(Tribunale di Piacenza, ordinanza 13 settembre 2011)

Tribunale di Piacenza, ordinanza 13 settembre 2011Presidente Gatti Relatore MorliniFatto e diritto rilevato che, nella presente controversia, C. M. E. propone reclamo avverso l'ordinanza con la quale il Giudice del Lavoro ha rigettato un ricorso ex articolo 700 c.p.c. ante causam, con il quale l'attuale reclamante aveva impugnato il licenziamento per giusta causa irrogato dal datore di lavoro Carisbo. Resiste la Carisbo, in rito e nel merito ritenuto che, è infondata l'eccezione di inammissibilità del reclamo formulata dalla difesa della reclamata sul presupposto che detto reclamo sarebbe stato tardivamente depositato dopo i quindici giorni previsti dall'articolo 669 terdecies c.p.c.Invero, risulta per tabulas che il provvedimento qui gravato è stato comunicato alla difesa della C. con biglietto di Cancelleria in data 26/4/2001, e quindi il deposito del reclamo in data 11/5/12011 risulta effettuato esattamente il quindicesimo giorno dopo la comunicazione, nel rispetto quindi del termine legislativamente previsto considerato che, venendo al merito, i fatti storici alla base del licenziamento sono pacifici.Risulta infatti che la C., dipendente della Carisbo, in modo arbitrario e senza le necessarie autorizzazioni da parte dei superiori previste dalla normativa interna, ha ripetutamente aumentato, con otto successive operazioni, il massimale di spesa della propria carta di credito, portandolo da € 3.000 ad € 12.000 ed ha inoltre rilasciato a sè stessa ed al proprio coniuge due ulteriori carte di credito, senza nemmeno predisporre la necessaria documentazione contrattuale. Così facendo, la C. ha potuto godere di un massimale di spesa di complessivi euro 18.000, anziché di euro 3.000 ed effettivamente utilizzando il credito concesso, tramite il sistematico impiego delle carte di credito, ha ottenuto una forma di finanziamento attraverso numerosissime operazioni di anticipo contante, che nel corso del 2010 sono consistite in beni 234 prelevamenti per complessivi euro 87.610 cfr. contestazione disciplinare agli atti .Risulta pertanto violato il codice interno di comportamento, che fa divieto ai dipendenti di concedere a sé medesimi o al proprio coniuge finanziamenti o qualunque altra forma di agevolazione, dovendo essere dette concessioni necessariamente deliberate da altro dipendente osservato che, i fatti storici sopra riassunti ed oggetto di analitica contestazione disciplinare, come detto, non sono contestati da parte reclamante, la quale ha giustificato la propria condotta per un verso asserendo la propria non conoscenza delle disposizioni interne contestate e per altro verso evidenziando le proprie difficoltà economiche, che la difesa della reclamante attribuisce alla necessità di curare gravi patologie proprie e del figlio, mentre la teste F., in base a dichiarazioni resele dalla stessa C., riconduce alla necessità di ripianare investimenti speculativi rivelatisi negativi. In particolare, nel corposo atto di reclamo e nell'altrettanto corposa memoria conclusiva, la C. svolge sostanzialmente tre ordini di doglianze, deducendo la mancata affissione del codice disciplinare e del codice interno, la tardività della contestazione ed il difetto di proporzionalità della sanzione adottata evidenziato che, il reclamo è infondato sotto tutti tra i profili, e ciò per le ragioni già lucidamente e puntualmente esposte dal giudice di prime cure. Specificamente 1. con riferimento alla pretesa mancata affissione del codice disciplinare e del codice interno di gruppo, deve osservarsi che i testi informatori G. e F. hanno in realtà confermato che detti codici erano affissi in bacheca. Della genuinità della deposizione di tali testi il Collegio non ha motivi alcuno di dubitare, nonostante le apodittiche contestazioni della difesa reclamante. In ogni caso e comunque, anche a volere diversamente opinare, risulta dirimente il rilievo per il quale l'arbitrario innalzamento del massimale di