto per lo stesso titolo di un trattamento a carico di altro ente previdenziale come nel caso di specie avendo l'Avv.to B. già ottenuto la provvidenza in parola dall'INPDAP in virtù di un rapporto di lavoro part-time nel comparto scuola. La ratio della norma era quella di impedire il cumulo della prestazione sussisteva inoltre un diverso sistema di finanziamento delle gestione della maternità per le libere professioniste e per i dipendenti pubblici e non sussiste alcun dubbio di legittimità costituzionale in quanto la giurisprudenza della Corte costituzionale non ha mai affermato il diritto della lavoratrice a mantenere lo stesso livello di reddito precedente il periodo di gravidanza. Il motivo appare fondato e pertanto va accolto. Il thema decidendum è la retta interpretazione dell'articolo 71 D. Lgs numero 151 /2001 che così recita al primo comma l'indennità di cui all'articolo 70 è corrisposta, indipendentemente dall'effettiva astensione dell'attività dalla competente cassa dall'interessata a partire dal compimento del sesto mese di gravidanza ed entro il termine perentorio di 180 gg. dal parto. Al secondo comma si aggiunge la domanda, in carta libera, deve essere corredata da certificato medico comprovante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto, nonché dalla dichiarazione redatta ai sensi del DPR 28.12.2000, numero 445 attestante l'inesistenza del diritto alle indennità di maternità di cui al Capo 2 ed al Capo 11 . Ora, alla luce delle due norme, il diritto in parola può essere richiesto a condizione che la lavoratrice ne faccia domanda, documenti idoneamente lo stato di gravidanza e la data presunta del parto ed attesti con dichiarazione ad hoc l'inesistenza di altro trattamento di maternità come lavoratrice pubblica o autonoma. Si tratta, sotto quest'ultimo profilo, di un requisito essenziale per l'erogazione della prestazione posto che l'articolo 71 dispone che la domanda deve essere corredata la finalità della norma è in piena evidenza quella di evitare il cumulo di prestazioni da parte di più enti previdenziali per lo stesso evento e cioè la situazione di maternità, come peraltro previsto anche per altre prestazioni di natura assistenziale o previdenziale. La formulazione della norma appare del tutto chiara ed univoca e non consente una interpretazione diversa dall'impossibilità di godere del trattamento previsto dall'articolo 70 nel caso in cui la richiedente goda già di una prestazione di altro ente in quanto, diversamente opinando, la disposizione sarebbe inutiliter data e non avrebbe alcuna utilità l'argomento per cui l'articolo 70 non prevederebbe alcun divieto di cumulo tra prestazioni erogate da più enti per lo stesso titolo è privo di pregio in quanto l'articolo 70 definisce i termini della prestazione, mentre l'articolo 71 regola in dettaglio le condizioni di erogazione tra le quali in particolare che si documenti attraverso una autocertificazione l'insussistenza di prestazioni per la maternità già concessi in virtù di diversi rapporti assicurativi. Infine non possono condividersi i dubbi di legittimità costituzionale della norma in discorso, una volta interpretata alla luce del suo univoco significato letterale e sistematico, in relazione agli articolo 3 e 31, comma secondo, della Costituzione ed anche in riferimento agli articolo 32 e 37 della Costituzione posto che la giurisprudenza costituzionale ha precisato che l'indennità di maternità serve ad assicurare alla madre lavoratrice la possibilità di vivere questa fase della sua esistenza senza una radicale riduzione del tenore di vita che il suo lavoro le ha consentito di raggiungere e ad evitare che alla maternità si ricolleghi una stato di bisogno economico Corte cost. nnumero 1/1987, numero 276/88, numero 332/88, numero 61/91, numero 132/91, n, 423/95 numero 3/98 , ma che l'orientamento della Corte delle leggi così come ricostruito nello stesso provvedimento impugnato parla di una radicale riduzione del tenore dello vita, nonché di uno stato di bisogno, situazioni che quindi certamente non coincidono automaticamente con una determinazione dell'indennità in una misura ridotta rispetto alla precedente retribuzione goduta prima dello stato di gravidanza. Lo stesso concetto di tenore di vita cfr. sentenza numero 3/1998 non è sovrapponibile a quello di livello retributivo goduto in senso stretto, essendo valutabile nel suo complesso e tenuto conto di plurimi elementi di giudizio. Peraltro non è neppure automaticamente estensibile una giurisprudenza formatasi in gran parte in ordine alle prestazioni di maternità godute in relazione ad una singola professione o ad un singolo rapporto di lavoro autonomo o subordinato al caso in esame, in cui si discute del vantato cumulo tra prestazioni per maternità provenienti da enti diversi per tipologie di lavoro diverso professionale e di dipendenza pubblica . Si deve anche ricordare che questa Corte, in relazione proprio all'indennità di maternità dovuta alle libere professioniste, ha osservato che la determinazione del sistema indennitario rientra nella discrezionalità del legislatore che è libero di modulare diversamente nel tempo e a seconda delle categorie di lavoratrici madri, il livello di tutela della maternità con misure di sostegno legate a fattori di variabilità incidenti ora sulla salvaguardia del livello di reddito delle fruitrici dell'indennità ora ad esigenze di bilancio, tenuto conto dell'incidenza quantitativa delle erogazioni che, per quanto riguarda la professione legale, è mutata rispetto ai primi anni di applicazione della legge cass. numero 22023/2010 . L'evoluzione della medesima normativa in esame per effetto della legge numero 289/2003 mostra peraltro, essendo stata introdotta una misura massima per le l'indennità di maternità in favore delle libere professioniste, la mancanza di correlazione stretta tra livelli retributivi goduti e contributi erogati e la misura della prestazione di maternità. Infine la considerazione per cui la lavoratrice in concreto abbia subito una riduzione molto sensibile del tenore di vita precedentemente goduto in quanto ha ottenuto la sola prestazione a carico dell'INPDAP in relazione ad un rapporto part time non appare risolutiva per decidere la presente controversia in quanto ciò è avvenuto per scelta della stessa ricorrente che non ha optato per il trattamento offerto dalla Cassa, ma per quello dell'ente di previdenza pubblico, senza quindi usufruire degli ingenti secondo la difesa della lavoratrice contributi professionali versati. Ma questa conseguenza è stato il frutto di una decisione della stessa lavoratrice che secondo la decisione impugnata ha presentato domanda alla Cassa dopo aver già ottenuto il trattamento INPDAP e quindi senza una preventiva informazione sulla normativa del settore che avrebbe, con ogni probabilità, evitato questa penalizzante soluzione. Si deve quindi cassare la sentenza impugnata e, non necessitando la controversia ulteriori approfondimenti istruttori, può decidersi la causa nel merito con il rigetto della domanda. Stante l'assenza di precedenti di legittimità sussistono giusti motivi per compensare le spese tra le parti dell'intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa le spese dell'intero processo.