Al confine tra verità e menzogna: quando la vittima è un testimone vulnerabile

I bambini piccoli non mentono consapevolmente e la loro fantasia attinge pur sempre ad un patrimonio conoscitivo che deve essere contemperato con la consapevolezza che gli stessi possono essere dichiarati attendibili se lasciati liberi di raccontare, ma diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni eteroindotte. Le loro dichiarazioni, pertanto, devono essere valutate con la dovuta neutralità e con l’aiuto delle scienze pedagogia, psicologia, sessuologia che hanno rilievo in materia.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza 10486 del 5 marzo 2014. Il fatto. La Corte d’Appello di Messina confermava la condanna di un uomo alla pena di cinque anni e due mesi di reclusione per il reato continuato di atti sessuali in danno della figlia avente meno di dieci anni. Tale decisione si basava sulle deposizioni della madre e del suo convivente, ritenute coerenti e concordanti, scevre da esasperazioni e da spirito di vendetta, nonché sul contenuto di una registrazione ambientale, sulle dichiarazioni rese dalla bambina nel corso dell’incidente probatorio e sulle conclusioni dell’esame psichiatrico condotto su di lei. L’imputato ricorre per cassazione, sostenendo che il dichiarato della madre e del suo convivente erano il frutto dell’acceso rancore nei suoi confronti, mentre quelle della minore erano dovute alla suggestione trasmessale dalla madre stessa. La testimonianza infantile la linea sottile tra verità e fantasia. Senza dubbio, nel caso di specie, la parte lesa, per la sua tenera età e la conseguente limitata capacità cognitiva non sarebbe stata in grado di architettare da sola un falso racconto come quello enucleato nel capo di imputazione. Come già affermato dalla Suprema Corte, i bambini piccoli non mentono consapevolmente e la loro fantasia attinge pur sempre ad un patrimonio conoscitivo che deve essere contemperato con la consapevolezza che gli stessi possono essere dichiarati attendibili se lasciati liberi di raccontare, ma diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni eteroindotte. Prova dichiarativa debole una valutazione complessa. Le loro dichiarazioni, pertanto, devono essere valutate con la dovuta neutralità e con l’aiuto della scienze pedagogia, psicologia, sessuologia che hanno rilievo in materia. L’esame critico deve essere particolarmente pregnante in presenza di dichiarazioni de relato. Si comprende che la valutazione delle dichiarazioni testimoniali del minore persona offesa di reati sessuali presuppone un esame della sua credibilità in senso onnicomprensivo, in relazione all’attitudine, in termini intellettivi ed affettivi, a testimoniare, alla capacità a recepire informazioni, ricordarle e raccordarle, alle condizioni emozionali che modulano i rapporti col mondo esterno, alla qualità e alla natura delle dinamiche familiari e ai processi di rielaborazione delle vicende vissute, con particolare attenzione a certe naturali e tendenziose affabulazioni. Da evitare le domande suggestive. Nel caso in esame, la sentenza di condanna si è basata essenzialmente sulle deposizioni de relato della madre e del suo convivente, che avevano rivolto domande alla bambina in modo suggestivo, indicendola a fornire determinate risposte. Facile capire che una simile tecnica di indagine è assolutamente da evitare, data la delicatissima psicologia infantile. Manca la verifica dell’attendibilità dei testimoni. Inoltre, l’attendibilità dei testimoni non è stata adeguatamente verificata così come la spontaneità del raccolto della piccola vittima, essendo stato semplicisticamente richiamato l’esame neuropsichiatrico della minore condotto dal perito d’ufficio in sede di incidente probatorio, che ha accertato l’esistenza di turbe comportamentali attribuibili a pregresse esperienze traumatiche, ma solo in termini di probabilità o comunque frutto di una rielaborazione fantastica del suo personale vissuto. Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 dicembre 2013 – 5 marzo 2014, numero 10486 Presidente Squassoni – Relatore Orilia Ritenuto in fatto Con sentenza 28.2.2012 la Corte d'Appello di Messina ha confermato la condanna di D'A.M. alla pena di anni cinque e mesi due di reclusione per il reato continuato di atti sessuali in danno della figlia M. di età inferiore a 10 anni. La Corte territoriale, dopo avere riportato ampi brani delle deposizioni di P.S. madre della minore e di M.G. convivente della P. all'epoca dei fatti , ha ritenuto coerenti e concordanti le rispettive dichiarazioni, scevre da esasperazioni e da spirito di vendetta. Ha richiamato il contenuto della registrazione ambientale del 2.7.1999 nonché le dichiarazioni rese dalla bambina nel corso dell'incidente probatorio e le conclusioni dell'esame psichiatrico condotto sulla stessa dalla dott.ssa M., ritenendo che queste ultime si pongono come importante elemento di riscontro del narrato della P. perché danno atto delle condizioni di ansia e stress post traumatico della minore, accentuate in riferimento alla figura paterna, alla quale la bambina associa aggressività e segreti inconfessabili. La Corte d'Appello ha comunque escluso valenza probatoria all'intercettazione ambientale presso l'abitazione estiva dell'imputato, non ravvisando in essa rumori sospetti e dissociandosi così dalle opposte sensazioni espresse al riguardo dal primo giudice. La sentenza è stata impugnata per cassazione dai difensori dell'imputato con due separati ricorsi. Ricorso dell'avv. L.P. Si articola in sette motivi, tutti incentrati sul vizio di motivazione con particolare riferimento alla ritenuta attendibilità della madre della bambina la P. e del suo convivente all'epoca dei fatti il M. . Essi possono così sintetizzarsi 1 violazione dell'articolo 606 lett. e cpp, sottolineandosi che la Corte di merito non ha considerato l'acceso rancore della P. verso il D'A. per i loro pregressi rapporti personali 2 violazione dell'articolo 192 cpp con riferimento alle accuse di una bambina acquisite attraverso deposizioni indirette, che si risolvono in meri indizi 3 travisamento della prova, con riferimento alle dichiarazioni rese da D.N.G. e F.M. non considerate e al rancore esistente tra le parti 4 vizio di motivazione sull'interpretazione del racconto della minore, frutto di suggestione trasmessa dalla madre in conflitto personale con l'imputato 5 travisamento dell'incidente probatorio, delle risultanze della perizia di ufficio e della videoregistrazione 6 travisamento della deposizione della P., evidenziandosi contraddizioni e rancore verso l'imputato 7 travisamento del contenuto delle conversazioni intercettate. Ricorso proposto dall'avv. V. L'impugnazione dell'avv. V. si sviluppa a sua volta in unico motivo con cui si denunzia il vizio di motivazione con riferimento agli articolo 192, 195, 533, 546 cpp nonché 81, 609 ter e quater cp. Considera il ricorrente che già il giudice di primo grado aveva mostrato di nutrire dubbi sulla responsabilità dell'imputato tant'è che, per fugarli, aveva attribuito valore decisivo al contenuto di una conversazione intercettata tra padre e figlia avvenuta il 3.6.1999 e comprovante - a dire del Tribunale - un atto di masturbazione in corso. Rileva il ricorrente che, al contrario, la Corte d'Appello ha negato valenza probatoria a tale elemento, il che sta a dimostrare proprio l'incertezza della prova in una vicenda caratterizzata da beghe amorose e conflitti mai sopiti , nonché la presenza di errori e sconnessioni nella sentenza impugnata. Rileva ancora che le dichiarazioni della bambina erano finalizzate a soddisfare il desiderio della madre di distorcere i fatti per motivi di astio verso il D'A., il suo ex compagno che l'aveva lasciata. Secondo il ricorrente il vizio di motivazione consiste nella parzialità della scelta dei temi di indagine. Si sofferma poi sul ruolo del teste d'accusa M. ex compagno della P. , osservando in proposito che una sua eventuale ritrattazione lo avrebbe esposto ad una denunzia penale per calunnia e rileva comunque che egli era stato irretito dalla donna. L'impugnazione è corredata da motivi aggiunti con cui si rileva il mancato esame dell'induzione colposa della minore ad opera della madre, che ha scatenato un meccanismo di gioco. Il ricorrente insiste ancora nel sottolineare il rancore serbato dalla P. verso l'imputato. Considerato in diritto Il ricorsi sono fondati. La particolare difficoltà del caso si incentra nella circostanza che l'accusa è rappresentata dalla voce solo indiretta della giovane parte offesa, riguardante fatti dei quali essa non dovrebbe avere esperienza e che non potrebbero essere il frutto della sua personale confabulazione la parte lesa, per la sua tenera età e conseguente limitata capacità cognitiva, di regola non è in grado di architettare da sola un falso racconto come quello enucleato nel capo di imputazione. Tuttavia - come già affermato da questa Corte v. Sez. 3, Sentenza numero 37147 del 18/09/2007 Cc. dep. 09/10/2007 Rv. 237553 - l'assunto secondo il quale i bambini piccoli non mentono consapevolmente e la loro fantasia attinge pur sempre ad un patrimonio conoscitivo deve essere contemperato con