É consentito criticare l’operato altrui, basta non esagerare

Il diritto di critica non tollera espressioni infamanti e inutilmente umilianti che si traducano in una mera aggressione verbale del soggetto criticato.

Questo quanto afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 9091 del 25 febbraio 2014. La vicenda. Due CTP vengono condannati in solido al pagamento di una multa e al risarcimento danni in favore della collega, per averne offeso la reputazione affermando che l’elaborato redatto dalla stessa era infarcito di macroscopici errori lessicali e concettuali. I condannati ricorrono in appello, il giudice li assolve perché non punibili, in quanto il reato commesso dagli stessi avveniva durante l’esercizio dell’attività lavorativa e le critiche” erano relative solo all’elaborato depositato agli atti del fascicolo, pertanto non idoneo ad essere divulgato a terzi. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la donna offesa, lamentando che la sentenza non ha dato atto del carattere lesivo e offensivo delle affermazioni dei colleghi e che per l’integrazione del reato di diffamazioni bastano le sole offese non rilevando la necessità che le stesse vengano diffuse. I limiti del diritto di critica. La Cassazione ritiene fondate le doglianze della ricorrente, in primo luogo sostenendo la non operatività della scriminante ex art. 51 c.p., riconducibile nella fattispecie in esame all’esercizio del diritto di critica. Questo perché, secondo i giudici di legittimità, la scriminante, richiede, in linea generale la verifica della sussistenza di 3 requisiti verità, interesse alla notizia e continenza, ma proprio con riferimento a quest’ultimo requisito la motivazione della sentenza impugnata si presenta difforme da una corretta applicazione dei principi giuridici in materia. Infatti, secondo ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale. Va infatti ricordato che il riconoscimento del diritto di critica tollera giudizi anche aspri sull’operato del destinatario delle espressioni, purché gli stessi colpiscano quest’ultimo con riguardo a modalità di condotta manifestate nelle circostanze a cui la critica si riferisce ma non consente che, prendendo spunto da dette circostante, si trascenda in attacchi a qualità o modi di essere della persona che finiscano per prescindere dalla vicenda concreta, assumendo le connotazioni di una valutazione di discredito in termini generali della persona criticata Cass. n. 15060/2011 . Per questi motivi la Corte accoglie il ricorso della donna offesa, ritenendo che le espressioni senz’altro superano il limite della continenza del diritto di critica, presentandosi inutilmente umilianti del soggetto criticato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 dicembre 2013 – 25 febbraio 2014, n. 9091 Presidente Marasca – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto 1. Il Giudice di Pace di Lanciano condannava A.V. e V.F. alla pena di euro 800,00 di multa ciascuno ed i medesimi in solido al risarcimento dei danni in favore di I.S., parte civile, per il delitto di cui agli artt. 110 e 595 c.p. per avere in concorso tra loro, in qualità di consulenti di parte, offeso la reputazione della I., consulente grafologa del P.M., affermando nell'elaborato prodotto all'udienza dei 15.10.2008, nel procedimento penale n. 1193/2005, che la predetta I., con il suo elaborato infarcito di macroscopici errori concettuali, operativi ed addirittura lessicali dequalificava la scienza grafologica e l'ateneo di Urbino presso cui aveva conseguito il titolo. 2. A.V. e V.F. proponevano appello avverso tale sentenza ed il Tribunale di Lanciano, con sentenza del 26 aprile 2012, li assolveva in quanto non punibili per aver esercitato un proprio diritto, operando nella fattispecie la scriminante di cui all'art. 51 c.p Il Tribunale, in particolare, pur dando atto che gli apprezzamenti oggetto di contestazione si presentavano estremamente negativi dell'operato altrui, evidenziava, che tali espressioni, tuttavia, erano in rapporto di logica funzionalità con l'incarico svolto, che era quello di fornire elementi di valutazione in contrapposizione ad altro elaborato peritale e che, in tale contesto, trattandosi di espressioni contenute nell'elaborato depositato agli atti del fascicolo e non altrimenti divulgato, ovvero fatto oggetto di esternazioni ulteriori rispetto allo stretto ambito dell'incarico, poteva ritenersi la scriminante di cui all'art. 51 c.p. 3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso, ai soli effetti civili, I.S., parte civile, lamentando la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, che, da un lato, dà atto del carattere lesivo ed offensivo delle espressioni contestate e, dall'altro, dà atto della non gratuità di esse, in quanto inserite in un contesto di contrapposizione ad un altro elaborato peritale, quantunque il semplice contesto processuale sia inidoneo a far ritenere sussistente la causa di non punibilità. Inoltre, sostiene la ricorrente, illogica si presenta l'affermazione secondo cui non vi sarebbero state esternazioni ulteriori dell'elaborato, come se tale elemento fosse necessario per la configurazione di una diffamazione punibile. Infine, la ricorrente si duole dell'erronea applicazione, ai sensi dell'art. 606 lett. b c.p.p., della scriminante di cui all'art. 51 c.p., atteso che il riferimento agli errori lessicali e alla dequalificazione della scienza grafologica e dell'ateneo di Urbino è indubbiamente mirato ad attaccare la professionalità e la personalità della ricorrente, superando il limite della continenza. Considerato in diritto Il ricorso è meritevole di accoglimento. 