Affari, politica e soldi pubblici: trasparenza prima di tutto. Anche un dubbio può rendere legittima la critica giornalistica ‘estrema’

Nessun addebito è possibile per due giornalisti, autori di oltre ottanta articoli relativi a una ‘strana’ gestione di alcuni appalti dell’ente Fiera di Roma. Riflettori puntati sull’allora presidente, sui suoi legami politici e su alcune assegnazioni. Operazioni formalmente corrette, ma il dubbio generato da curiosi legami politico-parentali legittima la critica giornalistica ‘spinta’.

Per i latini, come noto, la moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto”. Volendo trasportare il concetto ai giorni nostri, nell’Italia di oggi, lo si potrebbe riassumere con una parola trasparenza”. Soprattutto nella gestione dei soldi pubblici. Questo il totem – o la chimera? – del ventunesimo secolo in salsa tricolore. Totem che, a sorpresa, rende legittime anche critiche giornalistiche esacerbate, e fondate non su fatti acclarati, bensì su dubbi e su sospetti relativi alla ‘strana’ gestione di un ente pubblico economico. Cassazione, sentenza n. 20361, Terza sezione Civile, depositata oggi Strascichi di ‘prima repubblica’. Ultimo decennio del ventesimo secolo, e i riflettori di un quotidiano nazionale – ‘La Repubblica’ – si accendono sulla attività della Fiera di Roma , meglio ancora sulla gestione firmata dall’allora presidente, Ennio Lucarelli, e sui rapporti di quest’ultimo con Vittorio Sbardella, all’epoca uomo politico , di spicco, della Democrazia Cristiana romana . Rapporti che, ad avviso dei giornalisti – come messo ‘nero su bianco’ in oltre ottanta articoli nel periodo 1990-1994 –, hanno condotto ad appalti a costruttori amici e familiari del politico, con una gestione non corretta della Fiera di Roma. Quadro nerissimo, quello tracciato dai giornalisti, epperò ritenuto eccessivo dai giudici del Tribunale in quel contesto, difatti, a Lucarelli viene riconosciuto un risarcimento. Ciò perché, tra l’altro, il Lucarelli era stato additato come corrotto , mentre la sua condotta era stata ritenuta pienamente legittima dalla Commissione comunale di trasparenza . A invertire la rotta, però, provvedono i giudici della Corte d’Appello, che azzerano il risarcimento e qualificano come legittimo l’operato dei giornalisti. Come spiegare questo ribaltamento? Semplicemente, l’ente autonomo Fiera di Roma ha natura di ente pubblico economico, e quindi la sua gestione deve rispondere a criteri di efficienza ed imparzialità, e l’amministrazione è soggetta al controllo dell’opinione pubblica , e, difatti, oggetto dell’inchiesta giornalistica è stato l’intreccio politico-affaristico , concretizzatosi in alcuni appalti distribuiti a soggetti legati alla famiglia o alla corrente politica dello Sbardella . Prioritario, e prevalente, secondo i giudici, è stata la denuncia di un sistema di gestione della ‘cosa pubblica’ non conforme ai criteri morali e suscettibile di dar luogo ad abusi . Moralità . Ebbene, proprio i tasti – oggi, più che mai, d’attualità – della trasparenza nella gestione di un ente pubblico economico , quale la Fiera di Roma, e della commistione tra politica ed affari vengono battuti, con insistenza, anche dai giudici del Palazzaccio. Questi ultimi, difatti, confermano quanto già deciso in Appello è stato assolutamente legittimo l’operato dei giornalisti. Certo, non è discutibile la correttezza formale delle aggiudicazioni di cinque appalti, che, sottolinea Lucarelli, erano stati assegnati in favore dei soggetti prescelti non perché vicini allo Sbardella, ma perché risultati portatori, all’esito di confronti concorrenziali plurimi formalmente e sostanzialmente corretti, delle offerte più convenienti per l’ente Fiera . Ma, chiariscono i giudici, ampliando l’orizzonte, resta una ‘questione morale’, di rilevanza sociale , ossia, come detto, la gestione di un ente pubblico economico e la commistione tra politica e affari , che rende legittima una critica – come quella espressa nei numerosi articoli de ‘La Repubblica’ – fondata non sulla narrazione di fatti , bensì sulla esposizione di un giudizio di valore e di apprezzamenti che, come tale, non può essere rigorosamente obiettiva, sì che la narrazione non solo può esser colorita o pungente, ma, se funzionale alla formazione dell’opinione pubblica, può anche non rispettare l’assoluta obiettività delle circostanze segnalate . Per questo, è da ritenere prevalente, secondo i giudici, il dubbio provocato dalla aggiudicazione di alcuni appalti per l’ente Fiera a costruttori vicini all’uomo politico Sbardella, dubbio che rende accettabili e congrue le considerazioni critiche messe ‘nero su bianco’ dai giornalisti.