Cosa si risarcisce se il danno non c’è?

La condanna al risarcimento del danno non può prescindere da una puntuale indagine in fatto, volta a verificare la sussistenza del danno patrimoniale e morale eventualmente patito dalla parte civile e la sua entità.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 19633, depositata il 13 maggio 2014. Il caso. Il tribunale di Nola condannava un imputato per il delitto di truffa aggravata ai danni di una società assicuratrice, in relazione alla richiesta di risarcimento del danno da lui avanzata, sulla base di false attestazioni, per il furto nel suo appartamento. La Corte d’appello di Napoli riqualificava l’imputazione come tentata truffa aggravata, dichiarava il reato estinto per prescrizione e confermava il risarcimento dei danni, stabilito dal primo giudice, in favore della società, costituitasi parte civile. L’imputato ricorreva in Cassazione, contestando l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità per la tentata truffa, in quanto secondo gli stessi giudici non c’erano prove che avesse riscosso dall’assicurazione alcuna somma correlata alla documentazione ritenuta falsa. Inoltre, lamentava la contraddittorietà della sentenza impugnata, che confermava le statuizioni civili nonostante l’esclusione della sussistenza del fatto, avendo i giudici affermato che non c’erano elementi per ritenere che la società assicuratrice avesse liquidato più del previsto. Tentato danno di rilevante gravità. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione giudicava irrilevante il fatto che l’imputato non avesse riscosso somme correlate alla documentazione falsa, in quanto l’applicazione dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità è configurabile rispetto al tentato delitto contro il patrimonio, qualora risulti che, ove l’evento si fosse verificato, il danno patrimoniale sarebbe stato di rilevante entità. Risarcimento danni. Riguardo al risarcimento danni, la Corte d’appello aveva escluso che all’imputato fosse stata corrisposta, da parte della compagnia di assicurazioni, alcuna somma non dovuta. In questo caso, però, risultava contraddittoria la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, compreso il pagamento di una provvisionale. Infatti, la condanna al risarcimento del danno non può prescindere da una puntuale indagine in fatto, volta a verificare la sussistenza del danno patrimoniale e morale eventualmente patito dalla parte civile e la sua entità. Per questi motivi, la Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, rinviandola al giudice civile competente per valore in grado d’appello, come previsto dall’articolo 622 c.p.p

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 24 aprile– 13 maggio 2014, numero 19633 Presidente Fiandanese – Relatore Lombardo Ritenuto in fatto Con sentenza del 7.4.2011, il Tribunale di Noia dichiarò A.G. responsabile del delitto di truffa aggravata in danno della INA ASSITALIA S.p.A. in relazione alla richiesta di risarcimento del danno avanzata dall'imputato - sulla base di false attestazioni dell'acquisto di beni - per il furto nel suo appartamento patito nel luglio 2004 e lo condannò alla pena di giustizia, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituta INA ASSITALIA S.p.A. da liquidarsi in separata sede, concedendo una provvisionale pari ad euro 15.000,00. Avverso tale pronunzia l'imputato propose gravame e la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 29.6.2012, riqualificò l'imputazione originaria nel reato di cui agli articolo 56, 640 e 61 numero 7 cod. penumero , dichiarò non doversi procedere nei confronti dello A. in ordine al fatto così riqualificato perché estinto il reato per prescrizione confermò quanto alle statuizioni civili la sentenza impugnata. Ricorre per cassazione l'imputato - a mezzo del suo difensore - deducendo 1 la violazione della legge penale, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di tentata truffa aggravata deduce che la Corte di Appello non avrebbe considerato che le due attestazioni relative all'acquisto - da parte dello A. - di gioielli per complessivi euro 44.650,00 non possono essere considerate false, essendo stato il suo sottoscrittore assolto nel giudizio di primo grado dal reato ascrittogli deduce ancora la contraddittorietà della motivazione laddove, da un lato, la Corte territoriale ha affermato non vi sarebbe alcuna prova che l'indagato abbia riscosso dall'assicurazione alcuna somma correlata alla documentazione ritenuta falsa, dall'altro ha riconosciuto la sussistenza dell'aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, aggravante che, in assenza di querela della persona offesa, ha consentito l'esercizio dell'azione penale deduce ancora il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, non