Audizione del minore, sì o no? Non può essere esclusa basandosi sulla mera previsione che possa creare disagio

La testimonianza del minore non può essere esclusa sulla base della mera previsione che la audizione possa produrgli un disagio. Se così fosse, mai nessun bambino dovrebbe essere sentito in ambito giudiziario.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 39766, depositata il 25 settembre 2013. Il caso. Un uomo veniva condannato, in entrambi i giudizi di merito, per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, compiuto atti sessuali con la figlia minore. È la prima doglianza del ricorso per cassazione presentato dall’imputato ad essere accolta, restando assorbite le altre questioni. Indispensabile l’audizione degli adulti ai quali il minore si è per primo confidato. Nello specifico la S.C. ha ribadito che, nei reati sessuali con vittime minori di tenera età, è indispensabile l’audizione degli adulti di riferimento ai quali la piccola parte offesa si è per primo confidata . Tale audizione è finalizzata alla ricostruzione di quali siano stati la genesi della notizia di reato, la prima dichiarazione del bambino – che, se spontanea, è la più genuina perché immune da interventi intrusivi - le domande degli adulti, le relative risposte dell’interrogato, l’eventuale incremento del racconto del bambino nel tempo. Ma non è esclusa la testimonianza del minore. Tuttavia, chiariscono gli Ermellini, la testimonianza del minore non può essere esclusa sulla base della mera previsione che la audizione possa produrgli un disagio se così fosse, mai nessun bambino dovrebbe essere sentito in ambito giudiziario . Saranno dunque i giudici del rinvio a riconsiderare il tema essenziale dell’impossibilità dell’assunzione diretta della minore per infermità alla stregua del principio secondo cui non è consentita un’interpretazione estensiva delle prescrizioni poste dall’art. 195, comma 3, c.p.p. testimonianza indiretta .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 aprile – 25 settembre 2013, n. 39766 Presidente Squassoni – Relatore Fiale Ritenuto in fatto La Corte di appello di Perugia, con sentenza del 25.11.2011, ha confermato la sentenza 25.10.2010 del Tribunale di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di M.M. in ordine al reato di cui - agli artt. 81 cpv. e 609 quater cod. pen. [per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, compiuto atti sessuali con la figlia minore L. nata il omissis ed in presenza della medesima allo scopo di farla assistere - in omissis , in periodo compreso fra il omissis ] e lo aveva condannato alla pena principale di anni 7 e mesi 4 di reclusione ed alle pene accessorie di legge. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del M. , il quale ha eccepito - Violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine a prova decisiva in relazione al rigetto della richiesta di rinnovo dell'istruzione dibattimentale consistente nell'esame della persona offesa minore. Si rileva al riguardo che la Corte ha immotivatamente disatteso la circostanza che sia il perito ausiliario del giudice sia il perito del Tribunale, nominati al fine di stabilire la maturità psichica e cognitiva della bambina al fine di essere sentita e l'eventuale pregiudizio dell'esame per il suo sviluppo psicologico, pur escludendo la possibilità di un ascolto immediato non avevano escluso che l'esame potesse avvenire successivamente, e dunque anche in fase di gravame di qui la mancata assunzione di prova decisiva con lesione del diritto al contraddicono. - Violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità. Si deduce che - la dr.ssa N. si sarebbe richiamata, nella sua relazione peritale, non sorretta da alcun riscontro probatorio, alle affermazioni rese dagli operatori ammettendo peraltro che era sempre mancato un racconto articolato e spontaneo della bambina sulla figura del padre - la Corte avrebbe erroneamente valutato come elementi di riscontro il contenuto dei disegni, mancanti però di allusioni a simboli fallici, effettuati dalla bambina - gli stessi operatori non avrebbero considerato la riconducibilità di comportamenti della piccola L. , ritenuti evocativi di atti sessuali, alla complessa e travagliata situazione familiare, caratterizzata anche da un prematuro allontanamento dai genitori - le mere dichiarazioni rese da un operatore, non estremamente qualificato, circa il racconto di una bambina, non