Nel 2011 alla Sagra della zucca di Pecorara PC Umberto Bossi se n’è uscito dicendo «Bisogna fare le gabbie previdenziali, è una bella idea, al Nord danno più di quello che ottengono, mentre al Sud danno poco e ricevono di più».
Sul sito istituzionale di Cassa Forense è dato leggere “I dati sulla professione nel 2016 diffusi dall'Ente di previdenza degli avvocati. Oltre 4.700 avvocati si sono cancellati dalla Cassa forense nel 2016. Quasi 4 mila a seguito di cancellazione dall'albo, circa 600 per sospensione volontaria, 146 sono le cancellazioni d’ufficio dei praticanti, 100 le richieste di cancellazione a domanda da parte dei praticanti avvocati. Sono i dati resi noti da Cassa forense, aggiornati al 15 dicembre 2016, sulle iscrizioni e cancellazioni degli avvocati dall'Ente di previdenza nel corso dell’anno. Il saldo, rimane comunque positivo per la crescita della categoria forense, dato che non può essere letto in chiave positiva visto il perdurare della crisi e il numero già abnorme di avvocati abilitati. Le nuove iscrizioni sono state infatti 8.393, dato in linea con il quinquennio precedente, sottolinea la Cassa, con una sostanziale stabilizzazione del numero complessivo degli iscritti agli albi. La previsione dell’Ente, per il futuro, infatti, visti i dati in calo sia dei nuovi laureati iscritti nel registro dei praticanti sia dei nuovi iscritti nella facoltà di giurisprudenza, è una decrescita del numero di avvocati. Altro dato riguarda le domande di retrodatazione pervenute, che sono state complessivamente 2.438, con una buona risposta, quindi, rispetto alla procedura attivata dalla Cassa per ottenere vantaggi pensionistici futuri e agevolazioni contributive nell'immediato, da attivare nel termine di sei mesi dal ricevimento della comunicazione di avvenuta iscrizione alla Cassa. È alto anche il numero delle iscrizioni facoltative, possibilità riservata ai soli iscritti nel registro dei praticanti che, se in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza, possono fin da subito accedere ai benefici del sistema previdenziale. Le domande ricevute dalla Cassa sono state 2.450, un dato che, secondo l’Ente di previdenza, attesta che «c’è una buona base nella giovane avvocatura che intraprende la strada professionale con coscienza, convinzione e scrupolo previdenziale». Passando ad analizzare le cancellazioni, che avvengono a seguito di sospensione volontaria dall'albo o, per i praticanti, a domanda dell’interessato o anche d’ufficio, in caso di cancellazione dal registro dei praticanti, le domande definite sono state complessivamente 4.772. Sulla problematica dell’iscrizione e cancellazione, con i numeri in aumento anche per via dell’iscrizione d' ufficio di 50 mila avvocati avvenuta in applicazione dell'articolo 21 della legge 247/2012, il CdA di Cassa forense ha adottato due delibere interpretative una stabilisce che, per gli iscritti a seguito dell’entrata in vigore dell' articolo 1 del regolamento di attuazione dell’articolo 21, ferma restando la perentorietà del termine previsto dall'articolo 12, commi 8 e 9 del predetto regolamento, è possibile disporre l'esonero dell’iscrizione alla Cassa, con conseguente annullamento dei contributi minimi obbligatori dovuti, relativi agli anni 2014 e 2015, ma soltanto per coloro che abbiano dichiarato per tali annualità redditi e volumi d’affari pari a zero, purché si siano cancellati da tutti gli Albi entro il termine di 90 giorni dalla ricezione della comunicazione di avvenuta iscrizione o, comunque, non oltre il 31 dicembre 2015. Nella seconda delibera, del 7 dicembre 2016, è previsto che per gli iscritti all'albo con reddito zero che si cancellino entro un breve periodo dall'avvenuta iscrizione all’Albo, individuato dal CdA in sei mesi e che quindi non hanno, di conseguenza, posto in essere una effettiva attività professionale, in via del tutto straordinaria, è disposta su richiesta la revoca dell’iscrizione alla Cassa con conseguente esonero dal pagamento dei contributi dovuti per il breve periodo d’iscrizione. «Questi dati», commenta il presidente di Cassa forense, Nunzio Luciano, «sono in parte giustificati dal fatto che dei 50 mila nuovi iscritti, molti non esercitavano effettivamente la professione di avvocato. Questo non vuol dire che nei prossimi anni non avremo altre cancellazioni per via del calo dei redditi e della crisi. A questo proposito, l’avvocatura deve essere in grado di riformarsi con piani formativi di qualità per creare strutture associate che rispondano alle esigenze del cittadino. Come Cassa forense», continua Luciano, «ci stiamo impegnando su vari fronti, tra cui quello europeo. Oggi, dopo una lunga di attività di confronto con gli assessori regionali, sono 18 le regioni che utilizzano i fondi europei anche per i professionisti. L'obiettivo è portare l'Adepp a gestire e far crescere direttamente i progetti europei» da Italia Oggi del 14/01/2017 ”. Domanda di disapplicazione del regolamento contributi. Il 18 gennaio si terrà avanti il Giudice del lavoro di Roma la prima udienza nella vertenza avente ad oggetto la domanda di disapplicazione del regolamento contributi di Cassa Forense a seguito della riassunzione dopo la declaratoria della giurisdizione del Giudice amministrativo in favore del Giudice ordinario quale Giudice del lavoro. Nel giudizio, ad adiuvadum, è intervenuto anche il Consiglio Nazionale Forense il quale in ordine alla censura di eccesso di potere, perché l’obbligo di iscrizione alla previdenza forense prescritto dalla disciplina normativa e regolamentare in contestazione non sarebbe bilanciato dalla garanzia da parte dell’Ente circa la sua solvibilità, che richiede una stabilità economico finanziaria di lungo periodo, ha affermato che la sostenibilità finanziaria a cinquant’anni di Cassa Forense è stata testata e che secondo il regime in vigore retributivo – misto la pensione del ricorrente sarà finanziata dai contributi versati, mentre diversamente dovrebbe essere posta a carico della contribuzione di altri colleghi. In buona sostanza il Consiglio Nazionale Forense, che rappresenta tutti gli iscritti, riconosce espressamente che agli iscritti cd. sotto reddito, i quali potranno giovarsi della agevolazioni introdotte, ma ai quali non verrà riconosciuto l’anno ma soltanto una frazione di esso e cioè la metà, salvo successiva regolarizzazione, alla fine del percorso lavorativo si vedranno liquidare una pensione contributiva e cioè una pensione finanziata dai contributi versati. Ecco dunque che nel sistema previdenziale forense così organizzato ci saranno colleghi che si vedranno riconoscere la pensione retributiva, ancorché corretta, ed altri colleghi che si vedranno invece riconoscere la pensione contributiva. La differenza fra i due trattamenti sta nel quantum maggiore la prima, minore la seconda. La cd. gabbia previdenziale. È vero che così operando non si incide sull’equilibrio economico finanziario di lungo periodo ma è altrettanto vero che si introduce la cd. gabbia previdenziale la quale, a parere di chi scrive, è tanto illegittima quanto inammissibile. È vero che nel regolamento per le prestazioni previdenziali di Cassa Forense è prevista la pensione di vecchiaia contributiva, ma doveva trattarsi di un’ipotesi residuale, per coloro che abbiano raggiunto il requisito anagrafico della pensione di vecchiaia e non abbiano maturato l’anzianità prevista dall’articolo 2 del Regolamento, ma con più di 5 anni di effettiva iscrizione e contribuzione e che non si siano avvalsi dell’istituto della ricongiunzione verso altro ente previdenziale, ovvero della totalizzazione, hanno diritto a chiedere la liquidazione di una pensione di vecchiaia contributiva, salvo che intendano proseguire nei versamenti dei contributi al fine di raggiungere una maggiore anzianità o maturare prestazioni di tipo retributivo. Il calcolo della quota di base della pensione, è effettuato secondo i criteri previsti dalla l. numero 335/95 e successive modifiche, in rapporto al montante contributivo formato dai contributi soggettivi versati entro il tetto reddituale di cui all’articolo 2, comma 1, lett. a e articolo 3, comma 1 del Regolamento dei contributi, nonché dalle somme corrisposte a titolo di riscatto e/o di ricongiunzione con esclusione dell’intero contributo integrativo. La pensione di vecchiaia contributiva non prevede però la corresponsione dell’integrazione al minimo di cui all’articolo 5. Vi è quindi il rischio concreto che da un’ipotesi residuale e introdotta per non lasciare silenti spezzoni contributivi, si passi ad una categoria di iscritti, sempre più numerosa a causa delle difficoltà economiche, che, alla fine del percorso lavorativo, potrà accedere soltanto alla pensione contributiva senza nemmeno beneficiare dell’integrazione al trattamento minimo. Considerazioni conclusive. Si impone quindi una riflessione alla luce dei parametri costituzionali della uguaglianza di trattamento. La verità è che la crisi profonda delle libere professioni, e quindi non solo di quella legale, e il non troppo malcelato tentativo dei governanti di permettere l’accesso alle libere professioni sulla base dell’elemento reddituale, è un grave indizio delle cattive politiche occupazionali dei Governi italiani e della loro scarsa attenzione alle esigenze delle nuove generazioni di laureati, costretti ormai a espatriare per realizzarsi professionalmente. Ecco perché non bisogna affatto sottovalutare l’insofferenza dei giovani professionisti, e anche dei meno giovani, che sta esplodendo, né bisogna guardarla con ostilità o diffidenza. La loro è una lotta per la libertà di tutti e per permettere a tutti i giovani compresi i figli di chi professionista non è di potersi realizzare professionalmente dopo aver compiuto, con grande sacrificio, il percorso di studi prescelto. Sta nella lungimiranza del legislatore adattare le regole ai tempi che stiamo vivendo per renderle inclusive e mai esclusive.