L’OUA ha proclamato lo sciopero degli avvocati per il 23 e 24 febbraio p.v. con occupazione degli Uffici giudiziari in oltre 100 città e altre 14 iniziative approvate per contrastare la rottamazione della giustizia e le liberalizzazioni selvagge. Liberalizzazioni che, per l’Avvocatura, consisterebbero, in sintesi, nell’abolizione delle tariffe, in un accesso più semplice alla professione, e nella possibilità di formare società di capitali tra professionisti e non.
Siamo arrivati a queste forme di protesta perché da più parti si sostiene che la modernizzazione del Paese deve passare attraverso la liberalizzazione delle professioni che, per l’Avvocatura, consisterebbe, in sintesi, nell’abolizione delle tariffe sostituite da accordi scritti con il cliente per le prestazioni, in un accesso più semplice, nella possibilità di formare società di capitali tra professionisti e non, equiparando sostanzialmente l’avvocato al libero imprenditore. Con il decreto Monti ci siamo arrivati e il Presidente ha dichiarato che non sa se sarà posto il voto di fiducia perché ha fiducia nella comprensione delle categorie interessate. Si tratta di una visione criticabile, quella del decreto, perché l’avvocato, per quanto libero professionista, svolge una funzione essenziale nell’ambito dell’Amministrazione della Giustizia, difendendo interessi molto delicati per la persona e la collettività. C’è il concreto rischio che una delegificazione selvaggia esponga i cittadini al rischio di essere assistiti da professionisti inadeguati a difendere interessi primari quali la libertà, il lavoro, il patrimonio, il rapporto con la Pubblica Amministrazione, ecc L’attuale situazione di declino della classe forense, per esorbitanza degli iscritti e per la mancata approvazione di una seria legge professionale, gravi mali che però non possono essere addebitati alla categoria degli avvocati, dovrebbe indurre alla riflessione opposta quella, cioè, dell’urgenza di attuare tutti gli strumenti utili ed adeguati a riqualificare la professione forense in termini di accesso, di controllo professionale e deontologico per proteggere di più il cittadino utente e per un miglior funzionamento del sistema giudiziario. Il cittadino viene prima, l’avvocato dopo. Si dovrebbe cioè porre al centro della attenzione il cittadino e non già l’avvocato per creare al cittadino migliori opportunità. L’avvocato sciopera per difendere i propri interessi o per difendere quelli del cittadino? È mia convinzione che per tale fine però lo strumento dello sciopero sia inadeguato ed inefficiente perché non riuscirà a catturare il consenso e la comprensione della collettività rispetto ai problemi sollevati vuoi che li si esamini da una parte, avvocatura, vuoi che li si esamini dall’altra, cittadinanza. Il cittadino dirà sempre che l’avvocato sciopera per difendere i propri interessi e non già l’inverso e cioè che sciopera per difendere gli interessi del cittadino. Che fare allora? La prima cosa che dovrebbe fare l’Avvocatura sarebbe quella di chiedere ed ottenere un profondo rinnovamento dell’attuale management che ha dato sin qui tutto quanto poteva dare e che va ringraziato ma che ora si trova in difficoltà nel governare il cambiamento. Il nuovo management dovrebbe essere formato dalle generazioni di mezzo, invertendo il detto popolare che «l’Italia non è un paese per giovani», perché sono consapevoli dei problemi ma sanno anche guardare al futuro e alle sfide del futuro. Agli avvocati e alle associazioni forensi non mancano, infatti, possibilità ed occasioni di denuncia di problematiche serie, come quelle di cui abbiamo parlato, alternative allo sciopero e più adeguate alla loro funzione per discutere di giustizia e di riforme, senza tabù, in modo pacato e senza contrapposizioni. E anche questa sarebbe una rivoluzione!