la consapevolezza che gli stessi possono essere dichiaranti attendibili se lasciati liberi di raccontare, ma diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni eteroindotte interrogati con domande inducenti, tendono a conformarsi alle aspettative dell'interlocutore. Necessita, quindi, che le dichiarazioni dei bambini siano valutate dai Giudici con la necessaria neutralità ed il dovuto rigore e con l'opportuno aiuto delle scienze che hanno rilievo in materia pedagogia, psicologia, sessuologia l'esame critico deve essere particolarmente pregnante in presenza di dichiarazioni de relato. Insomma, la valutazione delle dichiarazioni testimoniali del minore persona offesa di reati sessuali presuppone un esame della sua credibilità in senso onnicomprensivo, dovendo tenersi conto a tal riguardo dell'attitudine, in termini intellettivi ed affettivi, a testimoniare, della capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, delle condizioni emozionali che modulano i rapporti col mondo esterno, della qualità e natura delle dinamiche familiari e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute, con particolare attenzione a certe naturali e tendenziose affabulazioni. cfr. Sez. 3, Sentenza numero 29612 del 05/05/2010 Ud. dep. 27/07/2010 Rv. 247740 cfr. anche Sez. 3, Sentenza numero 39994 del 26/09/2007 Ud. dep. 29/10/2007 Rv. 237952 . Nel caso in esame, la motivazione si presenta logicamente carente. Ed infatti, premesso che la bambina in sede di incidente probatorio non aveva riferito dei comportamenti del padre, limitandosi solo a parlare dell'esistenza di segreti v. pagg. 38 e ss della sentenza impugnata e premesso che lo stesso perito di ufficio ha parlato di pensiero illogico e magico della bambina in una fase di sviluppo sessuale fallico-edipica in cui interesse, stimolazione ed eccitamento sono focalizzati sui genitali, sicchè è frequente la masturbazione , va osservato che l'apparato motivazionale della sentenza di appello si fonda essenzialmente sulle deposizioni de relato della P. e del M., la prima delle quali a sua volta è il frutto di un esame diretto della bambina condotto personalmente in maniera suggestiva, attraverso l'induzione a fornire determinate risposte in una sorta di coinvolgente e divertente gioco da provare insieme la sentenza impugnata riferisce i particolari alle pagg. 18 e ss ove riporta integralmente le dichiarazioni della teste P. Una simile tecnica di indagine - sicuramente ispirata dalla buona fede e dal fine ultimo di tutela degli interessi della figlia - non può però ritenersi corretta, sotto il profilo della delicatissima psicologia infantile perché si presta appunto agli inconvenienti sopra richiamati. La deposizione de relato del M. su cui la sentenza si sofferma a pagg. 26 e ss , a sua volta, riguarda il racconto ripetuto dalla bambina, ma in un momento successivo a quello in cui la madre l'aveva sollecitata a parlare nel modo sopra descritto come si evince chiaramente dalla sentenza impugnata a pagg. 18 e ss e 27 e ss detta deposizione pertanto avrebbe dovuto essere anch'essa criticamente valutata tenendo conto di tale rilevante particolare. Ciò non risulta nella sentenza impugnata. Ciò che la Corte d'Appello avrebbe dovuto approfondire era non solo l'attendibilità dei testi P.M. su quanto da essi direttamente percepito, ma anche la assoluta spontaneità del racconto della bambina fatto alla madre e poi al di lei compagno una tale verifica manca, non essendo sufficiente il richiamo all'esame neuropsichiatrico della minore svolto dal dott. M., perito di ufficio in sede di incidente probatorio e contenuto a pagg. 41 e ss della sentenza perché esso spiega lo sviluppo cognitivo e accerta l'esistenza di turbe comportamentali attribuibili a pregresse esperienze traumatiche, ma solo in termini di probabilità e comunque - come pure si legge nella sentenza a pag. 9 - quanto da essa raccontato potrebbero essere fantasie ovvero denunciano una conoscenza dei rapporti sessuali che la bambina ha veduto verosimilmente tra la P. e il suo convivente e che, colludendoli con la sua fantasia e desiderio del sesso col padre, li ha trasformati in una realtà . Ulteriore carenza motivazionale sta nel silenzio sulle deposizioni dei testi della difesa D.N. e F., su cui pure si rendeva necessaria qualche osservazione, avendo il tema formato oggetto di specifica censura. Per le esposte considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte d'Appello di Reggio Calabria per un nuovo esame sull'attendibilità del racconto della parte lesa. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria.