La concessione di provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo può dar luogo a responsabilità del magistrato

Sussiste ai sensi della l. numero 117/1988 una condotta gravemente colposa del magistrato, consistente nell’aver concesso la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo nel giudizio di opposizione, con un provvedimento nel quale da un lato si è negata l’esistenza del fumus boni iuris, e dall’altro si è accolta comunque l’istanza di provvisoria esecutorietà, imponendo una cauzione.

La Cassazione, con la sentenza numero 24798 depositata il 5 novembre 2013, affronta il tema della responsabilità civile dei magistrati. Come noto, la c.d. “legge Vassalli” l. numero 117/1988 ha conciliato i due principi cardine della responsabilità civile del magistrato, nella sua veste di pubblico dipendente, e della sua indipendenza decisionale da ogni ingerenza o pressione terza anche se solo indiretta . Responsabilità dello Stato per il fatto di magistrati. I magistrati così rispondono dei danni provocati dalle loro decisioni od omissioni se queste sono dovute a dolo, colpa grave o a denegata giustizia. Mentre è esclusa ogni loro responsabilità per danni dovuti a mera attività interpretativa di norme di diritto o per la valutazione del fatto e delle prove raccolte nel processo articolo 2 . La domanda deve esser proposta entro due anni dal momento in cui l’azione è esperibile articolo 4 . L’interessato, però, non può agire direttamente contro il magistrato, giacché legittimato passivo è solo lo Stato. Regola questa che soffre l’unica eccezione nel caso in cui il danno patrimoniale e non sia derivato da un fatto costituente reato. Il procedimento è alquanto particolare, caratterizzandosi per la presenza di un filtro di ammissibilità articolo 5 il tribunale competente a pronunciarsi sull’azione risarcitoria contro lo Stato dichiara, infatti, inammissibile la domanda «quando non sono stati rispettati i termini o i presupposti indicati dagli articolo 2, 3 e 4 ovvero quando è manifestamente infondata». La responsabilità del magistrato si manifesta, infine, non solo sul piano civilistico, ma anche su quello disciplinare per tutti i fatti che hanno dato causa all’azione di risarcimento articolo 9 . Il caso. Una società proponeva dinanzi al Tribunale una opposizione a decreto ingiuntivo. Il giudice dell’opposizione, accogliendo l’istanza del creditore, muniva il decreto ingiuntivo di provvisoria esecuzione, subordinandola però al deposito di una cauzione che veniva effettivamente prestata. Munito il decreto ingiuntivo del c.d. “comandiamo”, la società opposta pagava la somma ivi indicata. Tuttavia, all’esito del giudizio di opposizione, il decreto ingiuntivo veniva revocato, divenendo così improduttivo di effetti giuridici. La società opponente, però, si lamentava di non aver potuto recuperare quanto indebitamente pagato a causa del fallimento sia della controparte, che del terzo garante che aveva materialmente rilasciato la cauzione. Con separato giudizio, la società conveniva in giudizio lo Stato italiano ai sensi e per gli effetti della l. numero 117/1988. Sosteneva, infatti, che il giudice istruttore del Tribunale, ove era stato celebrato il giudizio di opposizione, aveva con colpa grave concesso la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, pur in assenza dei requisiti stabiliti all’articolo 648 c.p.c Si lamentava, altresì, che il Presidente del medesimo Tribunale aveva, sempre con colpa grave, apposto la formula esecutiva sul decreto ingiuntivo, nonostante la cauzione prestata dal creditore non fosse conforme alle indicazioni prescritte dal menzionato giudice istruttore. Il Tribunale adito, tuttavia, dichiarava la domanda risarcitoria inammissibile. La motivazione di tale inammissibilità risiedeva nel ritenere la concessione o il diniego di una clausola di provvisoria esecuzione non un vero e proprio provvedimento decisorio, tale da interferire sulla definizione della causa. Anche il reclamo avverso il decreto di inammissibilità della domanda risarcitoria veniva dichiarato inammissibile dalla Corte d’Appello, la quale aggiungeva che la concessione della clausola di provvisoria esecuzione costituisce esercizio di attività discrezionale, e per questo non può mai dar luogo a responsabilità del magistrato. Contro il decreto della Corte d’Appello viene promosso ricorso per cassazione. Per la società ricorrente sussiste una condotta gravemente colposa del magistrato che, in quanto tale, ha arrecato alla stessa un danno ingiusto e dunque risarcibile. Concede la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo in assenza del fumus boni iuris magistrato responsabile. Gli ermellini ritengono fondate le ragioni della società ricorrente. Spiegano che la condotta gravemente colposa del magistrato è consistita nell’aver concesso la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo nel giudizio di opposizione, pur in assenza del requisito del fumus boni iuris, violando così l’articolo 648 c.p.c. Per la Cassazione, nel caso di specie, non può dirsi che tale provvedimento sia frutto di una libera interpretazione della norma, come tale insindacabile, in ragione dell’autorevole orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, con ordinanza 25-05-1989, numero 295, che esige per la concessione della provvisoria esecuzione del decreto opposto sempre e comunque la sussistenza del fumus boni iuris. Qualsiasi altro tipo di interpretazione, infatti, esporrebbe l’articolo 648 c.p.c. a sospetto di illegittimità costituzionale. Concludendo. Per altro verso, il provvedimento di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo non è impugnabile, ed al momento in cui il giudizio di responsabilità del magistrato è stato promosso il procedimento presupposto si era esaurito da meno due anni. Va, pertanto, escluso che nella fattispecie in esame ricorressero le ipotesi di inammissibilità previste dall’articolo 4, comma 2, l. 117/88. Impossibile, però, sarà coltivare anche l’azione disciplinare, atteso che i fatti di causa risalgono al 1997 e dunque è abbondantemente decorso il limite decennale imposto ai sensi dell’articolo 15, comma 1 bis, d.lgs. numero 109/2006.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 settembre - 5 novembre 2013, numero 24798 Presidente Berruti – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. I fatti di causa. 1.1. La società Impresa Pizzarotti & amp C. s.p.a. d'ora innanzi, per brevità, la Pizzarotti nel 1996 propose dinanzi al Tribunale di Parma una opposizione ad un decreto ingiuntivo. Il giudice dell'opposizione, accogliendo una istanza in tal senso del creditore opposto, autorizzò la provvisoria esecuzione del decreto, subordinandola al deposito di una cauzione, della quale indicò nel medesimo provvedimento le caratteristiche minime di forma e contenuto. Il creditore opposto prestò la cauzione ed ottenne - da parte del presidente del Tribunale - il rilascio del decreto con formula esecutiva. La società opposta pagò il credito indicato nel decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. All'esito del giudizio di opposizione il decreto ingiuntivo fu revocato tuttavia la società opposta non poté recuperare quanto indebitamente pagato, a causa del fallimento sia della società opposta, sia della società che, nella veste di garante, aveva rilasciato la cauzione. 1.2. Nel 2005 La Pizzarotti convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Ancona, competente ratione loci, lo Stato italiano, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 4 della L. 13.4.1988 numero 117, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza dei fatti sopra descritti. A fondamento della domanda la società attrice allegò che a il giudice istruttore del Tribunale di Parma aveva con colpa grave concesso la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, in assenza dei requisiti prescritti dall'articolo 648 c.p.c. b il Presidente del medesimo Tribunale aveva parimenti con colpa grave apposto sul decreto la formula esecutiva, nonostante la cauzione rilasciata dal creditore non fosse conforme alle indicazioni prescritte dal giudice istruttore. 