Banca responsabile non per la caduta dei CIRIO bond ma per la sola violazione del dovere di informazione

Nelle operazioni di intermediazione finanziaria, la Banca è responsabile non per la caduta rovinosa del prodotto proposto ma per le violazioni del dovere di informazione, buona fede e correttezza.

In tema di risarcimento del danno in ordine alla violazione dei doveri di correttezza, buona fede e informazione commessi dall'intermediario finanziario in un'operazione economica ai danni del cliente, il risarcimento dev'essere quantificato come la differenza tra il valore di acquisto e quello al momento della domanda o quello precedente in cui il cliente abbia avuto consapevolezza della caduta del titolo stesso ed è necessario, ai fini dell'operazione di quantificazione, tenere conto della differenza tra l'investimento in origine effettuato, l'utilità tratta e il valore attuale delle obbligazioni. Inoltre, la Banca non è responsabile per la caduta delle obbligazioni ma per la sola violazione del dovere di informazione. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1511 del 24 gennaio 2014. Il caso. Nel caso concreto, con atto di citazione dinanzi al tribunale civile viene convenuta la controparte, la Banca di Credito Valtellinese, per vedersi riconoscere il diritto al risarcimento dei danni e restituzione del capitale investito, in conseguenza dell'accertamento del comportamento illegittimo del convenuto, dei suoi dipendenti e promotori in ordine all'acquisto di obbligazioni CIRIO Holding Luxembourg 01/04 da lui effettuati su indicazione del convenuto. In particolare, si chiede la nullità dell'intera operazione per aver omesso determinate informazioni sui titoli acquistati informazioni che, se non omesse, avrebbero convinto la parte attrice a non investire in tal senso. Il giudice, decidendo a favore della controparte, rigetta e con sentenza condanna alle spese processuali, in quanto non appariva violato alcun dovere di correttezza, buona fede e trasparenza da parte della Banca, in ordine all'attività di intermediazione finanziaria. La Corte di Appello ribalta completamente la tesi difensiva di parte convenuta, condannandola al pagamento di centoventimila e quattrocento euro, a titolo risarcitorio. Avverso tale sentenza di merito, la parte processuale convenuta propone ricorso per cassazione, affidandosi a cinque motivi. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., avendo i giudici di merito accolto una domanda risarcitoria che non era stata proposta dall'appellante. Con il secondo, si lamenta la violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. e ancora degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonché il vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta responsabilità pre-contrattuale dell'intermediario finanziario per omesse informazioni decisive ai fini della decisione di investire o meno in quella particolare operazione. Con il terzo motivo si lamenta la violazione degli artt. 23, d.lgs. n. 58/98 e 2697 c.c., in ordine alle asserite violazioni ascritte all'intermediario sul dovere di informazioni del prodotto consigliato. Con il quarto motivo si cerca di dimostrare la violazione degli artt. 21 e 23, d.lgs. n. 58/98, nonché il vizio di motivazione, riguardo alla asserita violazione della normativa di intermediazione finanziaria. Con il quinto e ultimo motivo di ricorso si solleva il dubbio sul vizio di motivazione circa la quantificazione del danno stabilita dalla Corte di Appello. Maggiori soddisfazioni per il risparmiatore cui la banca non ha fornito tutte le informazioni sui rischi dell’investimento. La Corte, decidendo di trattare congiuntamente il primo e il secondo motivo in quanto strettamente connessi, asserendo come da atti che le domande proposte inerivano al riconoscimento della nullità dell'operazione e il risarcimento dei danni patiti, afferma che la prima domanda trova conferma nelle violazioni degli artt. 21, 23 e 29 TUF ed è autonoma rispetto alla domanda di risarcimento dei danni e non consequenziale o subordinata inoltre, l'art. 21 TUF costituisce di fatto una specificazione del contenuto più ampio della responsabilità precontrattuale cristallizzata nell'art. 1337 c.c. richiamato. Sono, pertanto, motivi privi di fondamento. Cosi come per i primi due motivi, anche il terzo e il quarto possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi. Difatti, la Suprema Corte stabilisce che dall'affermata esistenza di una domanda risarcitoria, consegue necessariamente, l'applicabilità dell'art. 23 TUF, ove si prevede che nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori e spetta ai soggetti abilitati gli intermediari finanziari l'onere di provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta. Dalla sentenza di appello emerge, chiaramente, che la Banca non è ritenuta responsabile per non aver previsto la caduta delle Obbligazioni CIRIO, quanto piuttosto perché ha violato il suo dovere di informare il cliente dei rischi dei prodotti finanziari offerti. In sostanza, si richiede alla Banca maggiore e più rigorosa informazione per il cliente, in quanto l'emissione delle Obbligazioni CIRIO proveniva da una società finanziaria straniera priva di adeguata garanzia patrimoniale e, ancora, la vendita di tali bond era priva di rating con la mancanza di conoscenza da parte dell'intermediario finanziario dell'eventuale offering circular e del suo contenuto e, infine, l'assenza di note informative trasmesse al cliente. Tutte queste presunzioni sono state adeguatamente motivate a favore di parte attrice nei primi due gradi di giudizio in modo corretto. Pertanto, anche questi altri due motivi di ricorso vanno rigettati perché privi di pregio. Il quinto ed ultimo ricorso subisce la stessa sorte l'infondatezza in quanto, stabilisce la prima sezione della Cassazione, la quantificazione del danno è ben motivata difatti, il risarcimento del danno è la differenza tra il valore di acquisto e quello al momento della domanda o quello precedente in cui il cliente abbia avuto consapevolezza della caduta del titolo stesso ed è necessario, ai fini dell'operazione di quantificazione, tenere conto della differenza tra l'investimento in origine effettuato, l'utilità tratta e il valore attuale delle obbligazioni.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 19 novembre 2013 – 24 gennaio 2014, n. 1511 Presidente Vitrone – Relatore Dogliotti Svolgimento del processo Con citazione notificata in data 19/11/2004 S.E. , conveniva in giudizio il Credito Valtellinese s.c.r.l., chiedendo l'accertamento del comportamento illegittimo del convenuto ovvero dei suoi dipendenti o promotori, ai sensi degli artt. 21, 23, 29 Dlgs. N. 58 del 1998, con riguardo all'operazione di acquisto di obbligazioni CIRIO Holding Luxembourg 01/04/, effettuata dall'attore in data 05/02/2001 su indicazione della Banca stessa, non essendo state date idonee informazioni sui titoli di acquisto , nonché la dichiarazione di nullità dell’operazione, la condanna della banca alla restituzione del capitale investito, nonché al risarcimento dei danni. Costituitosi il contraddittorio, la banca chiedeva il rigetto delle domande, affermando di aver adempiuto correttamente all'attività di intermediazione finanziaria. Con sentenza in data 29/06/2005, il Tribunale di Sondrio rigettava le domande dello S. , affermando che non appariva violato alcun dovere di correttezza, buona fede e trasparenza da parte della Banca stessa. Proponeva appello lo S. . Costituitosi il contraddittorio, la banca ne chiedeva il rigetto. La corte di Appello di Milano, con sentenza 19/12/2006, in accoglimento dell'appello e in totale riforma dell'impugnata sentenza, condannava il Credito Valtellinese, a titolo risarcitorio, al pagamento a favore dell'appellante dell'importo di Euro 109.400,00. Ricorre per cassazione il Credito Valtellinese, che pure deposita memoria per l'udienza. Resiste, con controricorso, lo S. . Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., avendo i giudici milanesi accolto una domanda risarcitoria, che non è stata proposta dall'appellante. Con il secondo, violazione degli artt. 2697, 2729 c.c., art. 112, 115 c.p.c., nonché vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta responsabilità precontrattuale dell'intermediario. Con il terzo, violazione degli artt. 23 d.lgs. 58/98, e 2697 c.c., in ordine alle asserite violazioni ascritte all'intermediario. Con il quarto, violazione degli artt. 21 e 23 D.lgs. 58/98 nonché vizio di motivazione, riguardo alla asserita violazione della normativa di intermediazione finanziaria. Con il quinto, vizio di motivazione sulla quantificazione del danno. Preliminarmente va osservato che i quesiti di diritto, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., abrogato, ma ancora operante per i rapporti pregressi, appaiono pienamente adeguati. I primi due motivi possono trattarsi congiuntamente perché strettamente connessi. Dalle precisazioni della sentenza impugnata e dal tenore dell'atto di citazione in primo grado, emerge che due sono state le domande proposte, una di nullità del contratto cui consegue necessariamente la restituzione delle somme corrisposte, ed una risarcitoria. Il resistente, attore in primo grado, richiama l'illegittimità dell'operato della banca, con violazione degli artt. 21, 23, 29 TUF e questa costituisce, all'evidenza, la causa petendi mai modificata . Ciò posto, egli chiede dichiararsi la nullità del contratto, la restituzione di somme, il risarcimento dei danni. La Banca ricorrente sostiene che l'attore ha chiesto dichiararsi la nullità del contratto e, come dirette conseguenze, la restituzione di somme e il risarcimento del danno. Ma, pur ammettendo che possa individuarsi qualche ambiguità nella lettera dell'atto di citazione è evidente che la richiesta di restituzione sarebbe in palese contraddizione con quella di risarcimento, e allora seguendo le argomentazioni della ricorrente, si dovrebbe considerare la domanda di risarcimento tanquam non esset. La conservazione dell'atto, che trova sicuro riscontro nei criteri di ermeneutica contrattuale art. 1367 c.c. e nella conversione