avendo mai l'imputato avuto contezza della natura della documentazione presentata alla società assicuratrice, essendo stato egli, subito dopo la scoperta del furto, ricoverato presso una clinica per gravi problemi di salute ed essendo stati i suoi familiari a predisporre la documentazione 2 la violazione dell'articolo 129 cod. proc. penumero , con riferimento alla pronuncia di improcedibilità per estinzione del reato, avendo la Corte di merito erroneamente applicato il secondo comma dell'articolo 129, piuttosto che il primo comma, pur essendo evidente la insussistenza di prove a carico dell'imputato. Coi motivi aggiunti deduce ancora 3 la contraddittorietà della sentenza impugnata, che ha confermato le statuizioni civili pur avendo escluso la sussistenza del fatto, affermando - in particolare - che «nessun elemento consente di ritenere che la compagnia di assicurazione abbia liquidato più del dovuto» 4 la violazione degli articolo 56 e 640 cod. penumero , per mancanza della idoneità degli atti , necessaria ad integrare il tentativo di truffa ciò in relazione al fatto che i documenti asseritamente falsi, presentati a corredo della richiesta di risarcimento del danno, non avrebbero potuto consentire all'imputato di riscuotere una somma maggiore di quella legittimamente ottenuta, essendo il massimale assicurato parti ad euro 68.000,00. Considerato in diritto 1. Il primo, il secondo e il quarto motivo dei ricorso sono infondati. La Corte territoriale ha puntualmente motivato circa la sussistenza del tentativo di truffa, che prescinde dalle attestazioni relative all'acquisto di gioielli, esistendo altre attestazioni riconosciute false dai giudici di merito elencate a p. 5 della sentenza di primo grado . Né il fatto che l'indagato non abbia riscosso dall'assicurazione alcuna somma correlata alla documentazione ritenuta falsa esclude, di per sé, la sussistenza dell'aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità per la tentata truffa, essendo pacifico il principio enunciato costantemente da questa Corte, secondo cui «La circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità è configurabile rispetto al tentato delitto contro il patrimonio qualora risulti che, ove l'evento si fosse verificato, il danno patrimoniale sarebbe stato di rilevante entità» Cass., Sez. 5, numero 17275 del 26/11/2008 Rv. 244632 . Peraltro, la compagnia assicuratrice - come riconosciuto dallo stesso ricorrente - non ha corrisposto all'assicurato tutta la somma a lui erogabile sulla base del contratto di assicurazione ciò che rende manifesta la infondatezza della censura del ricorrente svolta col quarto motivo di ricorso, in quanto ben avrebbe potuto l'A. - se il tentativo di truffa fosse andato a buon fine - percepire più di quello che gli è stato liquidato, fino a raggiungere il limite del massimale assicurato. Le altre censure contenute nei motivi di ricorso in esame sottopongono, poi, alla Corte profili relativi al merito della valutazione delle prove, che sono insindacabili in sede di legittimità, quando - come nel caso di specie - risulta che i giudici di merito hanno esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la loro decisione, sicché deve escludersi non solo la mancanza, ma anche la manifesta illogicità della motivazione quale vizio «vizio di macroscopica evidenza», «percepibile ictu oculi » cfr. Cass., sez. unumero , numero 24 del 24.11.1999 Rv 214794 Sez. unumero , numero 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074 , vizi che circoscrivono l'ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità. 2. Fondato è, invece, il terzo motivo di ricorso. La Corte di Appello ha escluso - nella sua sentenza - che all'imputato sia stata corrisposta, da parte della compagnia assicuratrice, alcuna somma non dovuta scrive la Corte territoriale che «nessun elemento consente di ritenere che la compagnia di assicurazione abbia liquidato più del dovuto e, di conseguenza, per la documentazione ritenuta falsa, non risulta acquisita la prova che sia stata versata alcuna somma». Se così è, risulta evidentemente contraddittoria la condanna dell'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile INA ASSITALIA S.p.A. e, a maggiore ragione, la condanna, in favore della stessa, al pagamento della provvisionale di euro 15.000,00. Le statuizioni civili vanno, pertanto, annullate. E invero, la condanna al risarcimento dei danno non può prescindere da una puntuale indagine in fatto, volta a verificare la sussistenza del danno patrimoniale e morale eventualmente patito dalla parte civile e la sua entità questione questa che non può che essere rimessa al giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell'articolo 622 cod. proc. penumero P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.