1.3. Il Tribunale di Ancona dichiarò inammissibile la domanda con decreto del 4.1.2007. La decisione venne motivata col fatto che il provvedimento di concessione o diniego della clausola di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto è un provvedimento privo di autentico contenuto decisorio, non idoneo ad interferire sulla definizione della causa . Sicché, essendo stata l'opposizione a decreto ingiuntivo alla fine accolta con sentenza, per il Tribunale sarebbe venuta per ciò solo meno la causa di danno lamentata dalla Pizzarotti. 1.4. Il reclamo avverso il decreto di inammissibilità della domanda risarcitoria venne dichiarato inammissibile dalla Corte d'appello d'Ancona, adita dalla Pizzarotti s.p.a., con decreto del 10.9.2007. Secondo la Corte d'appello, infatti, la reclamante non aveva indicato gli specifici motivi posti a fondamento del reclamo. La Corte ritenne poi di aggiungere due ulteriori argomenti ad abundantiam e cioè che la motivazione adottata dal Tribunale doveva ritenersi corretta, e che comunque concedere o negare la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo costituisce esercizio di attività discrezionale, e quindi non può mai dar luogo a responsabilità del magistrato. 1.5. Il decreto della Corte d'appello d'Ancona è stato impugnato dalla Pizzarotti, sulla base di cinque motivi. La Presidenza del consiglio non ha depositato controricorso, limitandosi a partecipare all'udienza. Motivi della decisione 2. Primo motivo di ricorso. 2.1. Con il primo motivo di ricorso la Pizzarotti lamenta ex articolo 360, numero 3, c.p.c. la violazione degli articolo 342 e 739 c.p.c Allega che erroneamente la Corte d'appello avrebbe dichiarato il reclamo inammissibile per mancanza di motivi specifici infatti nei giudizi di reclamo avverso il decreto di inammissibilità della domanda di risarcimento del danno per fatto e colpa del magistrato, proposti ai sensi dell'articolo 5 della L. 13.4.1988 numero 117, sarebbe sufficiente la semplice deduzione delle ragioni per le quali si sollecita la revisione del provvedimento reclamato . 2.2. È doveroso premettere che la Corte di cassazione, nel giudizio avente ad oggetto l'impugnazione del provvedimento col quale sia dichiarata l'inammissibilità della domanda di risarcimento del danno causato da fatto del magistrato, ai sensi dell'articolo 5 della L. 13.4.1988 numero 117, è tenuta a sindacare non solo la legittimità del provvedimento impugnato c.d. giudizio rescindente , ma anche a riesaminare nel merito la sussistenza dei requisiti di ammissibilità della domanda c.d. giudizio rescissorio tanto si desume dal fatto che l'articolo 5, comma 3, della legge 117/88, cit., consente alla Corte di annullare il decreto di inammissibilità e dichiarare sine ullo medio l'ammissibilità della domanda, rimettendo il giudizio al tribunale per la prosecuzione nel merito come già ritenuto da questa Sezione con la sentenza Sez. 3, Sentenza numero 9910 del 05/05/2011 nello stesso senso si veda anche Sez. 1, Sentenza numero 8260 del 30/07/1999 . 2.3. Risulta dall'atto di reclamo proposto dinanzi la Corte d'appello, e debitamente trascritto nel ricorso per cassazione, che la società Pizzarotti aveva censurato la decisione del giudice di primo grado esponendo a che il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo aveva concesso la provvisoria esecuzione di quest'ultimo senza che ne ricorressero i presupposti di legge, ed in particolare quelli prescritti dall'articolo 648, comma 2, c.p.c. così il ricorso per cassazione, p. 24 b che la cauzione imposta dal giudice istruttore era stata prestata con modalità del tutto difformi da quelle prescritte, e cionondimeno il Presidente del Tribunale aveva ugualmente apposto sul decreto la formula esecutiva ibidem, pag. 26 c che in conseguenza di tali errori la Pizzarotti era stata costretta a pagare la somma indicata nel decreto ingiuntivo, perdendo la possibilità di recuperare le somme indebitamente pagate a causa del fallimento del creditore opposto e del suo garante ibidem, p. 25 d la perdita di tale possibilità aveva costituito un danno risarcibile ibidem, p. 26 c il Tribunale di Ancona aveva ritenuto inammissibile la domanda di risarcimento di tale danno, sul presupposto che la concessione della provvisoria esecuzione fosse un provvedimento non definitivo f la reclamante si doleva tale decisione, qualificandola inconferente rispetto alle doglianze esposte suo a-c ibidem, p. 23 . 