Procuratore domiciliatario battuto, onorari per studio e ricerche al difensore che ha redatto il ricorso

Ridotto ai minimi termini il compenso riconosciuto a un professionista, passato da un decreto ingiuntivo di quasi 3milioni e mezzo di euro a un quantum di appena 95 euro. Evidenti, secondo i giudici, i limiti dell’incarico conferito dal cliente per il contenzioso dinanzi al Tar. Non accettabile il richiamo agli onorari per attività di studio e per ricerca di documenti sono atti finalizzati alla redazione dell’atto introduttivo, compiuta da un altro legale.

Operativo sì, ma solo negli ultimi chilometri della battaglia giudiziaria. Questo il ruolo, rilevante ma circoscritto in ambiti precisi, del procuratore domiciliatario. Che, perciò, non può rivendicare, rispetto al proprio cliente, il diritto al pagamenti di onorari, e il riconoscimento della prestazione intellettuale, ossia disamina, studio della controversia e ricerca di documenti Cassazione, sentenza numero 2481/2013, Seconda Sezione Civile, depositata oggi . Pochi spiccioli Per l’opera professionale prestata durante un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, e coronata da vittoria, un avvocato ottiene l’emissione di un decreto ingiuntivo di quasi 3milioni e mezzo di euro nei confronti del proprio cliente secondo il professionista vanno conteggiati anche «gli onorari per studio della controversia, per ricerca di documenti e i diritti per la disamina della posizione». E l’azione viene ritenuta legittima dal Giudice di pace, nonostante l’opposizione del cliente, il quale aveva affermato che il legale «era subentrato, nella causa amministrativa, al precedente difensore, che aveva redatto integralmente il ricorso introduttivo del giudizio amministrativo» e la cui attività «era consistita nella notifica ed iscrizione a ruolo del ricorso e nel deposito d’istanza di discussione e di quella di prelievo». Tali obiezioni, però, vengono accolte in Tribunale, che, difatti, riconosce al legale «la residua minor somma» di appena 94 euro per il giudice di secondo grado, difatti, il legale aveva «ricevuto un mero incarico procuratorio» senza la necessità, quindi, dello «studio della controversia» né della «ricerca di documenti». Intellettuale e materiale. Clamorosa, ovviamente, l’inversione di rotta, che lascia l’amaro in bocca al legale. Quest’ultimo, però, ovviamente, si gioca l’ultima carta a disposizione il ricorso per cassazione. A sostegno delle proprie richieste, in particolare, il professionista richiama «la procura alle liti rilasciata solo a lui, e non all’altro legale che aveva redatto il ricorso introduttivo» essendo «l’unico difensore munito di procura, non poteva essere mero procuratore domiciliatario». Non a caso, «il cliente aveva adombrato una sua responsabilità professionale in relazione all’esito del giudizio amministrativo, che era stato posto, a suo avviso, a rischio di perenzione» E comunque, aggiunge il legale, anche l’inquadramento come procuratore domiciliatario «non escludeva che le attività di assistenza e difesa legittimate dalla procura, rilasciata dal cliente, gli conferissero il diritto al pagamento di onorari». In questa ottica, anche al procuratore domiciliata rio «spetterebbero i diritti di disamina e lo studio della controversia e quella di ricerca di documenti», che, sottolinea il legale, «prestazione intellettuale e non attività materiale». Nonostante tutto, però, l’ottica proposta viene ritenuta non fondata dai giudici di terzo grado, i quali, difatti, confermano il quantum stabilito in Tribunale. Nessun dubbio, secondo i giudici, è possibile sul ruolo del legale, che «in sede di provvedimento monitorio, aveva riconosciuto di non avere avanzato alcuna richiesta per onorari e competenze inerenti la redazione del ricorso, e di essere stato designato, in sostanza, solo quale domiciliatario e procuratore incaricato del compimento dei singoli atti processuali in relazione al giudizio davanti al Tar» deliberati dal cliente e dal precedente difensore evidenti, quindi, i limiti del mandato, ossia «dare notizia alla parte dell’ordinanza istruttoria del Tar». E, comunque, dai giudici arriva anche un chiarimento, in conclusione, sulla «prestazione intellettuale» rivendicata dal legale. Su questo fronte, in particolare, viene affermato che «la ricerca di documenti costituisce una prestazione d’ordine intellettuale essa però non va confusa con l’attività meramente materiale, con la quale i documenti sono messi a disposizione del professionista tale attività, tuttavia, si inserisce tra l’attività di studio della controversia e quella relativa alla consultazione con il cliente, ed è normalmente seguita dalla preparazione e redazione dell’atto introduttivo del giudizio», ossia il ricorso al Tar, che, in questo caso, «era stato redatto dall’altro difensore». Legittima, quindi, la decisione del giudice di secondo grado di negare il «riconoscimento degli onorari e dei diritti per le attività di studio non richieste e per la ricerca di documenti».

