Sanzioni tributarie, opera il principio del “favor rei”

Va ribadita, nell’ambito di applicazione delle disposizioni sulle sanzioni tributarie, l’operatività del principio del favor rei ai sensi del quale, da una parte, non si può essere assoggettati a sanzioni per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce violazione punibile dall’altra, è sempre la legge più favorevole al contribuente a dover essere applicata quando la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori prevedano sanzioni di diversa entità.

Detto principio è subentrato a seguito dell’abrogazione del criterio dell’ultrattività delle disposizioni sanzionatorie, e può essere applicato anche dal giudice, d’ufficio, e in ogni stato e grado del giudizio ciò, a condizione che via sia un procedimento ancora in corso e che il provvedimento impugnato non sia definitivo Il giudice tributario, anche d’ufficio, può applicare al contribuente sanzioni fiscali più leggere se previste da norme subentrate a quelle applicabili all’epoca dell’accertamento in ossequio del principio del favor rei. Tale assunto è stato statuito dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza numero 1656 del 24 gennaio 2013. Il caso. Il fisco con avviso d’accertamento ha contestato a un istituto di credito l’omessa ritenuta alla fonte su interessi relativi a depositi in valuta presso altre banche e istituzioni estere, detenuti dal contribuente in qualità di banca agente. Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava l’individuazione delle sanzioni da applicare ad una banca che non aveva versato, in favore di molti dipendenti, degli acconti di sua competenza in funzione del ruolo ricoperto di sostituto d'imposta. Sanzioni tributarie va applicato il favor rei. Il giudice di legittimità, in parziale accoglimento del ricorso in cassazione del contribuente, ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato anche per le spese del giudizio di legittimità al giudice del gravame La Corte ha accolto il motivo di ricorso con il quale il contribuente banca ha censurato la mancata applicazione delle disposizioni di legge che in tema di sanzioni stabilivano un regime più favorevole rispetto alle norme, ormai abrogate, cui aveva fatto riferimento il fisco. Secondo gli Ermellini «costituisce jus receptum il principio secondo cui, in forza dello jus superveniens più favorevole – correlabile anche alla Statuto del contribuente – può affermarsi che, in tema di sanzioni tributarie, alla abrogazione del principio di ultrattività delle disposizioni sanzionatorie è subentrato il principio del favor rei nella sua duplice prospettazione nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce violazione punibile se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa si applica la legge più favorevole». Il principio è applicabile anche d’ufficio e in ogni stato e grado del giudizio, a condizione che vi sia un procedimento ancora pendente e che il provvedimento impugnato non sia definitivo. Le disposizioni di legge invocate dalla ricorrente articolo 3 e 25, comma 2, D.Lgs. numero 472/1997 sono entrate in vigore il 1° aprile 1998, incidendo sul quantum della sanzione tributaria in senso favorevole al contribuente. Esse hanno infatti sostituito alla somma delle singole sanzioni speciali criteri di calcolo previsti per il concorso di violazioni tributarie e per la continuazione. Inoltre, il D.Lgs. numero 472/1997 «rende espressamente applicabili le nuove disposizioni – in particolare, per quanto interessa, quelle contenute nell’articolo 3, comma 3, stesso testo, introduttive del principio di legalità e di favore per il contribuente – ai processi in corso, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo». Favor rei, da valutare nel caso concreto. La ratio del favor rei si ritrova nella volontà del legislatore di colpire un determinato comportamento in base ad un’attuale valutazione e di conseguenza l’esigenza di sanzionare la medesima fattispecie con pari trattamento anche se le violazioni sono avvenute in tempi diversi. Il principio del favor rei comporta che la sanzione meno grave, più favorevole al trasgressore, abbia portata retroattiva nei giudizi pendenti. Se la nuova disposizione prevede una sanzione meno grave di quella precedente sarà applicata anche alla fattispecie anteriore per evitare disparità di trattamento tra i contribuenti se invece la nuova disposizione risulta più onerosa si renderà operante il principio di irretroattività non potendosi far ricadere sull’autore della violazione una sanzione più severa rispetto a quella conosciuta o conoscibile al momento del