2.3. Allegando i fatti di cui sopra nel reclamo dinanzi la Corte d'appello, la Pizzarotti assolse compiutamente l'onere di esporre al giudice del secondo grado le proprie ragioni di doglianza avverso il provvedimento impugnato. Il reclamo infatti elencava - sebbene con un ordine espositivo forse non ineccepibile - sia il contenuto della domanda principale sia le ragioni del provvedimento impugnato sia il vizio che infirmava tali ragioni e cioè l’ inconferenza tra causa petendi dell'azione di danno e ratio decidendi del decreto d'inammissibilità della domanda . Il reclamo proposto dinanzi la Corte d'appello fu dunque rispettoso del principio, tanto risalente quanto pacifico, secondo cui la specificazione dei motivi dell'impugnazione, prescritta dall'articolo 342 c.p.c., non deve essere intesa come una minuziosa e formalistica elencazione delle singole censure, essendo sufficiente l'esistenza dei requisiti indispensabili per delimitare, senza possibilità di equivoci, l'ambito del riesame della controversia richiesto al giudice dell'impugnazione principio affermato, in questi termini, sin da Sez. 1, Sentenza numero 2702 del 04/10/1971, ed in seguito rimasto sempre immutato . È dunque superfluo, in questa sede, stabilire se il requisito della specificità dei motivi d'appello, di cui all'articolo 342 c.p.c. nel testo vigente ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal d.l. numero 83 del 2012 si applichi o meno ai procedimenti di reclamo soggetti al rito di cui all'articolo 739 c.p.c., posto che anche ad adottare l'interpretazione più restrittiva, nel caso di specie il reclamo comunque consentiva al giudice d'appello di comprendere le ragioni di doglianza del reclamante. 2.4. È dunque fondato il primo motivo di ricorso, dal momento che la Corte d'appello ha ritenuto privo di specifica motivazione un reclamo che, invece, era sufficientemente motivato. 3. I restanti motivi di ricorso. 3.1. Coi motivi dal secondo al quinto la società ricorrente ha variamente censurato le due motivazioni addotte dalla Corte d'appello ad abundantiam e cioè l'insuscettibilità del provvedimento di concessione della clausola di provvisoria esecuzione a recare danno, in quanto provvedimento interinale e non definitivo, e comunque la natura discrezionale del suddetto provvedimento, che lo sottrae per ciò solo al giudizio di responsabilità. 3.2. I suddetti motivi sono tutti inammissibili per difetto di interesse, e ciò rende superfluo esaminarne gli ulteriori - ed in qualche caso evidenti - profili di inammissibilità per difettosa formulazione del quesito di diritto di cui all'articolo 366 bis c.p.c., od omessa indicazione del fatto controverso di cui all'articolo 360, numero 5, vecchio testo, c.p.c Infatti le Sezioni Unite della Corte di cassazione, componendo i precedenti contrasti, hanno stabilito che quando il giudice del gravame dichiari inammissibile l'impugnazione, spogliandosi della potestas iudicandi sul merito della controversia, e cionondimeno abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito della domanda, la parte soccombente non ha l'onere né l'interesse ad impugnare tali ultime statuizioni Sez. U, Sentenza numero 3840 del 20/02/2007 nello stesso senso, in seguito, per la giurisprudenza di questa Sezione, Sez. 3, Sentenza numero 15234 del 05/07/2007 Sez. 3, Sentenza numero 13068 del 05/06/2007 . Tale regola è stata ritenuta applicabile anche al rito camerale contenzioso Sez. 1, Sentenza numero 3927 del 12/03/2012 , qual è quello previsto dall'articolo 5 L. 117/88. 4. Sull'ammissibilità della domanda di risarcimento. 4.1. La domanda di risarcimento del danno proposta dalla società Pizzarotti, la cui ammissibilità va esaminata in questa sede per effetto della cassazione del provvedimento impugnato supra, p. 2.2 , è ammissibile. 