Tira il guinzaglio del cane, che la aggredisce per reazione. Nulla sarebbe successo se il padrone avesse tenuto gli occhi aperti...

Confermata la condanna nei confronti dell’uomo, proprietario del cane, che ha provocato serie lesioni a una donna. Quest’ultima, sì, ha afferrato il guinzaglio dell’animale, suscitandone involontariamente la reazione, ma ciò che risulta decisivo è la disattenzione del proprietario. Quest’ultimo avrebbe dovuto provvedere a una custodia molto più attenta e più stringente.

Comportamento imprudente – quasi un fattore scatenante per la reazione del cane – da parte della persona aggredita. Ma ciò non può azzerare la responsabilità del proprietario dell’animale egli avrebbe dovuto meglio provvedere alla custodia del proprio ‘amico a quattro zampe’. Cassazione, sentenza n. 31334, Quarta sezione Penale, depositata oggi Aggressione . Episodio facilmente ricostruito dai giudici, quello dell’aggressione di un cane nei confronti di una donna, ma essi forniscono una interpretazione diversa in primo grado, difatti, il proprietario del cane viene assolto, mentre, in secondo grado, ne viene riconosciuta la responsabilità agli effetti civili , con tanto di condanna al risarcimento del danno . Completo cambio di visione della vicenda, quindi, che viene però contestato dall’uomo, il quale, con ricorso ad hoc in Cassazione, sottolinea il valore del fatto fortuito costituito dalla condotta della vittima , che, a suo avviso, avrebbe interrotto il nesso causale . Più precisamente, l’uomo sostiene che le lesioni non sono state cagionate dal cane , bensì sono state una conseguenza della condotta della vittima, che ha tirato il guinzaglio dell’animale . A corredo di questa visione, poi, anche l’affermazione che irragionevolmente si è ritenuto l’obbligo di stretto controllo del cane, all’interno di una serra non destinata alla vendita, con la porta di ingresso aperta e con esposto un cartello con l’invito a prestare attenzione al cane . Ad occhi chiusi Ma le osservazioni proposte dall’uomo non trovano sponda nelle valutazioni dei giudici della Cassazione. Per questi ultimi, difatti, anche alla luce della ricostruzione della vicenda , ciò che emerge è la omessa custodia dell’animale come causa principale delle lesioni subite dalla donna. In questa ottica, è irrilevante il riferimento alla condotta tenuta dalla vittima, e, allo stesso tempo, inutile soffermarsi a ragionare sul fatto se il danno sia derivato o meno dalla diretta azione lesiva dell’animale . Perché, sottolineano i giudici, decisivo è il peso da attribuire alla condotta trascurata dell’uomo, che ha metaforicamente tenuto gli occhi chiusi una custodia diligente , invece, avrebbe evitato che la persona danneggiata dovesse porre in essere l’azione di trattenuta dell’animale che le ha cagionato lesioni . Quest’ultima sottolineatura porta alla chiusura della vicenda evidente, per i giudici, la responsabilità dell’uomo, la cui condanna è ora sigillata in maniera definitiva.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 11 giugno - 22 luglio 2013, n. 31334 Presidente Foti – Relatore Blaiotta Motivi della decisione 1. Il Giudice di pace di Taggia ha assolto l’imputato in epigrafe dal reato di cui all’art. 590 cod. pen. in danno di C.A. perché il fatto non costituisce reato. La sentenza è stata riformata dal Tribunale di Sanremo che ha affermato la responsabilità agli effetti civili ed ha pronunziato condanna al risarcimento del danno. 2. Ricorre per cassazione il condannato deducendo diversi motivi. 2.1. Con il primo motivo si espone che il risarcimento del danno è prescritto, avendo la costituzione di parte civile avuto luogo in data 28 settembre 2010 per fatti del 10 agosto 2005. Nel caso di specie non trova applicazione l’art. 2947 cod. civ., non potendo la sentenza penale, anche se di assoluzione, far rivivere un diritto già estinto in epoca anteriore. 2.2. Con il secondo motivo si espone che la responsabilità per danno da cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. ha carattere oggettivo e prescinde dall’accertamento della colpa. Il Tribunale ha omesso di considerare l’effetto interruttivo del nesso causale dovuto al fatto fortuito costituito dalla condotta della vittima. Il giudice ha pure omesso di tener conto del fatto che, le lesioni non sono state cagionate dal cane ma dalla condotta della vittima stessa che ha tirato il guinzaglio tale comportamento interrompe il nesso causale. 2.3. Con il terzo motivo si assume che irragionevolmente si è ritenuto l’obbligo di stretto controllo del cane all’interno di una serra non destinata alla vendita, con la porta di ingresso aperta e con esposto, un cartello con l’invito a prestare attenzione al cane. Inoltre non vi è prova che l’evento si sia verificato all’interno della serra e non all’esterno. 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Quanto alla prima questione è sufficiente rammentare la costante condivisa giurisprudenza di questa Suprema corte l’azione civile esercitata nel processo penale soggiace alle regole proprie della prescrizione penale da ultimo, tra le tante, Cass. V, 26 febbraio 2013, rv. 254643 . E’ dunque inconferente la deduzione difensiva riferita ai termini civilistici. 3.2. Pure radicalmente inconferente è l’evocazione della disciplina civilistica. L’azione civile nel processo penale riguarda il danno da reato ai sensi dell’art. 185 cod. pen. sicché oggetto di accertamento è l’esistenza dell’illecito penale alla stregua dei principi che regolano quell’ordinamento. 3. Quanto al merito, la pronunzia reca una approfondita, coerente ricostruzione della vicenda e perviene all’argomentata conclusione che le lesioni siano state cagionate dall’omessa custodia dell’animale. E’ del tutto irrilevante che il danno sia derivato o meno dalla diretta azione lesiva dell’animale. Decisivo è invece il ruolo condizionalistico della condotta trascurata dell’imputato una custodia diligente avrebbe evitato che la danneggiata dovesse porre in essere l’azione di trattenuta dell’animale che le ha cagionato le lesioni. L’apprezzamento del giudice è dunque immune da vizi logici e giuridici. Il ricorrente, d’altra porte, tenta di sollecitare impropriamente questa Corte di legittimità alla riconsiderazione del merito. Il gravame è quindi inammissibile. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro 1.000 a titolo di sanzione pecuniaria, non emergendo ragioni, di esonero. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000 a favore della cassa delle ammende.