Due distinte denunce per molestie confluiscono nell’unica condanna per stalking

Una volta perfezionatasi in concreto la fattispecie tipica del reato di atti persecutori, costituita dalla reiterazione delle condotte moleste e dal verificarsi da uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma, dopo l’entrata in vigore dell’art. 7 del decreto legge 23.2.2009 n. 11, convertito nella legge 23.4.2009 n. 38, l’unica disciplina applicabile deve individuarsi in quella contenuta nell’art. 612 bis c.p

Lo ha stabilito la Quinta sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5206 depositata il 3 febbraio 2014. Il caso. Nella pronuncia in rassegna la Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un uomo, condannato per i reati di atti persecutori e lesioni. I motivi del gravame riguardavano solo il primo reato, ed in particolare 1 violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. in quanto nella condotta dell’imputato sarebbero ravvisabili due differenti tipologie di reato, oggetto di autonome denunce da parte delle persone offese, da unificare sotto il vincolo della continuazione, per cui non avendo l’imputato assunto la veste di molestatore abituale”, egli non potrebbe ritenersi responsabile del delitto in questione 2 violazione di legge e vizio di motivazione per avere la corte territoriale ritenuto acriticamente che l’ammonimento da parte del Questore, ex art. 8 d.l. n. 11/2009 conv. L. n. 38/2009, non è necessario ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori. Sugli elementi costitutivi del delitto di stalking. La Suprema Corte ripercorre il suo pacifico e consolidato orientamento secondo il quale tra gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 612-bis c.p. comportamento minaccioso o molesto realizzazione di uno degli eventi alternativi previsti dalla norma in quello della reiterazione” rientrano anche due sole condotte di minaccia o di molestia così, da ultimo, da Cass. n. 45648/13 , escludendo il reato solo ove gli eventi fossero determinati da un solo atto, pur significativo. Trattandosi di un reato abituale di evento come espressamente riconosciuto da Cass. n. 20993 , ne consegue essere errata la prospettiva dell’imputato per cui i singoli fatti denunciati andrebbero qualificati come molestie continuate ex artt. 81 e 660 c.p. è sufficiente per la consumazione del delitto di atti persecutori la realizzazione di una pluralità di condotte che, singolarmente considerate, possono anche non costituire già reato e il verificarsi di uno degli eventi in quanto nella costruzione della fattispecie il legislatore ha indissolubilmente legato, in termini di rapporto causale, l’insorgenza di uno degli stati pregiudizievoli della libertà morale della persona offesa. Una volta perfezionatasi in concreto la fattispecie tipica del reato di atti persecutori – conclude sul punto la sentenza – costituita dalla reiterazione delle condotte moleste e dal verificarsi da uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma, dopo l’entrata in vigore dell’art. 7 del decreto legge 23.2.2009 n. 11, convertito nella legge 23.4.2009 n. 38, l’unica disciplina applicabile deve individuarsi in quella contenuta nell’art. 612-bis c.p. Sui rapporti tra il delitto di atti persecutori e l’ammonimento . Viene rigettato dagli ermellini anche il motivo sulla presunta intima connessione tra la fattispecie incriminatrice di stalking e l’ammonimento del Questore, per cui se l’imputato fosse stato convocato dalla locale caserma dei Carabinieri, che da tempo conosceva l’uomo, egli avrebbe potuto essere indotto a più miti consigli”. Viene correttamente ribadito dalla Suprema Corte che diversi sono le sfere di operatività del delitto di atti persecutori penale e dell’ammonimento amministrativo . L’unico collegamento tra i due istituti viene ravvisato nella circostanza che entrambi abbracciano gli stessi comportamenti stalkizzanti non solo quelli rivolti fisicamente e direttamente contro la vittima della persecuzione ma anche atti che si riflettono indirettamente sulla vittima provandole un grave e perdurante stato di ansia e di paura o costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita ma è diverso è l’onere probatorio, in quanto per l’ammonimento, avendo finalità cautelare di natura amministrativa, sono sufficienti indizi coerenti in questo senso anche la giurisprudenza amministrativa cfr., TAR Lombardia, Milano, sez. III, 25 agosto 2010, n. 4182 . Inoltre, il procedimento di ammonimento va attivato solo” dalla persona offesa la quale può scegliere se attivare il binario amministrativo o presentare querela con la conseguente instaurazione del procedimento penale. Su quest’ultimo aspetto, per la verità, vi è da chiedersi a seguito della recente legge n. 119/2013 di conversione del D.l. n. 93/13 sul c.d. femminicidio , – laddove ha previsto che, anche in assenza di querela, il questore può procedere all'ammonimento dell'autore del fatto nei casi in cui alle forze dell'ordine siano segnalati in forma non anonima fatti riconducibili ai delitti di percosse e lesioni personali considerati ''reati sentinella” , nell'ambito di violenza domestica – anche all’ammonimento per stalking si deve ritenere estesa la possibilità di una promozione non più esclusiva alla persona offesa ma anche alla segnalazione non anonima.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 ottobre 2013 - 3 febbraio 2014, numero 5206 Presidente Palla – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza pronunciata il 6.5.2013 la corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Cosenza, in sede di giudizio abbreviato, in data 16.1.2013, aveva condannato F.I. , imputato dei reati di cui agli artt. 94 e 612 bis, c.p. capo A e 582, 585, c.p. capo B , alla pena ritenuta di giustizia. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del suo difensore di fiducia, articolando plurimi motivi di impugnazione. 3. In particolare il ricorrente lamenta 1 violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 612 bis, c.p., in quanto nella condotta del F. sono in realtà ravvisabili due differenti tipologie di reato, oggetto di autonome denunce da parte delle persone offese, da unificare sotto il vincolo della continuazione, per cui, non avendo l'imputato assunto la posizione di molestatore abituale , egli non può ritenersi responsabile del delitto in questione 2 violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la corte territoriale ritenuto acriticamente che l'ammonimento da parte della polizia giudiziaria non è necessario ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 612 bis, c.p., laddove se il F. fosse stato convocato dai CC. di omissis , che da tempo lo conoscevano, egli avrebbe potuto essere indotto a più miti consigli 3 vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della entità della pena inflitta. 4. Il ricorso non può essere accolto. 5. Ed invero, con riferimento al primo motivo di impugnazione di cui, peraltro, non può non rilevarsi la genericità , va rilevato che, come evidenziato dal dominante e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di cui all'art. 612 bis, c.p., introdotto dall'art. 7, d.l. 23.2.2009, numero 11, convertito nella l. 23.4.2009, numero 38, è configurabile quando, come previsto dalla menzionata disposizione normativa, il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato nella vittima o un grave e perdurante stato di turbamento emotivo ovvero abbia ingenerato un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona alla medesima legata da relazione affettiva ovvero ancora abbia costretto la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita, rientrando nella nozione di reiterazione , quale elemento costitutivo del suddetto reato, anche due sole condotte di minaccia o di molestia cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 27/11/2012, numero 20993, F., rv. 255436 Cass., sez. V, 09/05/2012, numero 24135, G. . Trattasi, in tutta evidenza, di un reato abituale di evento cfr. Cass., sez. V, 27/11/2012, numero 20993, F., Cass., sez. I, 8.2.2011, numero 9117, rv. 249617 , per la cui consumazione, dunque, sono necessari, da un lato la realizzazione di una pluralità di condotte, che, singolarmente considerate, possono anche non costituire già reato dall'altro il verificarsi di uno dei tre eventi indicati, in via alternativa, dalla norma incriminatrice come conseguenza della reiterazione degli atti da essa previsti, in quanto, nella costruzione della fattispecie, il legislatore ha indissolubilmente legato, in termini di rapporto causale, l'insorgenza di uno degli stati pregiudizievoli