La tutela dei minori contro i pedofili non ammette interpretazioni restrittive

La notizia dell’entrata in vigore del d.lgs. 4 marzo 2014, numero 39, recante norme relative alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile il 6 aprile ha già alimentato un dibattito sull’area di applicazione che appare, quantomeno a prima vista, alquanto sorprendente e, soprattutto, contraria alla ratio ispiratrice della normativa che è quella di tutelare l’integrità dei minori.

Ed infatti, come avremo modo di vedere, la querelle che si è subito innescata – e sulla quale è pure intervenuto più volte il Ministero della giustizia nel giro di pochi giorni – riguarda l’ampiezza dell’obbligo del datore di lavoro di acquisire il casellario giudiziario del soggetto che intende impiegare nell’esercizio della sua attività. La norma sul diritto all’informazione. Orbene, iniziamo subito con il ricordare quale è la norma italiana e il suo presupposto europeo. Quanto al diritto europeo, la direttiva chiedeva agli Stati membri di adottare «le misure necessarie per assicurare che i datori di lavoro, al momento dell’assunzione di una persona per attività professionali o attività volontarie organizzate che comportano contatti diretti e regolari con minori, abbiano il diritto di chiedere informazioni, conformemente alla normativa nazionale e con ogni mezzo appropriato, quali l’accesso su richiesta o tramite l’interessato, sull’esistenza di condanne penali per i reati di cui agli articolo da 3 a 7, iscritte nel casellario giudiziario, o dell’esistenza di eventuali misure interdittive dell’esercizio di attività che comportano contatti diretti e regolari con minori derivanti da tali condanne penali» articolo 10, comma 2, dir. 2011/92/UE . Il decreto legislativo attuativo di quella disciplina, oltre a prevedere aumenti di pena e circostanze aggravanti per certi reati che coinvolgono minori e sui quali non ci soffermiamo , ha introdotto nel d.P.R. numero 313/2002, una pesante sanzione per il datore di lavoro che non si informa dei precedenti specifici del personale del quale intende avvalersi quando questi ha contatti con minori. Ed infatti, a norma del nuovo articolo 25-bis d.P.R. 313/2002 il datore di lavoro è obbligato a chiedere il certificato penale del casellario giudiziale della persona che il datore di lavoro «intenda impiegare al lavoro [] per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori». Lo scopo della richiesta è presto spiegato «verificare l'esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articolo 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies c.p., ovvero l'irrogazione di sanzioni interdittive all'esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori». Da questa precisazione il Ministero, nella propria circolare del 3 aprile scorso, aveva tratto la conclusione per la quale «il certificato di cui al richiamato articolo 25, [conterrà] però le sole iscrizioni di provvedimenti riferiti ai reati espressamente indicati nell'articolo 25 bis». La sanzione non è poca cosa «il datore di lavoro che non adempie all'obbligo di cui all'articolo 25-bis, decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre, numero 313, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 10.000,00 a euro 15.000,00» per ogni lavoratore. L’ampiezza dell’obbligo. Sebbene la lettura delle norme sia quella italiana che quella europea apparisse chiara, il Ministero della giustizia ha ritenuto di intervenire sul punto dell’applicabilità della normativa anche al mondo del volontariato escludendolo con riferimento all’impiego di volontari nelle attività. Per il Ministero, infatti, non sarebbe «rispondente al contenuto precettivo di tali nuove disposizioni l’affermazione per la quale l’obbligo di richiedere il certificato del casellario giudiziale gravi su enti e associazioni di volontariato pur quando intendano avvalersi dell’opera di volontari». Ciò perché «costoro [] esplicano un’attività che, all’evidenza, resta estranea ai confini del rapporto di lavoro». A questo punto, in presenza di un’espressione «attività professionali o attività