carte di credito e l'arbitraria emissione di carte di credito senza seguire le procedure interne, integra un'infrazione il cui disvalore è immediatamente percepibile e direttamente derivante dai doveri comunque imposti al lavoratore dalle disposizioni di carattere generale, ciò che per la pacifica giurisprudenza rende comunque irrilevante l'affissione del codice disciplinare. La consapevolezza, da parte del'attuale reclamante, dell'illegittimità del proprio comportamento, oltre che intuitiva in relazione ai fatti sopra descritti, è poi ulteriormente lumeggiata dal fatto che, al fine di occultare detto comportamento, la C. ha addirittura omesso di predisporre la documentazione contrattuale relativa all'emissione delle carte di credito 2. quanto alla ritenuta la tardività della contestazione, si osserva che la banca ha avuto effettiva conoscenza delle condotte contestate solo con la relazione dell'ispettore G. datata 30 settembre 2010 ed all'esito di specifici controlli che erano iniziati nello stesso mese cfr. all. 6 fascicolo parte convenuta e deposizione teste G. che la formale contestazione è avvenuta il 21 ottobre 2010 che l'audizione del reclamante è stata effettuata il 29 ottobre 2010 che il licenziamento è stato intimato il 24 novembre 2010. E' quindi del tutto evidente che, dopo l'effettiva conoscenza dei fatti, il datore di lavoro ha immediatamente reagito, promuovendo il procedimento disciplinare ed irrogando la sanzione del licenziamento a meno di due mesi dall'effettiva conoscenza dell'inadempimento, ciò che rende davvero insostenibile la tesi della reclamante relativa all'acquiescenza della banca all'operato della propria dipendente. Né può opinarsi, così come nuovamente argomentato dalla difesa reclamante, che la valutazione della tempistica della contestazione debba essere operata con riferimento non già alla reale conoscenza della violazione, bensì alla teorica ed astratta conoscibilità della violazione che la banca avrebbe potuto avere tenendo monitorati i movimenti del conto corrente della dipendente. Ha infatti convincentemente spiegato il giudice di prime cure, opportunamente citando l'insegnamento di Cass. Lav. numero 5546/2010, che non può ritorcersi a danno del datore di lavoro l'affidamento riposto nella correttezza del dipendente, o equipararsi alla conoscenza effettiva la mera possibilità di conoscenza, ovvero supporsi una tolleranza dell'azienda a prescindere dalla conoscenza che essa abbia degli abusi del dipendente nel senso che, in tema di licenziamento per giusta causa, il lasso temporale tra i fatti e la contestazione, rilevante ai fini della valutazione dell'immediatezza del provvedimento espulsivo, decorre dall'avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata, e non già dall'astratta percettibilità o possibilità di conoscenza dei fatti stessi, cfr. anche Cass. numero 34584/2007, Cass. numero 21546/207 e Cass. numero 2018/1995 3. relativamente infine al preteso difetto di proporzionalità della sanzione adottata, certamente la questione più delicata ed opinabile, ad avviso del Collegio risulta persuasiva la motivazione adottata dal giudice monocratico. Deve così ritenersi che il fatto di avere arbitrariamente innalzato il massimale delle carte di credito ed emesso altre carte di credito, dando così vita ad un sistema, concretamente e reiteratamente utilizzato, di autofinanziamento indebito , rappresenti un comportamento in grado di minare gravemente l'elemento fiduciario a base del rapporto di lavoro , tanto più in ragione della delicatezza delle funzioni affidate all'operatore bancario. Ciò è ancora più vero se si considera che si tratta di una pluralità di condotte reiterate, anche a breve distanza, nel tempo e che quanto all'elemento intenzionale non può trascurarsi, in senso sfavorevole alla ricorrente, il mancato reperimento dei contratti relativi all'emissione delle carte correlate al conto corrente stato ed alla documentazione relativa agli aumenti di massimale, ciò che lumeggia