Il sindaco narra fatti di 60 anni fa? Nessuna ricostruzione storica, anzi è reato

Campagna elettorale vuol dire anche “guerra”, almeno a parole. Un sindaco viene condannato per diffamazione, in quanto i riferimenti ad eventi risalenti nel tempo non erano giustificati da finalità di ricostruzione storica.

A confermare la condanna, ritenendo il ricorso dell’imputato inammissibile, è stata la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione sent. numero 42961/12, depositata il 7 novembre . Il caso. La Corte d’appello di Palermo, in riforma della pronuncia di assoluzione, dichiarava colpevole per diffamazione un sindaco di un comune siciliano. Era successo che, durante un’intervista rilasciata a un’emittente televisiva locale, il sindaco riferendosi – senza però pronunciarne il nome – al suo rivale politico, aveva affermato «non potendo utilizzare le stesse armi che usavano i suoi padri ed i suoi nonni, cioè la pistola, egli usava le denunce penali per poter colpire sindaci e funzionari del comune». Nessun interesse pubblico Nessun diritto di critica, secondo la Corte territoriale, anche perché il fatto criminoso attribuito al padre della persona offesa risaliva a 60 anni prima e, dunque, mancava il requisito dell’interesse pubblico. L’imputato presenta ricorso per cassazione sostenendo il concorso dei requisiti di verità, interesse pubblico e continenza richiesti dalla giurisprudenza niente da fare, il ricorso è ritenuto inammissibile. e nessuna ricostruzione storica. Inoltre, l’ordinamento – precisa la Cassazione – tutela il cd. «diritto all’oblio», cioè il diritto di un individuo ad essere dimenticato, o meglio, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca. In pratica, e non è questo il caso, il riferimento ad eventi risalenti nel tempo deve essere giustificato da «finalità di ricostruzione storica».

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 settembre – 7 novembre 2012, numero 42961 Presidente Teresi – Relatore Oldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 3 giugno 2011 la Corte d'Appello di Palermo, così riformando la pronuncia assolutoria emessa dal Tribunale di Agrigento, ha dichiarato G.C. colpevole del delitto di diffamazione in danno di S.G. lo ha quindi condannato alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile. 1.1. In fatto era accaduto che nel corso di un'intervista rilasciata a un'emittente televisiva locale il G. , senza pronunciare il nome dello S. , ma riferendosi evidentemente a lui, avesse affermato che, “non potendo utilizzare le stesse armi che usavano i suoi padri ed i suoi nonni, cioè la pistola”, egli usava le denunce penali per poter colpire sindaci e funzionari del Comune. 1.2. Ha ritenuto il giudice di appello che non potesse trovare applicazione la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, per mancanza del requisito dell'interesse pubblico alla divulgazione ciò in quanto il fatto criminoso attribuito al padre dello S. effettivamente condannato a suo tempo per reati di tipo mafioso risaliva a circa settant'anni prima ed era del tutto estraneo al tema in discussione sicché l'averlo rievocato si era tradotto in un attacco ad hominem, diretto a colpire l'avversario politico sul piano personale. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a due motivi. 2.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta l'ingiustificata disapplicazione dell'esimente del diritto di critica, sostenendo il concorso dei requisiti di verità, interesse pubblico e continenza richiesti dalla giurisprudenza sottolinea, fra l'altro, la propria posizione di sindaco del Comune di Campobello di Licata, osservando che le innumerevoli denunce contro di lui presentate dallo S. incidevano negativamente sull'attività amministrativa dell'ente locale. 2.2. Col secondo motivo rileva l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte. 1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. La Corte d’Appello ha motivatamente escluso l'applicabilità alla fattispecie della scrimiriante di cui all'articolo 51 cod. penumero rilevando la totale carenza dell'interesse/pubblico alla divulgazione della notizia, costituente uno dei tre requisiti richièsti unitamente alla verità del fatto e alla continenza per la configurabilità dell'esercizio del diritto di critica, alla stregua della giurisprudenza formatasi in argomento ha infatti osservato che la rievocazione della condanna subita dal padre dello S. circa settant'anni prima, per delitti di matrice mafiosa, era totalmente estranea al tema oggetto di discussione, riguardante il contesto politico locale al momento dell'intervista sicché ha visto nella strumentalizzazione di tale argomento gli estremi di un attacco personale avulso dal dibattito politico, diretto a colpire la figura morale dell'avversario senza alcuna finalità di pubblico interesse. Siffatta linea argomentativa, pienamente conforme al consolidato indirizzo giurisprudenziale che, per l'appunto, nega legittimità alla condotta che trasmodi in aggressioni gratuite con l'utilizzo di argumenta ad hominem Sez. 5, numero 38448 del 25/09/2001, Uccellobruno, Rv. 219998 Sez. 5, numero 935/99 del 16/12/1998, Ferrara, Rv. 212342 Sez. 5, numero 7990 del 19/05/1998, Diaconale, Rv. 211482 , non ha trovato alcuna confutazione nel ricorso del G. il quale, a parte l'ininfluente richiamo ai restanti requisiti di verità e continenza che nella decisione impugnata non hanno assunto rilievo decisivo , si è limitato ad enfatizzare l'incidenza negativa sulla propria attività amministrativa di sindaco recata dal conflitto politico fra sé e lo S. , da quest'ultimo portato anche sul piano delle denunce penali senza tuttavia in alcun modo spiegare per quale via la rievocazione dei remoti trascorsi penali del padre dell'avversario potesse rendersi funzionale al dibattito in corso. Non dovendosi, fra l'altro, trascurare che l'ordinamento tutela il c.d. “diritto all'oblio”, in ogni caso in cui il riferimento ad eventi risalenti nel tempo non sia giustificato da finalità di ricostruzione storica, gli argomenti difensivi portati nel primo motivo di ricorso si rivelano eccentrici rispetto all'apparato argomentativo della sentenza impugnata. 2. Del pari manifestamente infondato è il secondo motivo. Infatti, nell'eccepire l'avvenuta maturazione della prescrizione, il ricorrente mostra di non tener conto delle sospensioni del relativo termine verificatesi nel corso del giudizio di primo grado, in dipendenza delle quali l'estinzione del reato non era ancora avvenuta all'epoca della pronuncia della sentenza di appello. 3. La rilevata inammissibilità del ricorso impedisce di rilevare la prescrizione verificatasi in epoca successiva a detta pronuncia. Ne conseguono, altresì, le statuizioni di cui all'articolo 616 cod. proc. penumero . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.