Mancata correlazione tra accusa e condanna? No, senza una trasformazione radicale della fattispecie

Per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, in modo da non poter rinvenire, tra il fatto contestato e quello accertato, un nucleo comune identificativo della condotta.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11813/13, depositata il 13 marzo. Il caso. Una ragazza, sedicenne all’epoca del reato, veniva condannata per concorso in tentato furto aggravato artt. 56, 110, 624 bis , 61 n. 5 c.p. alla pena condizionalmente sospesa di 6 mesi di reclusione ed euro 155 di multa. Mancata correlazione tra accusa e condanna? Dopo la conferma della condanna in appello, l’imputata presenta ricorso per cassazione deducendo la mancanza di correlazione tra accusa e condanna. La Corte Suprema, ribadendo un consolidato principio di legittimità, ribadisce che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali , della fattispecie concreta, che non consenta di rinvenire, tra il fatto contestato e quello accertato, un nucleo comune identificativo della condotta, riscontrandosi invece un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa a fronte del quale si verifica un reale pregiudizio dei diritti della difesa Cass., n. 45993/2007 . Cosa che, nel caso di specie, non può dirsi essere accaduta. C’è un testimone oculare. I giudici di merito hanno fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputata in ordine al reato di tentato furto aggravato sulla base delle dichiarazioni di un teste e del riconoscimento dallo stesso effettuato in fotografia e in dibattimento. E un diritto di difesa che non è stato violato. Infine, essendo stato assicurato il contraddittorio sul contenuto dell’accusa, nessun pregiudizio è stato arrecato al diritto di difesa dell’imputata, presente tra l’altro al giudizio di primo grado.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 dicembre 2012 – 13 marzo 2013, numero 11813 Presidente Petti – Relatore Cammino Osserva Con sentenza in data 1 dicembre 2011 la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza emessa il 27 aprile 2011 dal Tribunale per i minorenni di Genova con la quale B.S. era stata dichiarata colpevole del reato di concorso in tentato furto aggravato articolo 56, 110, 624 bis, 61 numero 5 cod.penumero , commesso in Genova il 18 giugno 2008 nell'abitazione di due coniugi entrambi in condizioni di minorata difesa perché portatori di handicap, ed era stata condannata, con le circostanze attenuanti generiche e la diminuente della minore età equivalenti all'aggravante, alla pena condizionalmente sospesa di mesi sei di reclusione ed Euro 155,00 di multa. Avverso la predetta sentenza l'imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione. Con il ricorso si deduce la violazione degli articolo 521, 522 cod.proc.penumero per la mancanza di correlazione tra accusa e condanna in quanto all'imputata era stato contestato di essersi introdotta nell'abitazione delle persone offese fingendo di essere stata mandata dal parroco e, per consentire ad una complice mai identificata di entrare a sua volta nell'abitazione per commettervi il furto, di aver distratto i due coniugi i quali però si erano accorti della presenza nel corridoio di un'altra persona e avevano indotto alla fuga le due ragazze. Le stesse erano state poi raggiunte dal teste S.A. , il quale aveva riconosciuto l'imputata. Nella motivazione della sentenza appellata si ipotizza invece che, considerato il mancato riconoscimento dell'imputata da parte delle persone offese entrate in contatto con una sola delle due ragazze, quella riconosciuta dal S. l'imputata fosse la complice di colei che per prima si era introdotta nell'abitazione. Secondo il difensore della ricorrente il pubblico ministero avrebbe dovuto contestare la modifica dell'imputazione ex articolo 516 cod.proc.penumero e il Tribunale avrebbe dovuto disporre la trasmissione degli atti all'ufficio del pubblico ministero ex articolo 521 comma terzo cod.proc.penumero . Il ricorso è infondato e va rigettato. È principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, con la conseguenza che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l’ iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione Cass. Sez.Unumero 15 luglio 2010 numero 36551, Carelli Sez.Unumero 19 giugno 1996 numero 16, Di Francesco e, ancora, sez. III 14 giugno 2011 numero 36817, T.D.M. sez. III 27 febbraio 2008 numero 15655, Fontanesi sez. IV 15 gennaio 2007 numero 10103, Granata sez. IV 4 febbraio 2004 numero 16900, Caffaz e altri . La nozione di fatto di cui agli articolo 521 e 522 cod. proc. penumero va intesa, infatti, quale accadimento di ordine naturale, nelle sue connotazioni oggettive e soggettive, e pertanto, per aversi mutamento del fatto , occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, che non consenta di rinvenire, tra il fatto contestato e quello accertato, un nucleo comune identificativo della condotta, riscontrandosi invece un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa a fronte del quale si verifica un reale pregiudizio dei diritti della difesa Cass. sez. II 16 ottobre 2007 numero 45993, Cuccia . Nel caso di specie sia il giudice di primo grado che quello di appello hanno fondato l'affermazione di responsabilità dell'imputata in ordine al reato di tentato furto aggravato sulla base delle dichiarazioni del teste S.A. e del riconoscimento dallo stesso effettuato in fotografia nel corso delle indagini preliminari e di persona in dibattimento, allorché il teste aveva indicato con sicurezza B.S. come una delle due ragazze viste scappare dall'edificio abitato dai coniugi vittime del tentativo di furto. Oltre al riconoscimento da parte del teste S. , anche le circostanze della fuga e il fatto che l'autovettura a bordo della quale le due si erano dileguate risultasse intestata alla madre della B. , la quale qualche giorno dopo aveva denunciato il furto del veicolo al cui interno sarebbero state lasciate le chiavi avvenuto mentre si trovava con la figlia a XXXX, hanno indotto il giudice di merito a ritenere che l'imputata avesse preso parte al tentativo di furto nell'abitazione dei coniugi F. -T. . Solo in via di ipotesi nella sentenza impugnata si prospetta, con ragionevole fondatezza , che l'imputata, la quale non era stata riconosciuta dalle persone offese, avesse avuto il ruolo di ricercare valori e beni da rubare mentre i padroni di casa erano impegnati nella conversazione con la complice presentatasi come un'inviata del parroco. Non è emersa quindi in dibattimento una diversità del fatto, intesa come eterogeneità del fatto rispetto alla contestazione che non risulta, nemmeno nella prospettazione in via di ragionevole ipotesi di un ruolo alternativo svolto dall'imputata, modificata nel suo nucleo essenziale di concorso nella realizzazione del tentativo di furto ascritto. L'esercizio del diritto di difesa dell'imputata, presente peraltro al giudizio di primo grado, non può pertanto essere stato in alcun modo pregiudicato, essendo stato comunque assicurato il contraddittorio sul contenuto dell'accusa. Il rigetto del ricorso proposto dall'imputato minorenne, anche se nel frattempo divenuto maggiorenne, non comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende Cass. Sez.Unumero 31 maggio 2000 numero 15, Radulovic sez.126 novembre 2008 numero 48166, Patti . P.Q.M. rigetta il ricorso.