volontarie organizzate» che mi sembrava indicare una chiara volontà onnicomprensiva del legislatore comunitario ed italiano, non riesco a comprendere la ratio della distinzione forse che il minore possa entrare in contatto con soggetti «a rischio recidiva» sol perché essi operano volontariamente ovvero gratuitamente ? Quella conclusione appare francamente contraria allo spirito della norma di protezione di fonte sovranazionale. Inoltre, seconda precisazione del Ministero, l’obbligo varrà soltanto per le nuove assunzioni sul punto, probabilmente, si è inteso far leva sulla circostanza che la norma europea prevede il diritto all’informazione del datore di lavoro «al momento dell’assunzione». Anche questa precisazione, però, sebbene possa apparire giustificata dalla lettera della legge, appare alquanto sorprendente la ratio che è sottesa a questa interpretazione e, cioè, probabilmente quella di limitare gli oneri a carico del datore di lavoro o, non vorrei, quella di non dare una interpretazione retroattiva non credo possa essere così cogente da poter prevalere sull’esigenza sottesa alle norme in materia di informazione che è quella di tutelare i minori dal rischio di entrare in contatto con soggetti già condannati per reati sessuali con minorenni. Francamente, non vedo come si possa tutelare più l’esigenza di non aggravare gli oneri burocratici ed economici degli operatori e/o dello Stato quando, il bene giuridico che si intende tutelare è quello della integrità dei minori che è assolutamente prevalente nella speranza, ovviamente, di non essere contraddetto sul punto perché esprimerebbe una realtà giuridica e sociale che non mi piacerebbe affatto . Richiedere al datore di lavoro l’obbligo di informarsi su chi sta impiegando o di chi si sta avvalendo quando opera a contatto con minori siano gli insegnanti, i bidelli, gli allenatori di calcio, le babysitter, gli organizzatori di feste per bambini mi sembra il minimo che lo Stato possa fare per evitare quantomeno il rischio della reiterazione di condotte pregiudizievoli per i minori. Non vorrei, poi, che la normativa possa essere diminuita nella sua forza di tutela andando a discutere se l’obbligo è previsto soltanto quando il datore di lavoro, ad esempio, assume alle proprie dipendenze e non quando per intendersi si avvale di una partita IVA. Ed ancora, quell’obbligo dovrebbe valere anche per i tirocinanti e assimilati l’esigenza di tutela, infatti, riguarda i minori e non vorremmo certo dire che il minore deve essere tutelato soltanto dal dipendente a tempo indeterminato e non dallo/a stagista che comunque entra in contatto con i minori? La nozione di datore di lavoro deve intendersi in senso ampio, quantomeno come nel settore della sicurezza sul lavoro dove la sicurezza deve essere garantita anche ai volontari come la Cassazione Sez. Lavoro, sent. numero 23372/2013 ci ha recentemente ricordato in un caso che riguardava i lavori di edificazione di un luogo di culto liberamente eseguiti dagli appartenenti a quella religione. Inoltre, ai fini della richiesta del certificato conta che quel soggetto entri in contatto con il minore non il titolo in forza del quale vi entra. Spero, quindi, che l’interpretazione amministrativa e giudiziaria vada nel senso qui indicato superando l’interpretazione fornita dal Ministero e, quantomeno, noi tutti nel momento in cui affidiamo i nostri figli a strutture organizzate di tendenza o no poco importa, pubbliche o private iniziamo a pretendere contrattualmente che «l’organizzatore» svolga e si impegni a svolgere tutti i controlli per garantire la massima serenità ai minori in tutte le direzioni ivi comprese, ad esempio, le modalità di insegnamento e i relativi metodi troppi volti sottovalutati o affidati a generici piani dell’offerta formativa che possono poi essere pregiudicati dalla scelta improvvida di personale non all’altezza . La tutela dei minori esige il massimo impegno possibile e non soltanto l’adempimento formale degli obblighi pure presenti nei diversi settori di riferimento e la voglia di aumentare le garanzie anche contrattualmente.