fatto illecito cui all’epoca della commissione veniva attribuito un minore disvalore. Un’importante considerazione in merito all’applicabilità della sanzione più favorevole è quella per cui l’individuazione della stessa deve essere fatta in concreto e non in astratto, avendo cura di valutare caso per caso, paragonando gli effettivi risultati che si determinano dall’utilizzo dell’una o dell’altra norma. L'articolo 3, comma 3, D.lgs. numero 472/1997, secondo cui «ove la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscano sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo», ha esteso il principio del favor rei anche alla materia tributaria, sancendone l’applicazione retroattiva, all’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non debba qualificarsi «definitivo». Ciò comporta che - salvo il caso d’intervenuta definitività del provvedimento sanzionatorio - le norme sopravvenute più favorevoli devono essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, pure in sede di legittimità, atteso che, in ogni altro caso, la natura e lo scopo squisitamente pubblicistici del principio del favor rei devono prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema d’impugnazione Cass. sentenza numero 9217/2008 . Viceversa, tempus regit actum è quel principio generale in base al quale ogni atto va valutato secondo la norma vigente al momento della commissione della violazione senza che debba valutarsi il principio del favor rei alla luce delle previsioni sanzionatorie sopravvenute.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 25 settembre 2012 24 gennaio 2013, numero 1656 Presidente D’Alonzo – Relatore Crucitti Svolgimento del processo A seguito della presentazione della dichiarazione dei sostituti di imposta per l'anno 1980, relativa agli interessi ed altri redditi da capitale da parte della Banca Generale di Credito s.p.a. oggi Capitalìa s.p.a. , l'Ufficio Distrettuale delle Imposte dirette di Milano notificava alla società avviso di accertamento con il quale rilevava l'omessa ritenuta alla fonte su interessi relativi a depositi in valuta presso banche ed istituzioni creditizie estere detenuti dalla contribuente in qualità di banca agente , nella Misura del 15% dell’importo di lire 115.290.000. Veniva, altresì, irrogata la sopratassa per omesso versamento diretto di cui all'articolo 92 del d.p.r. 29. 9.1973 numero 602, la sopratassa per omessa effettuazione della ritenuta alla fonte e, infine, la pena pecuniaria di cui all'articolo 47, secondo comma del d.p.r numero 600/1973. Avverso detto atto impositivo la società proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano deducendo la non applicabilità della norma di cui all'articolo 26, terzo comma, del d.p.r. numero 600/1973, stante la concentrazione, in capo a sé stessa, delle vesti rispettivamente di soggetto id est banca agente incaricato del pagamento in Italia di interessi esteri sostituto di imposta} e di soggetto destinatario del reddito sostituito trattandosi di interessi attivi maturati sui propri depositi e conti correnti intrattenuti con le corrispondenti estere. La Commissione Tributaria di primo grado accoglieva il ricorso, facendo proprie le ragioni addotte dalla ricorrente. Proposto appello avverso detta sentenza dall'Agenzia delle Entrate, la Commissione di secondo grado rigettava il gravame osservando che la Banca era essa stessa investitrice, e quindi, non doveva effettuare alcuna ritenuta alla fonte per 1 premi e gli interessi percepiti da istituzioni estere. Tale decisione veniva impugnata dinnanzi alla Commissione Centrale la quale, con sentenza 2623/08/2006, depositata il 23.3.2006, accoglieva il ricorso dell'Ufficio. Avverso detta sentenza propone ricorso per Cassazione Capitalia s.p.a. affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate. Motivi della decisione. 1. La Commissione Tributaria Centrale, dato per pacifico che, nella specie, si trattava di titoli ed obbligazioni che i soggetti residenti in Italia possedevano nei confronti di banche ed istituzioni estere, per le quali la contribuente era solamente banca agente, e, quindi, tenuta alla ritenuta alla fonte o d'acconto al posto dei singoli clienti e che la stessa contribuente non aveva escluso di essere detentrice anche di obbligazioni, titoli, conti correnti nei confronti di banche e istituzioni creditizie estere, dalle quali, perciò, percepiva interessi, giungeva alla conclusioni che gli stessi dovevano essere sottoposti alla prescritta imposizione fiscale. 