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 dicembre 2012 – 1 febbraio 2013, numero 2481 Presidente Oddo –Relatore Bursese Svolgimento del processo Su ricorso dell’avv. T.B. il Giudice di l’Aquila emetteva decreto ingiuntivo a carico di B.D.L. per il pagamento della somma di € 3.482.700 a titolo di saldo per l’opera professionale da lui prestata quale avvocato nel giudizio promosso dall’ingiunto presso il TAR di L’Aquila. Avverso tale decreto il D.L. proponeva opposizione, con la quale chiedeva la revoca del provvedimento monitorio ritenendo di nulla dovere al legale. Questi infatti, ad avviso dell’opponente, era subentrato, nella causa amministrativa, al precedente difensore avv. M.D.F. il quale aveva redatto integralmente il ricorso introduttivo del giudizio amministrativo, per cui - considerate le somme già pagate - nulla era più dovuto all’avv. B., la cui attività era consistita nella notifica ed iscrizione a ruolo del ricorso e nel deposito d’istanza di discussione e di quella di prelievo pertanto al professionista non spettavano gli onorari da lui richiesti per «studio della controversia», per «ricerca di documenti» e i diritti per la disamina della posizione. Si costituiva l’avv. B. chiedendo il rigetto dell’apposizione in quanto gli erano dovute tutte le voci richieste. L’adito giudice di Pace, con sentenza numero 494/04 rigettava l’opposizione, osservando che la negligenza professionale pure adombrata dal D.L. nei riguardi del legale, era smentita dal positivo esito del giudizio amministrativo sopra menzionato. Avverso tale sentenza proponeva appello il D.L. e l’adito Tribunale di L’Aquila con sentenza numero 93/06 depositata in data 7.2.2006 accoglieva l’appello riconoscendo al legale la residua minor somma di € 94,24, oltre gli intessi legali. Riteneva il giudice di 2° grado, che avendo il legale ricevuto un mero incarico procuratorio, non era necessario lo studio della controversia né la ricerca di documenti, per cui nulla per tali voci gli era dovuto. Per la cassazione della sentenza ricorre l’avv. B. sulla base di numero 3 mezzi d’impugnazione il D.L. si costituisce tramite procuratore, senza depositare il controricorso. Motivi della decisione Occorre premettere che il procuratore dell’intimato ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione sostenendo che la sentenza impugnata era stata notificata in data 5.2.07 ed era quindi passata in giudicalo come attestato dalla cancelleria. L’eccezione non ha pregio, essendo emerso che il ricorso per cassazione è stato notif. In data 20.12.06, quindi in data anteriore alla notifica della sentenza stessa, per cui la stessa, alla data della notifica del ricorso, non era certamente passata in giudicato. Si osserva inoltre che il ricorso non è soggetto al regime dei quesiti di cui all’articolo 366 bis c.p.c. in quanto la sentenza de qua è stata pubblicata il 7.2.2006. Poste tali premesse, si osserva che, con il primo motivo del ricorso, l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 83, 84, 85 c.p.c. e censura l’assunto della sentenza secondo cui era insussistente il diritto di esso avv. B. a percepire sia i diritti che gli onorari per l’attività svolta disamina, studio della controversia, consultazione e ricerca di documenti , benché la procura alle liti fosse stata rilasciata solo a lui e non all’altro legale che aveva redatto il ricorso introduttivo invero l’avv. B. era l’unico difensore munito di procura e non poteva essere mero procuratore domiciliatario. Osserva peraltro il ricorrente a tal proposito, che il cliente aveva adombrato una sua responsabilità professionale in relazione all’esito del giudizio amministrativo, che era stato posto a suo avviso a rischio di perenzione, anche se poi si era