Valutazione dei rischi: il medico competente deve collaborare anche agendo di sua iniziativa

In tema di valutazione dei rischi in azienda, il medico competente non ha un ruolo meramente passivo in assenza di sollecitazioni da parte del datore di lavoro, ma ha il dovere di fornire un contributo propulsivo, anche sottoponendo al datore rilievi e proposte che coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 1856713, depositata il 15 gennaio. Il caso. Una dottoressa, in qualità di «medico competente» presso un’azienda, viene condannata per non aver collaborato con il datore e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi e all’attività di formazione informazione nei confronti dei lavoratori. Avverso tale pronuncia la donna ricorre per cassazione. Solo un compito ausiliario ed accessorio? La ricorrente osserva che l’articolo 25, lett. a , D. Lgs. numero 81/2008, presuppone che il medico abbia un compito ausiliario ed accessorio, cosicché l’ambito di imputazione della responsabilità va limitato tenendo conto che egli non può sostituirsi all’obbligato principale né ha alcun obbligo di denuncia o segnalazione alle autorità preposte. Al contrario di quanto sostenuto dal giudice di merito, insomma, il medico competente non sarebbe tenuto anche ad un’attività di tipo propositivo, dal momento che tale interpretazione amplierebbe eccessivamente il significato del termine «collaborazione» utilizzato dal legislatore. La dottoressa lamenta inoltre che gli adempimenti che le erano stati imposti erano in realtà già stati eseguiti dall’azienda essendo in dubbio sul da farsi, ella aveva inviato una memoria difensiva all’organo ispettivo e alla Procura della Repubblica, non ottenendo però risposta. Il medico competente ha anche un ruolo propulsivo Gli Ermellini ricordano anzitutto che il medico competente è colui che, in possesso dei titoli e dei requisiti previsti, collabora con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al D. Lgs. numero 81/2008. Ciò premesso, la S.C. non condivide la tesi difensiva al medico non è richiesto l’adempimento di un obbligo altrui, come prospettato, bensì lo svolgimento del proprio obbligo di collaborazione anche mediante l’esauriente sottoposizione al datore dei rilievi e delle proposte che coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria. Il decreto citato riserva al datore di lavoro la valutazione dei rischi, ma è evidente che egli deve essere necessariamente coadiuvato da soggetti con specifiche conoscenze professionali, tali da consentire un corretto espletamento dell’obbligo. Per quanto riguarda nello specifico il medico competente, quindi, l’espletamento di tali compiti richiede necessariamente un’effettiva integrazione nel contesto aziendale e non può essere limitato a un ruolo meramente passivo in assenza di sollecitazioni da parte del datore di lavoro ovviamente il contributo propulsivo a lui richiesto è limitato alla specifica sfera professionale. dunque può assumere informazioni di sua iniziativa. Pertanto, in tema di valutazione dei rischi ambito per il quale il D. Lgs. 106/2009 ha introdotto la sanzione penale il medico competente assume elementi di valutazione non solo dalle informazioni fornite dal datore di lavoro, ma anche da quelle che può e deve acquisire direttamente di sua iniziativa, vistando gli ambienti di lavoro o interrogando i lavoratori stessi. La violazione dell’obbligo sanzionata penalmente riguarda anche inosservanze di questo tipo e non solo la totale violazione dell’obbligo medesimo. Quanto alla seconda censura, a giudizio della Cassazione essa attiene esclusivamente a questioni di fatto e in ogni caso la Corte territoriale ha dato atto che, al momento della proposizione della memoria, l’azienda non aveva esattamente adempiuto alle prescrizioni imposte. Per questi motivi la S.C. rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 dicembre 2012 – 15 gennaio 2013, numero 1856 Presidente Mannino – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Pisa, con sentenza dell'1.12.2011, ha condannato F F. alla pena dell'ammenda, riconoscendola responsabile della contravvenzione di cui all’articolo 25, comma 1, lett. a in relazione all'articolo 58, comma 1, lett. e del d.lgs. 81/2008 come modificato dall'articolo 41 del d.lgs. 106/09 perché, in qualità di “medico competente” presso l'azienda Toscopelli s.r.l., non collaborava con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione della sorveglianza sanitaria, all'attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori per la parte di competenza e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione dell'articolo 25, lettera a del d.lgs. 81/2008, osservando che il generico riferimento del dato normativo al dovere di collaborazione del “medico competente” con il datore di lavoro presuppone un compito ausiliario