1.1. A sostegno della decisione la Commissione Tributaria Centrale richiamava l'orientamento di questa Corte per cui in tema di imposte sui redditi, in virtùdell'articolo 14 della legge 18.2.1999 numero 28 applicabile,, trattandosi di norma di interpretazione autentica e, quindi, assistita da efficacia retroattiva, anche ai rapporti non ancora definiti, il terzo periodo del quarto comma dell'articolo 26 del d.p.r. 26.9.1973 numero 600 il quale prevede che la ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti di obbligazioni e titoli similari è effettuata a titolo di imposta nei confronti dei soggetti esenti dall'IRPEG ed in ogni altro caso deve intendersi nel senso che la ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall'Iperg . 2. Con il primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in riferimento all'articolo 112 c.p.c, ai sensi dell'articolo 360 numero 4 c.p.c. Secondo la prospettazione difensiva la Commissione Tributaria Centrale avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sulla richiesta di rigetto del ricorso per violazione dell'articolo 64 del d.p.r. 29.9.1973 numero 600 malgrado la stessa ricorrente avesse formulato detta richiesta già in sede di ricorso dinnanzi alla Commissione Tributaria di I grado e l'avesse ribadita innanzi alla Commissione Centrale. In particolare, la Commissione avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sulla eccezione di inconfigurabilità ovvero di impossibilità della immedesimazione tra soggetto sostituto e sostituito di imposta. Il motivo non merita accoglimento. Va, infatti, rilevato che, così come esposta nel ricorso, tale richiesta non costituisce né una domanda né un'eccezione in senso stretto ma esclusivamente una mera difesa che, peraltro, è stata, seppure succintamente, trattata e vagliata dalla sentenza impugnata. 3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ancora ai sensi dell'articolo 360 numero 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in riferimento all'articolo 112 c.p.c. con riguardo alla richiesta avanzata in caso di accoglimento del ricorso erariale di ride terminazione delle sanzioni irrogate. In particolare, la ricorrente lamenta la mancata applicazione, in ossequio al principio del favor rei, delle disposizioni di cui all'articolo 14 del d.l. numero 471/1997 e dell'articolo 2, secondo comma del d. lgs.numero 471/97 le quali stabiliscono un regime più favorevole in tema di sanzioni rispetto alle norme, ormai abrogate, applicate nella specie dall'Amministrazione finanziaria. Il motivo merita accoglimento. In via generale, costituisce ius reepetum il principio secondo cui, in forza dello ius superveniens più favorevole -correlatale anche allo Statuto del contribuente può affermarsi che, in tema di sanzioni tributarie, alla abrogazione del principio di ultrattività delle disposizioni sanzionatorie è subentrato il principio del favor rei nella sua duplice prospettazione nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce violazione punibile se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa si applica la legge più favorevole. In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il principio del favor rei, introdotto dall'articolo 3 del d.lgs 18 dicembre 1997 numero 472 è, secondo il successivo articolo 25, comma 2, applicabile alle violazioni commesse anteriormente al 1° aprile 1998 data di entrata in vigore del d.lgs. numero 472 cit. applicabile ai procedimenti in corso. La giurisprudenza di questa Corte è poi univoca nel ritenere che il principio trovi applicazione anche d'ufficio ed in ogni stato e grado del giudizio, a condizione che via sia un procedimento ancora in corso e che il provvedimento impugnato non sia definitivo Cass.numero 17069 del 2009 Cass.numero 1055/2008 la quale ha statuito che la citata, norma superveniens, entrata in vigore il 1.4.1998, incidente sul quantum della sanzione tributaria in senso favorevole al contribuente perché sostituisce, alla somma delle singole sanzioni, speciali criteri di calcolo previsti per il concorso di violazioni e per la continuazione è applicabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di legittimità Cass. nnumero 10599/2002, 12865/2001 . Inoltre, il D.Lgs. numero 472 del 1997, articolo 25, comma 2, rende espressamente applicabili le nuove disposizioni in particolare, per quanto interessa, quelle contenute nell'articolo 3, comma 3, stesso testo, introduttive del principio di legalità e di favore per il contribuente ai processi in corso, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo Cass. numero 4408/2001 . Il nuovo regime sanzionatorio ben può applicarsi alla fattispecie oggetto di esame, trattandosi di violazioni commesse anteriormente all' entrata in vigore della norma e non potendosi considerare definitivo il provvedimento irrogativo oggetto di ricorso dal momento che esso è contestuale e strettamente correlato all'accertamento dedotto in lite. Risulta, poi, per tabulas che lo ius superveniens favorevole al contribuente essendo il nuovo regime entrato in vigore il 1° aprile 1998 è sopravvenuto nella pendenza del giudizio innanzi alla Commissione Tributaria Centrale la quale, in applicazione dei principi sopra illustrati, avrebbe dovuto applicarlo d'ufficio. Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata al Giudice del merito che provvedere alla valutazione dell' incidenza sulla fattispecie della norma più favorevole. 4. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 64, primo comma, del d.p.r. 29.9.1973 numero 600 ed omessa pronuncia circa un fatto decisivo della controversia articolo 360, numero 3 e 5 c.p.c . Secondo la prospettazione difensiva la Commissione Tributaria Centrale avrebbe errato nel legittimare la pretesa erariale all' evidenza contrastante con la corretta accezione del principio recato dall'articolo 64 del d.p.r. 29.9.1973 numero 600 il quale statuisce che chi in forza di disposizioni dì legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso. Rivalsa che, nella specie, non poteva esercitarsi coincidendo nello stesso soggetto la qualità di sostituto e sostituito. 4.1. Il motivo è infondato. La doglianza si fonda, infatti, su un assunto la percezione di interessi spettanti in proprio alla Banca e non ai suoi clienti che contrasta con i dati fattuali oggetto di giudizio ed accertati dalla sentenza impugnata. 4.2. La stessa ricorrente, infatti, espone v.pag.2 del ricorso che l'avviso di accertamento impugnato aveva ad oggetto l’omessa ritenuta alla fonte su interessi relativi a depositi in valuta presso banche ed istituzioni creditizie estere detenuti dalla contribuente in qualità di banca agente ma, soprattutto la Commissione Tributaria Centrale in tale ambito, ha -con accertamento in fatto non fatto oggetto di alcuna censura espressamente affermato che si trattava di titoli, obbligazioni e quant'altro che i soggetti residenti in Italia possedevano nei confronti di Banche ed istituzioni estere, per le quali la contribuente era solamente banca agente. 5. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 26 terzo comma d.p.r. 29.9.1973 nella parte cui la sentenza impugnata nulla statuiva sulla portata applicativa del terzo comma laddove il legislatore era intervenuto con norma di interpretazione autentica articolo 1 bis del d.l. 31.12.1996 numero 669, inserito nella legge di riconversione 28.2.1997 numero 30. 5.1. Il motivo è inammissibile. Con detto mezzo la contribuente espone pag.14 del ricorso che la decisione impugnata mentre si è dilungata sull'applicabilità dell'articolo 26, quarto comma del d.p.r. numero 600/1973 nulla ha statuito sulla portata applicativa del terzo comma del medesimo articolo 26 . L'applicabilità del quarto comma del citato articolo 26, affermata dalla C.T.C. costituisce autonoma ratio decidendi, indipendente da quella del terzo comma dello stesso articolo. L'idoneità di tale motivazione, non impugnata dalla ricorrente, a sorreggere da sola la decisione rende, quindi, vana la censura. Il motivo è, comunque, infondato ostando al suo accoglimento a la definitività dell' accertamento in fatto compiuto dalla CTC ovverosia che i titoli e le obbligazioni erano possedute da altri soggetti residenti in Italia per i quali la Banca fungeva da agente che ha condotto al rigetto del terzo motivo e, soprattutto b la circostanza ricordata dalla contribuente a pag 2 del ricorso per cassazione che l’accertamento è basato soltanto sull'omessa ritenuta alla fonte su interessi relativi a depositi detenuti dalla contribuente in qualità di banca agente. Tale ricostruzione in fatto rende inapplicabile il terzo comma come autenticamente interpretato dell'articolo 26 perché la norma nel fare esclusivo riferimento a frutti percepiti dalla banca nazionale non può che riguardare i frutti di spettanza della stessa banca e, non anche quelli materialmente riscossi e, quindi, non percepiti in nome e per conto dei terzi. In conclusione, il primo, terzo ed il quarto motivo di ricorso vanno rigettati, In accoglimento del secondo motivo la sentenza impugnata va cassata per quanto di ragione e la causa rinviata al Giudice del merito che provvedere anche in ordine al regolamento delle spese di questo grado. P.Q.M. In parziale accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo grado, alla Commissione Tributaria della Regione Lombardia.