potevano integrare una prova certa specie in mancanza dell'ascolto dell'unica testimone diretta - non sarebbe stata attentamente considerata la deposizione della pediatra dr.ssa C. in ordine alla inesistenza di alcunché a carico delle parti anatomiche della bambina e in ordine alla mancata ricezione di confidenze o dichiarazioni della minore - le deposizioni dei testi, incolte e approssimative, sarebbero stata caratterizzate da discrasie e affievolimento mnemonico, tanto da essersi rese necessarie contestazioni durante l'esame, significative della non credibilità delle versioni rese - non sarebbero state indicate le ragioni della ritenuta attendibilità dei testimoni e sarebbero immotivatamente state ritenute prevalenti le dichiarazioni rese dai psicoterapeuti su quelle rese dalla pediatra. - Violazione ed erronea applicazione degli artt. 192, 521 e 522 cod. proc. pen., non comprendendosi, dalla lettura della sentenza impugnata, per quale fatto sia in realtà intervenuta condanna. Considerato in diritto Con la prima doglianza il ricorrente ha eccepito una fondamentale lacuna probatoria per la circostanza che - pure a fronte di una specifica richiesta di rinnovazione all'uopo del dibattimento - la voce diretta della piccola L. non è stata introdotta nel processo e non è stata accertata la sua impossibilità a testimoniare. Tale eccezione è fondata e deve essere accolta, restando assorbite le questioni poste con gli ulteriori motivi di ricorso. I Giudici dell'appello hanno precisato che il compendio istruttorio si fondava su prove formate al di fuori del contraddittorio tra le parti, perché la dr.ssa B. nominata perito nell'incidente probatorio finalizzato a valutare la praticabilità di escutere la minore e la dr.ssa Ci. che il Tribunale aveva nominata perito, ai fini della medesima valutazione, nell'ambito del giudizio di primo grado avevano entrambe riferito che la minore non poteva essere assoggettata all'ascolto, permanendo gli esiti dell'abuso patito , sicché l'assunzione diretta delle sue dichiarazioni le avrebbe provocato un grave pregiudizio . Il Collegio condivide e ritiene di dovere ribadire, sul punto, le considerazioni già svolte da questa Sezione nella sentenza 11.6.2009, n. 30964, ove è stato argomentato che, nei reati sessuali con vittime minori di tenera età, è indispensabile la audizione degli adulti di riferimento ai quali la piccola parte offesa si è per primo confidata ciò per potere ricostruire quali siano stati la genesi della notizia di reato, la prima dichiarazione del bambino che, se spontanea, è la più genuina perché immune da interventi intrusivi , le domande degli adulti, le relative risposte dello interrogato, l'eventuale incremento del racconto del bambino nel tempo. Quanto appena evidenziato non toglie però la necessità di acquisire, quando è possibile, il racconto della vittima il cui apporto è infungibile nella ricostruzione storica dei fatti essendo l'unico teste diretto. Nella sentenza citata questa Sezione ha ritenuto che la opzione migliore, anche se non imposta dalla legge, è quella di attivare, il più presto possibile rispetto alla notizia dell'abuso, l'incidente probatorio che è la sede privilegiata per l'audizione del minore nel quale disporre la perizia per verificare la capacità del bambino a testimoniare ed, indi, assumere le sue dichiarazioni. Punto fermo è che la parte lesa non deve essere vittima, oltre che del reato, anche dell'attività giudiziaria rivolta all'accertamento dello stesso. Con riferimento a tale principio, in molti casi di abuso sessuale ai danni di minori, nonostante le predisposte cautele procedimentali, non si assume la fonte diretta di conoscenza con una interpretazione estensiva dell'art. 195, comma 3, cod. proc. pen. vietata trattandosi di eccezione ad una regola generale ed annoverando nella nozione di infermità posta dalla norma la naturale fragilità del piccolo per il comprensibile timore che possa subire vittimizzazioni secondarie dalla audizione processuale. A tale previsione si sono riferiti, nella fattispecie in esame, i Giudici di merito anche se non hanno specificamente indicato il referente normativo. Il tema - sempre come rilevato nella sentenza n. 30964/2009 di questa Sezione - è di particolare delicatezza perché coinvolge il diritto dell'imputato a confrontarsi con il suo accusatore, garantito dalla Costituzione, ed il diritto della giovane vittima alla salute, anche esso