ed accessorio, essendo il medico privo di poteri coercitivi sull'obbligato principale datore di lavoro o responsabile della sicurezza , cosicché l'ambito di imputazione di responsabilità deve essere delimitato tenendo conto di tale particolare posizione che gli impedisce di sostituirsi all'obbligato principale e non prevede alcun obbligo di denuncia o segnalazione alle autorità preposte. Da ciò conseguirebbe la necessità di valutare la responsabilità del “medico competente” in relazione al contegno di volta in volta tenuto dall'obbligato principale, che è il soggetto cui spetta richiederne la collaborazione, quando effettivamente egli l'abbia resa possibile. Contesta, conseguentemente, la diversa interpretazione della norma prospettata dal giudice del merito, il quale avrebbe invece ritenuto che la collaborazione cui il “medico competente” è tenuto implichi anche un'attività di tipo propositivo, comportante la sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte concernenti la valutazione dei rischi che coinvolgono le sue specifiche competenze in campo sanitario. Osserva, a tale proposito, che una siffatta interpretazione amplierebbe oltremodo il significato del termine “collaborazione” utilizzato dal legislatore, mentre rimarrebbero comunque sottratte dall'ambito di operatività della disposizione tutte le ipotesi di collaborazione inadeguata, incompleta o erronea. Un ulteriore limite per il “medico competente” sarebbe inoltre rappresentato dalla impossibilità di ottenere informazioni diverse da quelle che è possibile ottenere dal datore di lavoro o dall'espletamento della propria attività, mentre serie difficoltà si presenterebbero nel dimostrare l'eventuale omissione, in mancanza di indicazioni specifiche sulla forma delle eventuali segnalazioni effettuate dal medico nello svolgimento della funzione propositiva così attribuitagli. 3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, osservando che le era stato recapitato un foglio di prescrizioni con il quale le si imponeva di provvedere agli adempimenti omessi nel termine assegnato ma che, nel frattempo, l'azienda aveva già provveduto all'adempimento, cosicché nel dubbio sulla condotta da tenere, aveva inviato una memoria difensiva all'organo ispettivo ed alla Procura della Repubblica chiedendo di essere esonerata dall'obbligo o di ottenere, unitamente ad una proroga del termine, indicazioni ulteriori, ma a tale sua richiesta non perveniva alcuna risposta. Ritiene, dunque, di poter essere rimessa nei termini per poter adempiere o di poter essere prosciolta in considerazione del fatto che il particolare svolgimento degli eventi escluderebbe ogni profilo di colpa. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato. Il “medico competente”, secondo la definizione fornita dall'articolo 2, lettera h d.lgs. 81/2008, è il medico che, in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all'articolo 38, collabora, secondo quanto previsto all'articolo 29, comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al decreto legislativo 81/2008. Come correttamente osservato nel provvedimento impugnato, l'attività di collaborazione del “medico competente”, già prevista dall'ormai abrogato articolo 17 d.lgs. 626U994, ma limitata alla predisposizione dell'attuazione delle misure per la tutela della salute e dell'integrità psico-fisica dei lavoratori sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva e delle situazioni di rischio, è stata ampliata dal d.lgs. 81/2008 che, nell’articolo 25, la estende anche alla programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, all'attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza e alla organizzazione del servizio di primo soccorso, considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Originariamente, per la violazione degli obblighi di collaborazione non era prevista alcuna sanzione penale, introdotta successivamente con l'articolo 35, comma 1 del d.lgs. 106/2009 che ha modificato l'articolo 58 del d.lgs. 81/2008. La introduzione della sanzione penale ad opera del d.lgs. 106/2009 riguarda, peraltro, come pure osservato nel provvedimento impugnato, il solo “medico competente”, mentre resta sottratto alla sanzione penale per mancata collaborazione il responsabile del servizio di prevenzione e protezione cui pure è demandato un ruolo ausiliario. 