della libertà morale della persona offesa in precedenza elencati, alla reiterazione delle condotte di minaccia o di molestia, per cui ove tale insorgenza fosse determinata da un solo atto, pur significativo, si esulerebbe dall'ambito di operatività dell'art. 612 bis, c.p Ne consegue che, una volta perfezionatasi in concreto la fattispecie tipica, costituita dalla reiterazione delle condotte moleste e dal verificarsi di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma, dopo l'entrata in vigore del citato art. 7, d.l. 23.2.2009, numero 11, convertito nella I. 23.4.2009, numero 38, come nel caso in esame, l'unica disciplina applicabile deve individuarsi in quella contenuta nell'art. 612 bis, c.p. cfr. Cass., sez. V, 28.5.2013, Bichicchi . A tali principi si è puntualmente attenuta la corte territoriale, che, con motivazione approfondita ed immune da vizi, ha evidenziato come le persone offese R.M. e N.M. , sulla cui credibilità soggettiva ed attendibilità intrinseca del loro narrato nessuna doglianza è stata prospettata dal ricorrente, hanno riferito di un pluralità di episodi intimidatori posti in essere con continuità ed in momenti diversi in loro danno dall'imputato consistenti in reiterate minacce, appostamenti presso le rispettive abitazioni et similia , che hanno determinato in essi uno stato di ansia e di preoccupazione, in uno con il mutamento delle proprie abitudini di vita e lavorative, eventi puntualmente descritti dal giudice di secondo grado, che, ad ulteriore conforto delle dichiarazioni accusatorie delle persone offese, ha utilizzato anche il contenuto delle sommarie informazioni rese in qualità di persone informate sui fatti da G.G. e da N.M. cfr. pp. 3-4 dell'impugnata sentenza . 5.1 Del pari privo di fondamento è il motivo di impugnazione di cui al numero 2 , in quanto risulta completamente estraneo alla fattispecie legale prevista dall'art. 612 bis, c.p., l'istituto del decreto di ammonimento emesso dal questore, ai sensi dell'art. 8, d.l. numero 11/2009 in tema di stalking , che appartiene non alla sfera del diritto penale, ma a quella del diritto amministrativo. Come è stato chiarito, infatti, la fattispecie dell'art. 8 comprende non solo azioni rivolte direttamente e fisicamente contro la vittima della persecuzione, ma anche atti che si riflettono indirettamente sulla vittima provocandole un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita. Solo in questo senso, dunque, può parlarsi di un collegamento tra l'istituto dell'ammonimento e il reato di atti persecutori la fattispecie amministrativa e quella penale riguardano i medesimi comportamenti ma è diverso l'onere probatorio, in quanto per l'ammonimento, avendo finalità cautelare di natura amministrativa, sono sufficienti indizi coerenti. 5.2 Infondato appare anche il terzo motivo di ricorso. La corte territoriale, infatti, secondo un percorso argomentativo assolutamente coerente ed esaustivo, ha sottolineato, da un lato come la pena finale di anni uno di reclusione inflitta al F. , debba considerarsi proporzionata alla entità dei fatti, indubitabilmente gravi ed allarmanti, alla intensità del dolo, alla personalità dell'imputato , su cui gravano plurimi precedenti penali, anche specifici , muovendosi, in tal modo, nel perimetro normativo tracciato dall'art. 133, c.p. dall'altro come costituisca ostacolo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche l'esistenza dei menzionati precedenti penali, sintomatici di una evidente capacità a delinquere del reo. Ed invero, in tema di circostanze attenuanti generiche, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo l'affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita, essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda. In questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati nell'art. 133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso, può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche, derivandone così che, esemplificando, queste ben possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell'imputato cfr., ex plurimis, Cass., sez. IV, 28/05/2013, numero 24172, H. . 5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell'interesse del F.M. va, dunque, rigettato, con condanna di quest'ultimo, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.