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 febbraio - 5 settembre 2013, n. 20361 Presidente Trifone – Relatore Chiarini Svolgimento del processo Con citazione del 23 aprile 1194 E.L. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma P.B., S.C., E.G. e la s.p.a. Editoriale La Repubblica” chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni indicati in due miliardi di lire, o da liquidare equitativamente - subiti per numerosi 80 articoli diffamatori editi da La Repubblica” dal 13 ottobre 1990 al 1994. Il Tribunale accoglieva la domanda ritenendo che le espressioni riferite al L. dai giornalisti B. e C., che conducevano un’inchiesta giornalistica sull’attività della Fiera di Roma - padrino”, sponsorizzato da S. uomo politico della DC romana , longa manus di costui nell’esercizio del suo incarico, eletto Presidente dell’Ente Fiera grazie all’appoggio democristiano, diventato simbolo degli stretti e non chiari rapporti tra padrinaggio politico e mondo degli affari, avendo concesso appalti a costruttori amici e familiari dello S., e così gestendo non correttamente la Fiera di Roma -- esprimessero giudizi di disvalore sulla sua persona con frasi offensive ed insinuanti, usando toni pesanti e scandalistici che intaccavano la sua sfera morale e professionale, e perciò inducenti i lettori di La Repubblica” a considerare il L. un corrotto, dedito alla commissione di reati. Né poteva esser invocata l’esimente di cui all’art. 21 Costit. perché il procedimento penale nei confronti del L. era stato archiviato e la sua condotta era stata ritenuta pienamente legittima dalla Commissione Comunale di trasparenza. Quindi B. e C. avevano travalicato il limite della continenza sotto l’aspetto della correttezza formale dell’esposizione e sotto quello sostanziale, che consiste nello scrivere lo stretto necessario per appagare il pubblico interesse e sussisteva anche la responsabilità del direttore Scalfari, ai sensi della legge n. 47 del 1948 art. 11, per non aver controllato la rispondenza al vero delle notizie ed impedito la commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa e del Gruppo Editoriale l’Espresso, che aveva incorporato l’Editoriale La Repubblica. Condannava pertanto i responsabili in solido a pagare 25 mila euro all’attualità e curo 10.000 per il danno morale. Con sentenza del 4 settembre 2006 la Corte di appello di Roma, respingendo l’appello del L. sul quantum riconosciuto dal giudice di primo grado ed accogliendo quello dei soccombenti, ha riformato la sentenza del Tribunale sulle seguenti considerazioni. 1 l’ente autonomo Fiera di Roma ha natura di ente pubblico economico e quindi la sua gestione deve rispondere a criteri di efficienza ed imparzialità e l’amministrazione è soggetta al controllo dell’opinione pubblica in funzione del generale interesse ed in tale ottica la critica all’attività dell’amministratore è critica politica, ed infatti negli articoli pubblicati tra il 1990 e il 1994 l’oggetto primario non era il L., ma i rapporti con la corrente politica facente capo allo S. e l’intreccio politico - affaristico fatto risalire a quest’ultimo, che era frequentemente fotografato e la cui personalità politica era richiamata ripetutamente, insieme alla moglie e ai suoi famililari 2 quindi le opinioni espresse erano soggettive ed in confronto a concezioni contrapposte per il raggiungimento di fini pubblici, ed il giudizio critico verso gli avversari politici deve esser compiuto valutando l’interesse generale al libero svolgimento della vita democratica 3 perciò la linea argomentativa di fondo degli articoli era costituita dalla denuncia di un sistema di gestione della cosa pubblica non conforme ai criteri morali e suscettibile di dar luogo ad abusi 4 il L. non aveva contestato che un gran numero di appalti era stato distribuito a soggetti legati alla famiglia o alla corrente politica dello S. e dunque l’attività di inchiesta e critica dei giornalisti, si inseriva nella dialettica politica verso una forma di gestione che ingenerava sospetti di favoritismi, con notevoli dubbi sulla moralità dei protagonisti nell’aggiudieazione di rilevanti appalti a soggetti legati ad un personaggio politico di rilievo nella politica romana, ed infatti il dibattito si era svolto nel consiglio comunale, a riprova che l’intenzione era di colpire il sistema e di indurre alla trasparenza della gestione dell’ente, mentre d’afro canto le vivaci critiche erano avvenute anche nelle diverse correnti del partito di appartenenza dello S. 5 in tale contesto anche le espressioni padrino, padrinaggio politico” erano in linea con i toni del dibattito politico che è più incisivo e pungente rispetto a quello comunemente adoperato, né vi era insulto personae finalizzato ad offendere. Ricorre per cassazione E.L. con atto notificato il 31 ottobre 2007, cui resistono il Gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a., E.S., P.B.B. e S.C. con controricorso del 27 dicembre 2007. Il ricorrente ha depositato memoria e note di udienza. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce. Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 3 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo pur il giudizio di cassazione in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.” e conclude con i seguenti quesiti Dica la Corte se la Corte di appello di Roma, ritenendo di doversi pronunciare solo in relazione a quegli articoli giornalistici sui quali veniva affrontato il problema della presunta immmoralità delle pratiche eseguite dall’Ente Fiera di Roma nell’aggiudicazione di n. 5 appalti controversi, non abbia omesso di pronunciarsi, così violando e falsamente applicando, l’art. 112 c.p.c., su quella psarte della domanda con la quale il L. aveva lamentato la lesione del proprio onore, della propria reputazione e della propria identità personale, compiuta attraverso l’ideazione e la pubblicazione dell’articolo apparso nell’edizione del quotidiano La Repubblica” del 7 maggio 1992 riportante in termini diffamatori, la fotografia e il nome del L. pur senza riferirsi ad esso o all’ente Fiera di Rema. Dica la Corte di cassazione se la Corte di appello nel respingere la domanda del L. sui rilievo che, indipendentemente dalla correttezza formale e sostanziale delle gare indette, restava pur sempre una genuina questione di immoralità complessiva delle parti di aggiudicazione interna all’Ente Fiera, non abbia mancato di valutare con prudente apprezzamento, così violando e/o falsamente applicando l’art. 116 c.p.c., la prova, inerente ad uno specifico diritto risarcitorio del L., rappresentata dall’articolo, non riferentesi ideologicamente al L., né all’Ente Fiera, apparso cull’edizione del 7 maggio 1992 su La Repubblica”, riportante in termini diffamatori la fotografia e il nome del L. . Indica come fatto controverso l’autonoma valenza diffamatoria e illecita dell’articolo del 7 maggio 1992 che non trattava né delle pratiche di aggiudicazione interne all’Ente Fiera, né di alcun fatto imputabile al L. e della contestuale pubblicazione dell’immagine e del nome di questi, su tale fatta controverso la motivazione è mancata perché la Corte di Appello ha respinto la domanda del L. sul raro rilievo, del tutto inconferente rispetto a tale fatto, che, nonostante la correttezza formale e sostanziale delle gare all’interno del!’Ente Fiera, permaneva una genuina questione di moralità complessiva all’interno di questo”. Il motivo è inammissibile. Ed infatti, qualora una determinata questione giuridica - che implichi accertamenti di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche dlì indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto - nella specie in appello, - onde dar modo alla Corte di controllare ex artis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa Cass. 22540 del 20/10/2006 . Pertanto, poiché né dalla sentenza di primo grado, né dalla sentenza di appello, innanzi riassunte, emerge l’allegazione della diffamazione con riferimento allo specifico articolo del 7 maggio 1992, in quanto, diversamente da tutti gli altri articoli concernenti l’Ente Fiera di Roma, nel testo del medesime non vi era riferimento alcuno né a questo, né al suo Presidente, mentre vi era la foto di costui, si da indurre il lettore ad imputargli anche vicende di affarisimo o favoritismi a cui era rimasto assolutamente estraneo, la censura, che implica un nuovo accertamento di fatto, inammissibile in questa sede, non può essere esaminata. 2. Con il secondo motivo deduco Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 Costit. art. 2043 c.c., artt. 51, 59 e 596 bis c.p.c, artt. 11 e 12 legge del 1948 n. 47 art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c. emessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.” e conclude con i seguenti. quesiti. Dica la Corte di cassazione se la Corte di appello di Roma, ritenendo che i convenuti non avessero esorbitato dai limiti di un legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica giornalistica, perché all’interno dell’Ente Fiera, nel periodo della presidenza L., e nonostante la correttezza formale e sostanziale delle n. 5 aggiudicazioni interessate dalla campagna giornalistica controversa, vi, era una genuina questione di moralità complessiva della prassi di aggiudicazione in atto, essendo risultati aggiudicatari soggetti vicini all’on. S., non abbia violato e/o falsamente applicato l’art. 21 Costit. norme dalle quali si ricava il principio che la legittimità della lesione dell’altrui reputazione compiuta nell’ambito