del contratto nullo art. 1324 c.c. , costituisce principio generale immanente all'ordinamento, che trascende la materia contrattuale. Del resto questa Corte Cass. N. 15299 del 2005 ha avuto modo di precisare che la domanda giudiziale può riguardarsi come dichiarazione di volontà diretta alla produzione di effetti giuridici, tutelati dall'ordinamento, e pertanto il suo contenuto è definibile anche con l'applicazione, in via analogica, dei criteri di ermeneutica contrattuale. È dunque da ritenere che l'indicazione, contenuta nell'atto di citazione, relativa al risarcimento del danno, debba rivestire qualche significato piuttosto che nessuno anche per tale via è da ritenersi che la domanda di risarcimento sia autonoma, rispetto a quella di nullità e restituzione . Quanto all'affermazione della ricorrente, per cui il giudice a quo avrebbe richiamato l'art. 1337 c.c. e la responsabilità precontrattuale, senza che mai lo S. vi avesse fatto riferimento, tale richiamo al riguardo, contestato nella sentenza impugnata, non acquista la rilevanza fondamentale che gli attribuisce la ricorrente stessa appare, al contrario, un mero rafforzamento dell'argomentazione. Ci si riferisce all'art. 21 TUF, che veniva indicato, fin dall'inizio, dall'attore in primo grado, precisandosi correttamente che esso costituisce in sostanza una specificazione del contenuto più ampio dell'art. 1337 c.c Possono pure trattarsi congiuntamente i motivi terzo e quarto, anch'essi strettamente collegati. Va innanzitutto osservato che, dall'affermata esistenza di una domanda risarcitoria, consegue necessariamente, come ammette a contrario l'odierna ricorrente, l'applicabilità dell'art. 23 TUF, ove si prevede che nei giudizi di risarcimento dei danni, cagionati, appunto, al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere di provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta. Dalla motivazione della sentenza impugnata, emerge con chiarezza che la banca non viene ritenuta responsabile perché non ha previsto la caduta delle obbligazioni CIRIO, quanto piuttosto perché ha violato il suo dovere di informare il cliente dei rischi dei prodotti finanziari offerti. La ricorrente propone, almeno in parte, situazioni e profili di fatto e contesta valutazioni di merito del giudice a quo in ordine al comportamento illegittimo della Banca, a fronte di una motivazione della sentenza, adeguata e non illogica. Richiama il giudice a quo varie circostanze la negoziazione dei titoli durante la fase del grey market prima cioè della delibera di emissione è bensì vero, come afferma la ricorrente, che è valida tale vendita ma -precisa la Corte di merito - ciò richiedeva una più rigorosa informazione l'emissione dei bond CIRIO da parte di una società finanziaria straniera, priva di adeguata garanzia patrimoniale la vendita di tali bond, privi di rating la mancanza di conoscenza da parte dell'intermediario dell'eventuale offering circular e del suo contenuto, nonché l'assenza di note informative trasmesse al cliente. Sulla base di tali indicazioni, il giudice a quo procede a una vantazione per presunzioni, adeguatamente motivata e dunque insuscettibile di controllo in questa sede per cui lo S. , quale investitore di normale accortezza, con bassa professione al rischio, che aveva in precedenza acquistato titoli tranquilli , si era recato in banca in occasione dello scadere di titoli sicuri e aveva manifestato al promotore il desiderio di acquistare un titolo a più lunga scadenza, se fosse stato adeguatamente informatoci sarebbe orientato con criterio di assoluta probabilità, verso investimenti più garantisti. Quanto al quinto motivo,non è vero, come afferma il ricorrente, che la quantificazione del danno sia priva di motivazione. Questa Corte Cass. N. 29864 del 2011 ha già avuto modo di pronunciarsi al riguardo, indicando il risarcimento del danno nella differenza tra il valore di acquisto e quello al momento della domanda, ovvero a quello precedente in cui il cliente abbia avuto consapevolezza della caduta del titolo stesso. Precisa il giudice a quo che è necessario tener conto della differenza tra l'investimento in origine effettuato, l'utilità tratta il primo rateo degli interessi era già stato percepito , il valore attuale delle obbligazioni. A tale riguardo, continua il giudice a quo la banca stessa indicava il valore di mercato dei titoli, secondo i prezzi praticati da Capitalia, Caboto e Aston bond tale prezzo individuava una utilità, portata a decurtazione del danno da risarcire. Tenuto conto di tali componenti investimento iniziale, cedola riscossa di Euro 6.032,10, valore residuo ed attuale delle obbligazioni, sulla base di una media delle quotazioni, nonché del rendimento derivante dall'investimento in titoli di Stato, all'epoca intorno al 4% , la Corte di merito determina un importo di Euro 109.400,00. Vanno pertanto rigettati i cinque motivi in quanto infondati e conclusivamente il ricorso Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 9.200,00 comprensivi di Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.