di rilevanza costituzionale. Dal momento che il processo in sé è portatore di sofferenza per i bambini e per gli adulti , la testimonianza del minore non può essere esclusa sulla base della mera previsione che la audizione possa produrgli un disagio se così fosse, mai nessun bambino dovrebbe essere sentito in ambito giudiziario. Di conseguenza è stato affermato il principio - che questo Collegio condivide e ribadisce - secondo il quale la regola fondamentale del processo penale, per cui la prova si forma in contraddicono tra le parti, può essere trasgredita solo in presenza di gravi ragioni ostative alla acquisizione della fonte diretta. Si può, quindi, prescindere dal contributo narrativo del minore laddove un professionista competente, con un motivato parere, segnali che il piccolo ha una personalità così fragile da potersi equiparare ad infermità oppure evidenzi la possibilità di insorgenza di danni, anche transeunti, alla salute del bambino, collegati alla testimonianza. In questi casi, si deve rinunciare al racconto diretto della giovane vittima e ricostruire la vicenda storica con l'apporto di testi de relato negli altri casi, è opportuno che il bambino sia escusso, possibilmente in un ambiente a lui familiare, con l'attivazione di tutte le precauzioni necessari e per evitargli turbamenti, con l'assistenza di uno psicologo che lo sostenga e lo aiuti a superare lo scoglio della testimonianza. Non bisogna dimenticare che, stante la scarsa autonomia del bambino, gli adulti ne sono spesso i portavoce questi normalmente non sono edotti del pericolo che le preoccupazioni le ansie dello interrogante contaminino le risposte del piccolo interlocutore. Ne consegue che l'attendibilità del contenuto delle dichiarazioni de relato , riferite a soggetti minori in tenera età, è spesso gravata da dubbi che possono essere superati solo mediante la escussione del teste diretto effettuata con modalità rispettose del contraddicono delle parti e della integrità psico-fisica del bambino . Nella vicenda in esame, le consulenti hanno prospettato che la piccola L. , pur disponendo di maturità psichica congrua all'età anagrafica e di buone competenze cognitive , non poteva rendere testimonianza, perché da ciò sarebbe derivata una sofferenza psichica tale da ripercuotersi sul suo stato di benessere psichico attuale e futuro . In tale contesto è stata evidenziata soltanto una sofferenza psichica , mentre avrebbe dovuto essere verificata - anche nel successivo giudizio di appello - la possibilità di sentire la bambina in audizione protetta senza causare danni alla sua salute ed in caso positivo, per quanto riferito, si presentava doverosa l'escussione della piccola espressamente sollecitata dalla difesa. Solo se tale richiesta fosse mancata, le testimonianze indirette avrebbero dovuto essere valutate alla stregua di ogni altra prova rappresentativa e non come prova logica o indiziaria, ma con ponderazione caratterizzata da particolare cautela al fine di verificare se la narrazione degli adulti nella specie gli operatori del servizio sociale D. , Da. e Ma. , gli altri testimoni escussi ed in particolare la dr.ssa N. , che aveva sottoposto la bambina ad osservazione specifica per individuare il significato dei gesti da lei posti in essere su quanto da essi percepito fosse in sintonia con quanto la piccola intendeva realmente esprimere con le modalità espressive di cui era capace, in una situazione in cui rilevo non secondario assume il tema della contestata interpretazione dei disegni fatti dalla bambina durante gli accertamenti psicoterapeutici, ai quali - secondo la prospettazione difensiva - non sarebbe attribuibile alcuna valenza sessuale. Per le esposte ragioni, la impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Firenze perché la Corte territoriale di Perugia ha un'unica Sezione , affinché i nuovi giudici riconsiderino il tema essenziale dell'impossibilità dell'assunzione diretta della minore per infermità alla stregua del principio secondo il quale non è consentita un’interpretazione estensiva delle prescrizioni poste dal 3 comma dell'art. 195 cod. proc. pen Solo in esito alla soluzione di tale preliminare questione i giudici del rinvio valuteranno se le emergenze probatorie consentano, oltre ogni ragionevole dubbio, di individuare l'effettivo accadimento delle condotte illecite ascritte all'imputato. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Firenze.