Costringe la vittima a lasciare la moglie: né minaccia né tentata violenza privata, se il giudice non motiva

In caso di condanna per violenza privata e minaccia il giudice deve espressamente e puntualmente rappresentare in sentenza le ragioni che sono alla base della decisione adottata, nonché indicare rigorosamente le imputazioni cui ricondurre le fattispecie integranti i reati.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione con sentenza numero 29214, depositata il 4 luglio 2014. Il caso. L’imputato ricorreva per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello che lo condannava per tentata violenza privata e minaccia. Il reato continuato di tentata violenza privata era contestato come finalizzato a indurre la persona offesa a lasciare la moglie, culminato nell’episodio commesso al fine di costringere la vittima ad aprire la porta di casa. Tentata violenza privata. In primo luogo, il ricorrente lamentava vizio di motivazione e inosservanza dell’articolo 610 c.p. violenza privata , poiché giudicato responsabile erroneamente in base a episodi risalenti nel tempo e dei quali non è stato fornito un doveroso preciso addebito. Persino l’episodio finale, a giudizio del ricorrente, commesso al fine di costringere la vittima ad aprire la porta, non conterrebbe gli elementi della tentata violenza privata, bensì, tuttalpiù, quelli della minaccia aggravata. Secondo la Corte di Cassazione, la motivazione della sentenza impugnata appare priva di «effettività», poiché non idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a sostegno della decisione adottata Cass., Sez. I, numero 41738/11 . Invero, i fatti contestati all’imputato posti alla base dell’imputazione risultano privi di una puntuale indicazione e collocazione nel tempo. Minaccia. In secondo luogo, il ricorrente sostiene la mancanza di alcun riferimento ad autonome e a sé stanti minacce, integranti il reato di cui all’articolo 612 c.p., posto che la violenza e le minacce sono elementi costitutivi del delitto di violenza privata già contestato all’imputato. A tal proposito, la Cassazione ravvisa, difatti, nella sentenza impugnata la mancanza di una specifica indicazione delle imputazioni cui ricondurre le fattispecie integranti il reato di minaccia, con conseguente mancanza di una motivazione puntuale in ordine all’autonoma ravvisabilità del reato di cui all’articolo 612 c.p Per questi motivi la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 aprile– 4 luglio 2014, numero 29214 Presidente Ferrua – Relatore Caputo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata, all'esito del giudizio abbreviato, il 19/04/2012, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brindisi ha giudicato P.G. colpevole dei reati di cui A agli articolo 81, secondo comma, 56 - 610, 612, secondo comma, cod. penumero , 4 L. numero 110 del 1975 B agli articolo 56 - 610, 612, secondo comma, cod. penumero , 4 L. numero 110 del 1975. Con sentenza deliberata il 21/12/2012, la Corte di appello di Lecce ha ridotto la pena irrogata all'imputato, confermando nel resto la sentenza impugnata. La Corte di merito ha rilevato che con riferimento all'imputazione sub A , il reato continuato di tentata violenza privata è contestato come finalizzato a costringere Pr.Mi. a lasciare la moglie C.V. ed è riferito alle numerose occasioni in cui l'imputato aveva posto in essere condotte violente e minacciose ai danni della persona offesa il reato contestato sub B si riferisce al solo episodio del omissis commesso al fine di costringere la vittima ad aprire la porta il reato di minaccia non può ritenersi assorbito in quello di tentata violenza privata, sia perché l'imputato ha posto in essere minacce sganciate dal fine di costringere Pr. a lasciare la moglie o ad aprire la porta, come quando, nella parte finale dell'episodio del omissis , sfidava la persona offesa a raggiungerlo, minacciandolo di morte, sia perché i due reati possono concorrere. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Lecce ha proposto ricorso per cassazione, nell'interesse di P.G. , il difensore avv. G. Castrignanò, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173, comma 1, disp. att. cod. proc. penumero . 3.1. Vizio di motivazione e inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 610 cod. penumero L'imputato è stato erroneamente ritenuto responsabile anche di un tentativo di violenza privata, sulla base del primo capo di imputazione, in continuazione con episodi precedenti, mettendo in relazione il fatto di minaccia verificatosi il 14/12/2011 con precedenti episodi di minaccia asseritamente rivolti a coartare la volontà di Pr.Mi. questi episodi si sarebbero verificati in tempi assai risalenti a partire dal 2004 e degli stessi non viene fornito un doveroso preciso addebito, costituendo ogni fatto-reato un'entità autonoma e non potendo corroborare l'episodio finale del omissis , che, autonomamente considerato non contiene gli elementi della tentata violenza privata, ma, al più, di minaccia aggravata. 3.2. Vizio di motivazione e inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 610 cod. penumero Con riferimento alla qualificazione di cui alla seconda imputazione, le frasi pronunciate dall'imputato non erano idonee ad integrare il tentativo di violenza privata, trattandosi semplicemente di espressioni minacciose. 3.3. Vizio di motivazione e inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 84 cod. penumero . La sentenza impugnata ha violato l'articolo 84 cod. penumero , poiché la violenza e la minaccia sono elementi costitutivi del delitto di violenza privata, sicché le parole minacciose addebitate all'imputato, soprattutto nell'episodio di cui alla seconda imputazione, sarebbero solo una modalità di esplicazione dell'azione coercitiva dell'imputato, come espressamente contestato nel capo di imputazione indicato, ove non vi è alcun riferimento ad autonome e a sé stanti minacce. Considerato in diritto Il ricorso è fondato, nei termini di seguito indicati. Sussiste il vizio di motivazione denunciato con il primo motivo. La sentenza impugnata, infatti, per un verso afferma che l'imputazione fa riferimento alle “numerose occasioni in cui P. aveva posto in essere condotte violente e minacciose nei confronti della persona offesa”, riferimento, tuttavia, disancorato dalla puntuale indicazione e collocazione nel tempo dei fatti contestati per altro verso, invece, la Corte di merito sembra attribuire ai fatti pregressi rispetto all'episodio del 14/12/2011 una valenza dimostrativa della finalità delle condotte ascritte all'imputato, evidenziando che l'orientamento finalistico di esse emerge dal contegno complessivo di P. , la cui “opera persecutoria era univocamente volta a costringere Pr. a lasciare la C. , in modo da poter egli riallacciare la relazione sentimentale con la stessa”. Le indicate incongruenze fanno sì che la motivazione della sentenza impugnata sia priva di effettività , non essendo realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata Sez. 1, numero 41738 del 19/10/2011 - dep. 15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516 . È del pari fondato il terzo motivo di ricorso, restando assorbito il secondo motivo. Il riferimento, operato dalla Corte di merito, a minacce sganciate dal fine di costringere la persona offesa a lasciare la moglie o ad aprire la porta, pur correlato ad una frase pronunciata dall'imputato, resta disancorato dalla specifica indicazione delle imputazioni cui ricondurre le fattispecie integranti il reato di minaccia indicazione necessaria in quanto entrambi i capi di imputazione ricomprendono tale delitto , nonché dalla puntuale motivazione in ordine alla riconducibilità o meno delle frasi ritenute solo minacciose ad medesimo contesto spazio-temporale e alle conseguenti valutazioni circa l'autonoma ravvisabilità, nel caso di specie, del reato di cui all'articolo 612 cod. penumero . La sentenza impugnata, pertanto deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Lecce. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.