4.2. La domanda di risarcimento del danno causato dal magistrato è ammissibile, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, della L. 13.4.1988 numero 117, quando ricorrano i seguenti presupposti a sussista una condotta gravemente colposa o dolosa del magistrato articolo 2 , oppure un diniego di giustizia articolo 3 b il danno non sia stato causato dall'attività di interpretazione delle norme o di valutazione delle prove articolo 2, comma 2 c siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, ovvero non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno articolo 4, comma 2 d la domanda sia stata proposta entro due anni dal momento in cui l'azione è esperibile articolo 4, comma 2 . 4.3. Tali presupposti sono tutti sussistenti nel presente caso. 4.3.1. Sussiste, alla stregua della prospettazione della società ricorrente, una condotta gravemente colposa del magistrato, consistita in tesi nell'avere concesso la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo nel giudizio di opposizione, con un provvedimento nel quale da un lato si negava l'esistenza del fumus boni iuris, e dall'altro si accoglieva comunque l'istanza di provvisoria esecutorietà, imponendo una cauzione. La condotta così prospettata appare gravemente colposa ai sensi dell'articolo 2, comma 3, lettera a , L. 117/88, perché violativa di un principio processuale fondamentale, stabilito da una pronuncia altrettanto fondamentale del giudice delle leggi quello secondo cui l'articolo 648 c.p.c., in tutti e due i suoi commi, esige per la concessione della provvisoria esecuzione del decreto opposto il fumus boni iuris Corte cost. [ord.], 25-05-1989, numero 295 . 4.3.2. Nemmeno può dirsi che il provvedimento che si assume essere stato causa del danno sia frutto di una libera interpretazione della norma, come tale insindacabile sia perché in esso non è contenuta alcuna motivazione al riguardo, sia perché nel caso di specie l'interpretazione dell'articolo 648 c.p.c. disattesa dal giudice del Tribunale di Parma era, al contrario, necessitata dall'intervento della Corte costituzionale ricordato al p. precedente, posto che qualsiasi diversa interpretazione rispetto a quella adottata dalla Consulta avrebbe esposto la norma al sospetto di illegittimità costituzionale. 4.3.3. Va infine escluso che nella specie ricorresse alcuna tra le ipotesi di inammissibilità previste dall'articolo 4, comma 2, L. 117/88 ed infatti il provvedimento di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo non è impugnabile, ed al momento dell'introduzione del presente giudizio era già esaurito, da meno di due anni, il grado del procedimento nell'ambito del quale si era verificato il fatto che si assumeva essere stato dannoso. Né rileva che il provvedimento suddetto abbia perso efficacia ope legis con la sentenza che accolse l'opposizione al decreto ingiuntivo nella prospettiva della società ricorrente, infatti, il danno si è verificato ben prima dell'accoglimento dell'opposizione, la quale pertanto non poteva elidere gli effetti di un danno già verificatosi. 4.4. Non è necessario nel presente caso disporre la trasmissione degli atti all'organo titolare dell'azione disciplinare, come previsto dall'articolo 5, ultimo comma, della legge numero 117/88, in quanto i fatti di causa sono avvenuti nel 1997, e l'azione disciplinare sarebbe ormai preclusa a causa del decorso del decennio, giusta la previsione dell'articolo 15, comma 1 bis, d.lgs. 23 febbraio 2006 numero 109 nel testo modificato dall'articolo 1, comma 3, della legge 24 ottobre 2006, numero 269 . 5. Le spese. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della presidenza del consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 91, comma 1, c.p.c., e dovranno essere liquidate dal giudice del merito, ai sensi dell'articolo 385, comma 3, c.p.c P.Q.M. la Corte di cassazione, visto l'articolo 383, comma primo, c.p.c. - accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato - dichiara ammissibile la domanda di risarcimento proposta dalla Pizzarotti & amp C. s.p.a. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri - rimette per la prosecuzione del processo gli atti ad altra sezione del Tribunale di Ancona - visto l'articolo 385, comma terzo, c.p.c., rimette al giudice della fase di merito la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.