La corretta successione delle iniziative tese a far valere un proprio diritto è oggi condizionata dall’esperimento preventivo e obbligatorio del tentativo di mediazione in materia civile e commerciale. Alla prassi, tuttavia, il dato sembra sfuggire.
Un nuovo divieto in materia di media conciliazione. La giurisprudenza si muove. La sentenza del Tribunale di Roma dell’ottobre scorso Tribunale di Roma, sez. VIII Civile, sentenza 22 ottobre 2014 non è freschissima ma è decisamente attuale, per risvolti interpretativi sulla tempistica dei presidi ordinamentali a tutela delle ragioni del singolo soggetto. Sono risvolti che appaiono di tutto rilievo, ancorché non riescano a permeare la prassi dell’istituto mediatizio. Nelle parole dei giudici «la durata massima del procedimento di mediazione è stata stabilita allo scopo di evitare che le parti fossero assoggettate sine die al divieto di rivolgersi all'Autorità Giudiziaria se non dopo aver fatto ricorso alla procedura di mediazione . Ne consegue che tale limite temporale non può che operare esclusivamente per l'azionabilità delle domande in sede giudiziale e non, viceversa, costituire un limite temporale per la formazione dell'accordo». La dottrina glossa. Nel caso di specie, l’accordo era stato concluso dalle parti dopo la scadenza del termine massimo di composizione del conflitto dinnanzi all’Organismo di mediazione. Nulla quaestio la transazione è pienamente efficace nonostante lo spirare del termine sia previsto espressamente dalla legge per la soluzione della vertenza al tempo erano quattro mesi, oggi sono tre . Di tale termine si tenga conto solo perché la sua pendenza è elemento ostativo alla proponibilità della domanda giudiziale è una decisione corretta secondo la dottrina F. Valerini, L'accordo raggiunto dopo il termine massimo di durata della mediazione è valido ed efficace , in Diritto e Giustizia del 19 maggio 2015 . Le indicazioni sono indubbiamente interessanti il tentativo di conciliazione è adempimento in qualche modo urgente, di certo indefettibile e preliminare. Del resto, come si diceva, la giurisprudenza più recente cerca di trasmettere il messaggio alle parti che vanno in mediazione lo fa con risolutezza nella species della c.d. mediazione delegata. Ma la prassi forse inciampa. Nondimeno, l’aspetto qui segnalato sfugge alla prassi e si pone tra i desiderata di una giurisprudenza che non «lascia il segno», o per lo meno non ancora. Nelle vertenze oggi in mediazione gli avvocati sono avvezzi ad assolvere la condizione di procedibilità dopo aver introitato il giudizio, con regolare notifica dell’atto di citazione a parte avversa. Si tratta di una scelta molto pregnante, almeno a prima vista, atteso che la possibilità di un accordo in mediazione non è un’astrazione. La scelta denota ancora una volta sfiducia nella mediazione, e in qualche modo miopia rispetto a profili pratici. Un esempio su tutti il pagamento del contributo unificato, risvolto immediato della citazione in giudizio, potrebbe essere quanto meno differito e se la lite trovasse una composizione stragiudiziale saremmo evidentemente in una situazione particolarmente favorevole per chi risparmierebbe in toto l’esborso . La ricaduta in termini di sfavore per la conciliazione dinnanzi al mediatore è un dato riscontrabile empiricamente gli istituti di credito – chi scrive ne ha esperienza diretta in quanto referente scientifico di un Organismo di mediazione – sono in qualche misura dissuasi dalla composizione stragiudiziale dalla consapevolezza che la parte istante ha già azionato il proprio. Esistono ragioni sostanziali. Ma l’indirizzo della classe forense può essere non privo di motivazione. Il primo argomento raramente esplicitato è relativo alla lunghezza dei termini di espletamento della prima udienza, di talché il lasso di tempo che intercorre è ben compatibile con l’instaurazione simultanea di una prospettiva conciliativa logicamente preliminare, così come «ipostatizzano» – il termine è provocatoriamente espressivo del diffuso scetticismo della classe forense – i giudici. Ciò che è preliminare dal punto di vista logico – così suona l’argomentazione – è di fatto preliminare anche dal punto di vista cronologico la contestualità nell’avvio non implica contestualità nell’accadimento. Del resto, esiste anche un secondo argomento che possa convalidare quest’orientamento la contestuale attivazione dello strumento mediatizio e di quello giudiziale ha come ricaduta immediata un costo per il solo attore orbene, un aggravio, se correttamente rappresentato alla parte, dal proprio legale, può ben rientrare nella strategia difensiva. Così, la prassi vive di una lettura conservativa della strategia della contestualità. Oltre la prassi, riflessi operativi del divieto. Eppure, se la consecutio definita dal Tribunale di Roma arrivasse a scandire i tempi della domanda di giustizia – l’ammonimento della condanna alle spese del giudizio potrebbe fungere da incentivo al differimento della citazione in giudizio – si rafforzerebbe, almeno dal punto di vista simbolico, l’anelito alla composizione stragiudiziale dei conflitti. Se il Giudice romano arriva a prospettare un «divieto di rivolgersi all'Autorità Giudiziaria se non dopo aver fatto ricorso alla procedura di mediazione» il messaggio è chiaro e deciso. Viceversa, «preparare la guerra» nel tempo del negoziato non è certo il modo migliore per coltivare una dialettica conciliativa. Ben venga, allora, in linea di principio, l’impiego di strumenti sanzionatori per l’effettività di questo divieto. Del resto, si dice che una norma senza sanzione è imperfetta, «morta». Così, per l’inosservanza del divieto non appare eccessiva la prospettazione di una consequenziale condanna alle spese possibile risvolto applicativo della sentenza, se non possibile interpretazione della stessa , sia essa in ragione di un apprezzamento del contegno delle parti nel processo ex articolo 116 c.p.c. oppure in ragione di un’applicazione estensiva della logica della lite temeraria ex articolo 96 c.p.c. . Siamo, ancora una volta, nella logica di un law enforcement pro mediationis .