come la C. fosse consapevole di porre in essere una condotta illecita. D'altro canto, inconducente è la difesa della reclamante laddove sottolinea che, avendo la C. ripianato il proprio debito dopo la contestazione disciplinare, non vi è stato danno per il datore. Sul punto, basta replicare che secondo la consolidata giurisprudenza, qui condivisa e dalla quale non vi è motivo di discostarsi, in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione non l'assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, in quanto sintomatico di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti ex pluribus, cfr. Cass. numero 16260/2004, Cass. numero 14507/2003, Cass. numero 5434/2003, Cass. numero 2404/2000, Cass. numero 1412/2000, Cass. numero 14567/1999, Cass. numero 6100/1998, Cass. numero 1833/1981 . Addirittura, poi, nell'ambito del settore creditizio il principio deve avere applicazione ancora più rigorosa, poiché nell'ipotesi di un dipendente di un istituto di credito, l'idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto fiduciario, rapporto che è più intenso nel settore bancario, deve essere valutata con particolare rigore ed prescindere dalla sussistenza di danno effettivo per il datore di lavoro, venendo minato non solo l'affidamento che quest'ultimo ripone nei confronti del proprio dipendente, ma anche quello, particolarmente delicato, che il pubblico ripone nella lealtà e nella correttezza dei dipendenti e funzionari bancari per la pacifica giurisprudenza, cfr. la recentissima Cass. numero 8641/2010, che peraltro ribadisce principi già fatti propri da Cass. numero 20601/2006, Cass. numero 19742/2005, Cass. numero 11674/2005, Cass. numero 5504/2005, Cass. numero 15373/2004, Cass. numero 1475/2004, Cass. numero 6609/2003, Cass. numero 5332/2002, Cass. numero 7193/2001, Cass. numero 154/10907 sottolineato che, in ragione di quanto sopra, il reclamo va rigettato per carenza del fumus boni iuris della domanda cautelare, rimanendo assorbita la tematica del periculum in mora.Le spese di lite, nonostante la piena soccombenza della C., possono essere integralmente compensate anche nella fase di reclamo, rinvenendosi i motivi di cui all'articolo 92 comma 2 c.p.c. in esigenze di giustizia sostanziale, integrate dalla necessità di non penalizzare la parte debole del rapporto, e cioè di una lavoratrice dipendente che ha comunque perso il lavoro.P.Q.M.visto l'articolo 669 terdecies c.p.c., rigetta il reclamo compensa tra le parti le spese di lite.

di Giulia Milizia *La sentenza con cui il Tribunale di Piacenza, lo scorso 13 settembre, ha rigettato un reclamo avverso un licenziamento per giusta causa, analizzandone una peculiare ipotesi ed adottando soluzioni umanitarie , fa interessanti riflessioni processuali sul punto.Il caso. Una dipendente di una banca, in aperta violazione del codice professionale interno e dei doveri di lealtà, probità e correttezza, non solo si autoincrementava, sino al 600%, la carta di credito concessale dal datore, ma ne apriva altre per sé e per il coniuge. Con esse compiva numerose operazioni e si finanziava prestiti di ingente valore con palese danno dell'ente. Ciò per asserite necessità economiche e familiari dovute a gravi patologie sue e del figlio. Appena appreso tale comportamento scorretto, a circa 20 giorni dall'informativa degli ispettori interni, la finanziaria procedeva in sede disciplinare e comminava la sanzione del licenziamento per giusta causa. La lavoratrice proponeva un 700 cpc per il suo annullamento, ma né questo né il presente appello sono stati accolti. Degne di nota le motivazioni, soprattutto quelle per la compensazione delle spese di lite, malgrado la chiara soccombenza dell'attrice.Ignorantia non excusat non essenziale la pubblicazione del codice deontologico. La difesa della reclamante si fonda sull'assenza di affissione del suddetto documento negli spazi comuni e nelle bacheche, sì come previsto dallo statuto dei lavoratori. Ciò doveva giustificare la sua