1. Va innanzitutto evidenziato che le censure relative al fatto che il giudice di appello avrebbe dapprima dato atto dei carattere offensivo delle espressioni utilizzate dall'A. e dalla V. nel proprio elaborato e, quindi, contraddittoriamente, avrebbe valutato l'ambito in cui tali espressioni si collocavano, al fine di ritenere operante la scriminante ex art. 51 c.p. non appaiono condivisibili. Ed invero, va richiamato in proposito quanto evidenziato da questa Corte, secondo cui la scansione del procedimento logico-giuridico da seguire in tema di accertamento della punibilità dell'imputato a titolo di diffamazione implica in primo luogo la valutazione diretta a stabilire se il contenuto della comunicazione rivolta a più persone rechi in sé la portata lesiva della reputazione altrui, che costituisce il proprium del reato contestato e una volta stabilito il concorso degli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, l'attenzione del giudicante può spostarsi sull'apprezzamento della linea difensiva volta a giustificare il fatto sotto il profilo della scriminante di cui all'art. 51 cod. pen., e quindi sulla verifica di sussistenza dei noti requisiti di verità, interesse alla notizia e continenza Sez. V, n. 41661 del 17/09/2012 . Della scansione così descritta pare aver tenuto conto il giudice di appello che ha, innanzitutto, correttamente evidenziato la natura lesiva dell'altrui onore delle espressioni oggetto di contestazione. Se, infatti, il bene giuridico tutelato dalla norma ex art. 595 c.p., è l'onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale alias reputazione di ciascun cittadino e l'evento è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno parola, disegno lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente ad incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino Sez. V, n. 5654 dei 19/10/2012 , le espressioni oggetto di contestazione sono obiettivamente pregiudizievoli della reputazione della persona offesa, concretizzando un pregiudizio anche la divulgazione di qualità negative idonee ad intaccarne l'opinione tra il pubblico dei consociati Sez. V, n. 43184 del 21/09/2012 . 2. Fondata si presenta, invece, la doglianza della ricorrente relativa alla non corretta applicazione da parte del giudice di appello della scriminante di cui all'art. 51 c.p. e tale valutazione assorbe l'esame degli ulteriori vizi di illogicità della sentenza impugnata denunciati in relazione a tale applicazione. La scriminante di cui all'art. 51 c.p., così come accennato nella sentenza impugnata, è riconducibile nella fattispecie in esame all'esercizio del diritto di critica, volto, in considerazione della natura e finalità dello scritto consulenza di parte , contenente le espressioni contestate, alla confutazione delle argomentazioni svolte nell'avversa consulenza del P.M. Ora, il diritto di critica nelle sue più varie articolazioni ossia di critica politica, giudiziaria, scientifica, sportiva etc. , espressione della libertà di manifestazione del proprio pensiero, garantita dall'art. 21 Cost., così come dall'art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, si traduce proprio nell'espressione di un giudizio o di un'opinione personale dell'autore, che non può che essere soggettiva. L'accertamento della scriminante in questione, come detto, richiede, tuttavia, in linea generale la verifica della sussistenza dei tre requisiti elaborati dalla giurisprudenza di legittimità la verità, l'interesse alla notizia e la continenza Sez. V, n. 45014 dei 19/10/2012 , ma proprio con riferimento a tale ultimo requisito la motivazione della sentenza impugnata si presenta difforme da una corretta applicazione dei principi giuridici applicabili in materia. Il giudice di appello, infatti, pur richiamando correttamente il consolidato indirizzo della S.C., secondo cui il limite immanente all'esercizio del diritto di critica è essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l'utilizzo di argomenta ad hominem Sez. V, n. 4938 del 28/10/2010 n. 4938 , tuttavia non trae corretta conseguenza da tali principi con riferimento al caso esaminato. Se da un lato, il contesto nel quale la condotta diffamatoria si colloca può e deve essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica Sez. V, n. 28685 del 05/06/2013 , dall'altro va considerato che non può in alcun modo scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest'ultimo in quanto tale. Va, infatti, ricordato che il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato Sez. 5, n. 29730 del 4.5.2010, imp. Andreotti, Rv. 247966 . Il riconoscimento del diritto di critica tollera in altre parole giudizi anche aspri sull'operato del destinatario delle espressioni, purchè gli stessi colpiscano quest'ultimo con riguardo a modalità di condotta manifestate nelle circostanze a cui la critica si riferisce ma non consente che, prendendo spunto da dette circostanze, si trascenda in attacchi a qualità o modi di essere della persona che finiscano per prescindere dalla vicenda concreta, assumendo le connotazioni di una valutazione di discredito in termini generali della persona criticata Sez. V, n. 15060 del 23/02/2011 . Sulla base dei principi appena indicati deve concludersi che, nel caso in esame, le espressioni oggetto di contestazione, pur considerando il contesto acceso nel quale si inseriscono consulenza di parte volta a confutare le argomentazioni contenute nella consulenza della I. , superano senz'altro il limite della continenza del diritto di critica, presentandosi inutilmente umilianti del soggetto criticato. Invero, l'affermare che l'elaborato della I. è infarcito di macroscopici errori addirittura lessicali e costituisce espressione di dequalificazione della scienza grafologica e dell'ateneo di Urbino presso il quale la I. ha conseguito il titolo, si traduce in un attacco alle qualità della I. medesima non funzionale al contesto di aspra confutazione di natura tecnica, nel quale le affermazioni si collocano ed assumono connotazioni non consentite di discredito in termini generali della persona criticata. Il ricorso per le ragioni esposte va, dunque, accolto e la sentenza impugnata va annullata agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell'art. 622 c.p.p. P.Q.M. Annulla agli effetti civili la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per il relativo giudizio.