5. In maniera pienamente condivisibile il provvedimento impugnato pone in rilievo, oltre alla evidente disparità di trattamento di situazioni analoghe, anche la estrema genericità del modello di condotta sanzionato dalla disposizione che il giudice del merito è stato chiamato ad applicare con le modalità oggetto di contestazione in ricorso. Osserva il Tribunale che la prospettazione della difesa, secondo la quale, in considerazione del fatto che l'obbligo di redigere il documento di valutazione dei rischi ricade esclusivamente sul datore di lavoro ed il “medico competente” non potrebbe ad esso surrogarsi nell'adempimento, così che la responsabilità della mancata predisposizione del documento non potrebbe in nessun caso essere fatta ricadere sul “medico competente”, non è condivisibile, in quanto allo stesso non è affatto richiesto l'adempimento di un obbligo altrui quanto, piuttosto, lo svolgimento del proprio obbligo di collaborazione, espletabile anche mediante l'esauriente sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria. Viene così delimitato l'ambito degli obblighi imposti dalla norma al “medico competente”, adempiuti i quali, l'eventuale ulteriore inerzia del datore di lavoro resterebbe imputata a sua esclusiva responsabilità penale a mente dell'articolo 55, comma 1, lett. a d.lgs. 81/2008. 6. Tale assunto non viene condiviso, come si è detto, dalla ricorrente, la quale propone una interpretazione più restrittiva della disposizione in esame, limitando l'obbligo di collaborazione a quelle attività nelle quali il “medico competente” viene direttamente coinvolto dal datore di lavoro, accedendo così alla tesi prospettata da autorevole dottrina ma non condivisa dal Tribunale. La questione implica, in primo luogo, una adeguata individuazione del ruolo assegnato al “medico competente” nell'ambito dell'organizzazione aziendale, ruolo che la dottrina citata qualifica di mera consulenza, evidenziando l'anomalia della sottoposizione alla sanzione penale che non colpisce l'altra figura professionale del responsabile del servizio di prevenzione e protezione cui pure è attribuito il ruolo di consulente del datore di lavoro , nonostante il fatto che il “medico competente” non possa obbligare il datore di lavoro a consultarlo né disponga di alcuna possibilità di iniziativa nella gestione del processo di valutazione del rischio. 7. Deve osservarsi, a tale proposito, che l'ambito di attribuzione di compiti consultivi al “medico competente” è stato già oggetto di valutazione da parte della giurisprudenza di questa Corte con riferimento alla normativa previgente, considerando la figura professionale in esame - introdotta, per la prima volta, dall'articolo 33 d.P.R. 303/1956 - ed osservando che la competenza cui si riferiva la richiamata disposizione riguardava sia la valutazione delle condizioni di salute, avuto riguardo alle sostanze cui il lavoratore è esposto, sia la coadiuvazione del datore di lavoro/dirigente, tenendo conto dell'esito delle visite effettuate, nella individuazione dei rimedi, anche di quelli dettati dal progresso della tecnica, da adottare contro le sostanze tossiche o infettanti o comunque nocive, escludendo, così, una posizione meramente esecutiva ed attribuendo al “medico competente” un ruolo propulsivo che determinava, quale conseguenza, l'assunzione di una autonoma posizione di garanzia in materia sanitaria Sez. IV numero 5037, 6 febbraio 2001 . A conclusioni analoghe si è pervenuti anche successivamente, osservando che il medico aziendale è un collaboratore necessario del datore di lavoro, dotato di professionalità qualificata per coadiuvarlo nell'esercizio della sorveglianza sanitaria nei luoghi di lavoro dove essa è obbligatoria, aggiungendo che la sorveglianza sanitaria, pur costituendo un obbligo per il datore di lavoro per la tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori, deve essere svolta attraverso la collaborazione professionale del medico aziendale Sez. III numero 1728, 21 gennaio 2005 . Del resto, il ruolo di consulente del datore di lavoro è stato attribuito anche al responsabile del servizio di prevenzione e protezione in tale specifica materia, osservando che lo stesso, sebbene privo di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale, svolge il compito di prestare “ausilio” al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di sicurezza, nonché di informazione e formazione dei lavoratori come disposto dall'articolo 33 del d.lgs. 81/2008. Da ciò consegue che, pur restando il datore di lavoro il titolare della posizione di garanzia nella specifica materia, facendo a lui capo l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, non può escludersi una concorrente responsabilità per il verificarsi di un infortunino possa profilarsi anche nei confronti di detto responsabile il quale, ancorché privo di poteri decisionali e di spesa tali da consentire un diretto intervento per rimuovere le situazioni di rischio, può rispondere del fatto quando sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione così Sez. IV numero 2814, 27 gennaio 2011 . Deve dunque ritenersi corretta la funzione consultiva attribuita al “medico competente” nell'ambito del rapporto di collaborazione che la legge gli attribuisce ma una eccessiva delimitazione di tale ruolo nei termini indicati in ricorso non può ritenersi corretta. 