della cronaca e della critica giornalistica, richiede la verità del fatto ascritto, e del fatto da cui promana la critica, mentre nella presente fattispecie la ritenuta correttezza formale e sostanziale delle cinque aggiudicazioni suddette, pacifica in causa, escludendo che queste potessero considerarsi avvenute per favoritismi dell’ing. L., dunque falsamente assunti, dimostra che la corte di appello ha recepito una nozione di legittima cronaca e critica giornalistica dalla quale è del tutto assente anche per mancata corretta applicazione del criterio di cui all’art. 116 c.p.c. - il presupposto della verità del fatto ascritto, o del fatto da cui promana la critica”, ed indica il fatto controverso nell’insussistenza di alcuna genuina questione morale idonea giustificare la lesione dell’onore, della reputazione, dell’identità personali del L. perché le aggiudicazioni delle 5 gare controverse erano state operate in favore dei soggetti prescelti non perché vicino allo S., ma perché risultati portatori all’esito di confronti concorrenziali plurimi formalmente e sostanzialmente corretti, delle offerte più convenienti per l’ente Fiera di conseguenza non essendo né giuridicamente né eticamente esigibile da parte del L. il rifiuto di procedere a quelle aggiudicazioni, rispondenti al miglior interesse sostanziale dell’ente Fiera, la corte di appello, falsamente individuando il fatto determinativo di quelle aggiudicazioni, giunge alla conclusione, illogica ed irrazionale, che la mera appartenenza politica degli aggiudicatari alla corrente dell’uomo politico democristiano, costituiva di per sé motivo di doverosa esclusione, in difetto del quale, ed indipendentemente dall’interesse sostanziale doll’Ente, vi sarebbe stata una questione morale da affrontare in termini lesivi dell’onore, della reputazione, dell’identità personali del L. Il motivo è infondato. La Corte di merito ha correttamente individuato il diritto esercitato dai giornalisti che, essendo di critica, esclude l’antigiuridicità della violazione dell’altrui diritto alla tutela della reputazione se sussiste l’interesse sociale alla notizia diffusa. Ed infatti, a differenza del diritto di cronaca, il diritto di critica non si concreta nella narrazione di fatti, ma nella esposizione di un giudizio di valore e di apprezzamenti che, come tale, non può essere rigorosamente obiettiva, si che la narrazione non solo può esser colorita o pungente, ma, se funzionale alla formazione della pubblica opinione, può anche non rispettare l’assoluta obiettività della circostanze segnalate, perché per sua natura la critica è ideologicamente orientata e tesa ad evidenziare proprio quegli aspetti e quelle concezioni del soggetto criticato che si reputano deplorevoli e che si intende stigmatizzare e censurare, purché non trasmodi in gratuiti attacchi volti a colpire sul piano individuale la sfera personale e morale del destinatario. A questo principio si è conformata la Corte di merito avendo evidenziato che gli articoli riferentesi al L. sono stati scritti nel caso di un’inchiesta giornalistica sulla corrente politica rappresentata dallo S., diretto bersaglio della critica, sì che i contenuti sono valutativi e frutto di opposte concezioni, su una tematica di rilevanza sociale - la gestìone di un ente pubblico economico e la commistione tra politica ed affari, dubbio ingenerato dai favoritismi all’entourage parentale e di amicizia dello S. a cui erano stati aggiudicati degli appalti, e dunque a prescindere dal danno economico all’Ente Fiera, di cui il L. era il Presidente, e perciò gravato di maggiori responsabilità nella gestione e sottoposto ad un controllo della sua attività da parte dell’opinione pubblica - nel cui esercizio al giornalista, più che riferire fatti, interessa esprimere opinioni per formare l’opinione pubblica, si che la narrazione si alterna alla valutazione e anzi viene piegata alle esigenze della persuasione”, maggiormente se la critica è politica, in cui i giudizi che riguardano gli avversari si esprimono in maniera da far trasparire una radicale contrapposizione alle altrui scelte, con il limite di dover essere argomentata e ragionata e non trascendere nell’invettiva o nell’insulto Cass. pen. 6 febbraio 2007 n. 11662 . 3. La tardività del controricorso, spedito a mezzo posta in data 27 dicembre 2007, ne determina l’inammissibilita, ma consente al difensore dei resistenti di discutere la causa in udienza. 4. Concludendo il ricorsa va respinto. Le alterne vicende processuali della controversia, inducono a compensare le spese del giudizio di cassazione in relazione alla discussione della causa. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese della discussione della causa in cassazione.