concluso in modo favorevole per il cliente. La doglianza non ha fondamento. Il giudice dell’appello ha adeguatamente motivato la questione suddetta, senza incorrere in alcun vizio interpretavo, rilevando puntualmente che lo stesso professionista, in sede di provvedimento monitorio, aveva riconosciuto di non avere «avanzato alcuna richiesta per onorari e competenze inerenti la redazione del ricorso», e di essere stato designato in sostanza solo quale domiciliatario e procuratore incaricato del compimento dei singoli atti processuali in relazione al giudizio avanti al TAR, «deliberati dal D.L. e dal suo difensore D.F.». Con il 2° motivo l’esponente denuncia l’omessa o contraddittoria motivazione. Deduce l’erroneità dell’assunto del giudice dell’impugnazione secondo cui l’opposto avrebbe riconosciuto di non avere ricevuto l’incarico di assistenza e difesa, «ma di essere stato designato quale domiciliatario e procuratore mandato del compimento di singole specifiche attività processuali», essendosi egli limitato a prospettare, in quella sede, la contraddittorietà della tesi dell’opponente, che aveva da un lato invocato la responsabilità professionale dell’opposto e dall’altro escluso lo svolgimento da parte sua di qualsiasi attività di assistenza e difesa. Anche tale doglianza è infondata. La Corte distrettuale ha supportato i riconosciuti limiti del mandato anche con il richiamo all’esclusione della richiesta di d.i. del compenso per attività svolte da altro professionista, come nel caso della redazione del ricorso da parte di altro difensore , sottolineando inoltre l’assunto dello stesso avv. B. che riconosceva che non gli era stato commesso alcun incarico di difesa da parte del cliente, e che egli, in forza del mandato ricevuto, si era limitato a dare notizia alla parte dell’ordinanza istruttoria del TAR. Occorre peraltro sottolineare che la prova dell’effettività delle prestazioni professionali svolte, incombesse al professionista opposto, in quanto attore in senso sostanziale Cass. numero 8718 del 27/06/2000 . Con il 3° motivo l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di cui al DM 127/2004 motivo proposto in via subordinata nel caso si ritenesse l’avv. B. solo procuratore domiciliatario . Assume che la spettanza al procuratore domiciliatario delle sole competenze di cui alla tabella B, non escludeva che le attività di assistenza e difesa legittimate dalla procura rilasciata dal cliente, gli conferissero il diritto al pagamento di onorari e che in ogni caso anche al procuratore demiciliatario spetterebbero i diritti di disamina e lo studio della controversia e quella di ricerca di documenti, che è prestazione intellettuale e non attività materiale. La doglianza è infondata. Invero, la ricerca di documenti costituisce una prestazione d’ordine intellettuale essa però non va confusa con l’attività meramente materiale con la quale i documenti sono messi a disposizione del professionista tale attività tuttavia si inserisce tra l’attività di studio della controversa e quella relativa alla consultazione con il cliente ed è normalmente seguita dalla preparazione e redazione dell’atto introduttivo del giudizio ricorso al TAR , che nella fattispecie era stato redatto dall’altro difensore. Ciò posto è consequenziale e logico il mancato riconoscimento da parte del giudice a qua degli onorari e dei diritti per le attività di studio non richieste e per la «ricerca di documenti», trattandosi appunto di atti finalizzati alla redazione dell’atto introduttivo, nella fattispecie scritto da altro legale. Il ricorso dev’essere dunque rigettato. Le spese processuali per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 1.200,00, di cui € 1.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.