ignoranza sul divieto e la punibilità del suo comportamento, per altro non contestato.Ebbene dalle testimonianze risulta la notorietà e la pubblicità dello stesso. In ogni caso si ricordi che per legge una copia del codice disciplinare e delle direttive interne di comportamento sono allegate al contratto di assunzione e che allo stato tale onere è pienamente assolto dalla reperibilità sul sito internet del datore, in osservanza delle nuove norme sulla digitalizzazione e semplificazione del lavoro. Era perciò impossibile che la reclamante non conoscesse tali comportamenti vietati.Obbligo di correttezza e carenza di fiducia. La normativa vigente impone al lavoratore oneri di correttezza e di lealtà che trascendono da qualsiasi altra cosa, dato che il rapporto di lavoro si fonda sull'affidamento alla reciproca fiducia articolo 2104 e ss c.c., L. 300/70 . Se esso viene meno per tali trasgressioni il datore può licenziare il dipendente per giusta causa ex articolo 2119 c.c. e/o per giustificato motivo soggettivo ai sensi dell'articolo 3 L. 604/66.La dottrina, poi, sottolinea come più che un dovere sia un vero e proprio obbligo morale Grementieri Fedeltà al datore di lavoro? Più che un dovere , Modaffari L'obbligo di fedeltà del lavoratore ex art 2105 c.c. , Pannone Il lavoratore e l'obbligo di lealtà, Legittimo il licenziamento del dipendente che lede l'immagine dell'azienda . Lesione del rapporto di fiducia con i clienti. Infine la giurisprudenza costante e maggioritaria, confermando quanto sopra, evidenzia che tutto ciò è in grado di provocare un danno al datore e che esso, a prescindere se si verifichi o meno, lede la fiducia e giustifica il licenziamento. La sanzione deve essere commisurata al pregiudizio subito, ma d'altro canto il rapporto di fiducia tra la banca ed il suo impiegato è più forte che in altre attività, stante la delicatezza delle mansione e l'affidamento del pubblico sulla correttezza dell'istituto. Ergo l'impiego di risorse della finanziaria per scopi privati compromette la credibilità della stessa e mina il legame col risparmiatore, legittimando il licenziamento in tronco ex pluribus Cass.nnumero 2056/11, 8641/10, 154/07, 20601/06 .Tempestività del procedimento disciplinare. La contestazione circa la tardività del vaglio disciplinare della condotta è stata rigettata. Da un lato è vero che non sono stati rispettati i termini legali , ma dall'altro non si è tenuto conto che l'intera procedura si è conclusa ex lege nei 60 giorni, sanando così ogni altro presunto vizio.Deve essere fornita la prova della violazione della lealtà. La prova della violazione è stata ampiamente fornita, essendo dimostrato pacificamente che la reclamante aveva creato un vero e proprio sistema per usufruire dei beni della banca e che aveva arbitrariamente abusato dei suoi poteri a vantaggio proprio e dei suoi congiunti Cass. sez. lav. 20385/11 Fumus boni iuris e periculum in mora. Nella fattispecie è ravvisabile solo il secondo, sì da assorbire la carenza del primo.Compensazione delle spese di lite. Quello relativo alle spese è l'elemento più innovativo della sentenza. Con una decisione salomonica la dipendente, pur soccombente in giudizio, non è stata condannata alle spese, interamente compensate per esigenze di giustizia sostanziale, integrate dalla necessità di non penalizzare la parte debole del rapporto tanto più che ha comunque perso il posto di lavoro .* Praticante avvocato e conciliatore iscritta alla camera di Conciliazionedel Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di GrossetoSullo stesso argomento leggi anche - Il cassiere di supermercato accumula punti sulla sua fidelity card con la spesa dei clienti il licenziamento è sproporzionato, DirittoeGiustizi@ 28 ottobre 2011- Per la giusta causa serve sempre la prova della condotta illecita addebitata al lavoratore, DirittoeGIustizi@ 18 ottobre 2011- Legittimo se il bancario viola gli obblighi di sicurezza informatica, di Giulia Milizia, DirittoeGiustizi@ 31 marzo 2011