8. Occorre innanzitutto non dimenticare che le finalità del d.lgs. 81/2008 sono quelle di assicurare la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e che la valutazione dei rischi - definita dall'articolo 2, comma 1, lett. q del d.lgs. 81/2008 come la “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza” - è attribuita dall'articolo 29 del medesimo d.lgs. al datore di lavoro, per il quale costituisce, ai sensi dell'articolo 17, un obbligo non derogabile. È evidente, avuto riguardo all'oggetto della valutazione dei rischi, che il datore di lavoro deve essere necessariamente coadiuvato da soggetti quali, appunto, il “medico competente”, portatori di specifiche conoscenze professionali tali da consentire un corretto espletamento dell'obbligo mediante l'apporto di qualificate cognizioni tecniche. L'espletamento di tali compiti da parte del “medico competente” comporta una effettiva integrazione nel contesto aziendale e non può essere limitato, ad avviso del Collegio, ad un ruolo meramente passivo in assenza di opportuna sollecitazione da parte del datore di lavoro, anche se il contributo propulsivo j richiesto resta limitato alla specifica qualificazione professionale. Del resto, l'importanza del ruolo sembra essere stata riconosciuta dallo stesso legislatore il quale, nel modificare l'originario contenuto dell'articolo 58, ha introdotto la sanzione penale solo con riferimento alla valutazione dei rischi. Tale scelta interpretativa, contrariamente a quanto affermato in ricorso, non presenta difficoltà insormontabili nella individuazione del modello di condotta sanzionabile perché, come correttamente osservato nel provvedimento impugnato, l'ambito della responsabilità penale resta confinato nella violazione dell'obbligo di collaborazione che, come si è detto, comprende anche un'attività propositiva e di informazione che il medico deve svolgere con riferimento al proprio ambito professionale ed il cui adempimento può essere opportunamente documentato o comunque accertato dal giudice del merito caso per caso. 9. Altrettanto correttamente il provvedimento impugnato fornisce adeguata risposta alle obiezioni, pure sollevate in ricorso, riguardo alla circostanza che la condotta del “medico competente”, proprio per il ruolo assegnatogli, non potrebbe assumere rilevanza penale in caso di totale inerzia del datore di lavoro che non provvede all'avvio della procedura di valutazione dei rischi d cui all'articolo 29 d.lgs. 81/2008. Osserva infatti il giudice del merito che, in tema di valutazione dei rischi, il “medico competente” assume elementi di valutazione non soltanto dalle informazioni che devono essere fornite dal datore di lavoro, quali quelle di cui all'articolo 18, comma 2, ma anche da quelle che può e deve direttamente acquisire di sua iniziativa, ad esempio in occasione delle visite agli ambienti di lavoro di cui all'articolo 25, lettera I o perché fornitegli direttamente dai lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria o da altri soggetti. Tale approccio interpretativo appare pienamente condivisibile e perfettamente in linea con le finalità del decreto legislativo in esame. 10. Parimenti corretta e conforme al tenore letterale delle disposizioni richiamate e, segnatamente, dell'articolo 25, lettera a d.lgs. 81/2008, risulta l'affermazione secondo la quale la violazione dell'obbligo sanzionata penalmente dall'articolo 58 lett. c d.lgs. 81/2008 riguarda ogni inosservanza e non anche la totale violazione dell'obbligo medesimo. Il provvedimento impugnato non presenta dunque, sul punto, alcun profilo di illegittimità. 11. A conclusioni analoghe deve pervenirsi con riferimento al secondo motivo di ricorso. Va infatti rilevato, in primo luogo, che lo stesso risulta articolato esclusivamente in fatto, con riferimento ad atti del procedimento il cui esame è precluso al giudice di legittimità. In ogni caso, con accertamento in fatto privo di cadute logiche o manifeste incongruenze e, in quanto tale, non censurabile in questa sede, il giudice del merito ha dato atto della circostanza che l'azienda non aveva esattamente adempiuto alle prescrizioni imposte cui faceva riferimento la memoria inviata dalla ricorrente all'USL ed alla Procura della Repubblica e che solo in un secondo tempo ella aveva adempiuto alle prescrizioni medesime, dandone comunicazione con un documento indicato come “integrazione al documento di valutazione dei rischi”. Correttamente è stata pertanto ritenuta la sussistenza del reato, non assumendo rilievo, ai fini dell'affermazione di penale responsabilità, le circostanze allegate dall'imputata, peraltro opportunamente valutate ai fini della concessione delle attenuanti generiche e della irrogazione della sola pena pecuniaria. 12. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.