Offende un carabiniere in borghese, ignorandone la qualifica di pubblico ufficiale. Salvo l'imputato, per non aver commesso il fatto.
Per la contestazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale non basta una frase offensiva rivolta a un carabiniere, oltretutto se il reo ne ignorava la qualifica. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 40901 del 10 novembre. La vicenda. Organizzano un finto sinistro stradale allo scopo di truffare un malcapitato automobilista e, quando intervengono i carabinieri, reagiscono con violenza. Finisce male il tentativo di truffa per due uomini, condannati per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Uno dei due patteggia, mentre l'altro, determinato ad alleggerire la propria posizione, impugna la sentenza di primo grado, che viene però confermata dalla Corte d'appello, e si rivolge, infine, in Cassazione. Si rivolge al carabiniere, ignorando la sua qualità di pubblico ufficiale. Secondo i giudici di merito, il ricorrente avrebbe coadiuvato il correo nella condotta violenta e minacciosa nei confronti dei carabinieri in particolare, gli viene contestato di essersi rivolto al vicebrigadiere, intervenuto sul posto, con un'espressione accesa «Tu fatti i cazzi tuoi» dalla portata non solo offensiva ma anche minatoria, «atteso il descritto contesto in cui fu pronunciata». La S.C., però, accogliendo il ricorso dell'imputato, rileva che la sentenza impugnata ha omesso di considerare che tale espressione è stata pronunciata verso un carabiniere in borghese e che, quindi, mancava la consapevolezza che il destinatario era un pubblico ufficiale. La condotta non è stata violenta e offensiva assolto per non aver commesso il fatto. I giudici di merito, inoltre, hanno colpevolmente ignorato che in seguito l'imputato, a fronte del contegno aggressivo e violento del ‘complice’, ha cercato di dissuaderlo dal proseguire oltre, «invitandolo ad andarsene per evitare guai peggiori ed allontanandosi egli stesso». Insomma, alla luce di quanto è emerso dalle risultanze processuali, anche alla luce delle testimonianze dei carabinieri stessi, non si sarebbe dovuto parlare, ab origine , di una condotta violenta, offensiva e tipizzata dell'imputato, mancandone completamente i presupposti. Per questi motivi la sentenza viene annullata per non aver commesso il fatto.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 ottobre – 10 novembre 2011, numero 40901 Presidente Agrò – Relatore Serpico Osserva Sull'appello proposto da S.C. avverso la sentenza del G.M. del Tribunale di Lecce - sez.ne Tricase in data 7-11-2007 che lo aveva dichiarato colpevole del reato di cui all’articolo 337 cp. in concorso altri la cui posizione era sta definita ex articolo 444 cpp. e che lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento danni e spese alla costituita parte civile, la Corte di Appello di Lecce, con sentenza In data 10-12-2010, confermava il giudizio di 1^ grado,con aggravio di ulteriori spese in favore di detta p.c., ribadendo il concorso dell'imputato con il coimputato giudicato separatamente, nel reato contestato,avendo lo appellante coadiuvato con il correo nella condotta violenta e minacciosa in danno del Vicebrigadiere Sc. , intervenuto nell'esercizio delle sue funzioni a stroncare sul nascere un'azione truffaldina di finto incidente d'auto orchestrato dal P.S. , coimputato dello appellante, rivolgendosi al p.u. con la frase Tu fatti i cazzi tuoi , ritenendo la portata di questa non solo offensiva, ma anche e sopratutto minatoria, atteso il descritto contesto in cui fu pronunciata . Avverso detta sentenza il S. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, a motivi del gravame la violazione dell'articolo 606 co. 1 lett. b e c in relazione agli articolo 192, 530 co. 2 cpp., non essendo emersa la piena prova della sussistenza del fatto e/o della commissione dello stesso da parte del ricorrente, posto che, in ogni caso, altro carabiniere, intervenuto sul posto, aveva riferito che la frase incriminata era stata profferita ancor prima che il sottufficiale Sc. , in abiti borghesi, si fosse qualificato come appartenente all'Arma, con trascurato rilievo di tale elemento a discarico in punto di consapevolezza della condotta incrimnata verso un p.u., si è, inoltre, denunciata la violazione dell'articolo 606 co. 1 lett. c cpp. per mancata enunciazione delle ragioni di denegata concessione delle attenuanti generiche in merito alla quantificazione della pena e valutata la lieve entità del fatto. Ciò posto ed a prescindere da quanto, in punto di fatto, richiamato nel motivo principale del ricorso, è assorbente in punto di diritto e di logicità della motivazione, il fatto, comunque emergente dalla stessa sentenza impugnata, che l'imputato, a fronte del contegno aggressivo e violento del coimputato P. verso lo Sc. cercò di dissuadere l'amico dal proseguire oltre nella sua condotta, invitandolo ad andarsene per evitare guai peggiori ed allontanandosi egli stesso, mentre il P. , insensibile a tale consiglio, continuò a mantenere un comportamento esagitato , colpendo infine il milite alla nuca e procurandogli lesioni personali, reato del quale l'attuale ricorrente risulta mandato assolto con ampia formula, come riferisce la stessa impugnata sentenza cfr, fol. 1 e 3 . Non si vede, perciò, in base a quali criteri di logica conseguenzialità anche modale, sia possibile definire una condotta palesemente tipicizzata da meri caratteri di inequivoca offensività, penalmente rilevabile ex articolo 594 cp., dopo l'abrogazione dell’articolo 341 cp. ex L. 205/99, come una condotta anche minatoria se non in termini di gratuita apoditticità, oltre che di manifesta contraddittorietà con la ricostruzione della vicenda fatta propria dal giudice di appello, segnatamente in relazione alla condotta del P. alla cui estraneità è stata riferita quella del ricorrente, tanto più che le dichiarazioni della vittima, poste a base dell'accusa, a differenza del ribadito coinvolgimento attivo del P. coimputato del ricorrente nel reato di resistenza, non si erano soffermate più di tanto sulla condotta del S. . Ne consegue l'annullamento senza - rinvio della sentenza impugnata per non aver commesso il fatto, intuibilmente assorbito in tale decisione il motivo accessorio sulla quantificazione della pena. P.Q.M. ANNULLA senza rinvio la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto.