Obbligato al pagamento del compenso professionale dovuto ad un avvocato può essere anche una persona diversa da quella che gli ha conferito la procura alle liti. Ma questo principio non vale se, oltre alla procura, è stato conferito un mandato.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 9297, depositata l’8 maggio 2015. Il caso. L’avvocato F.M. otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di tre persone, avente ad oggetto il pagamento di compensi professionali. Gli intimati proponevano opposizione al decreto ingiuntivo, allegando di non aver mai avuto rapporti professionali con l’avvocato F.M., la quale sarebbe stato soltanto un “prestanome”, mentre l’attività professionale di cui si chiedeva il pagamento dell’onorario era stata svolta in realtà da un altro legale, l’avvocato L.O Quest’ultimo interveniva volontariamente nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, dichiarando di averlo fatto ad excludendum ed affermando di aver stipulato con i tre intimati un accordo in virtù del quale egli si obbligava a garantirli da qualsiasi pretesa che nei loro confronti avesse avanzato l’avvocato F.M Allegava, inoltre, che F.M. non aveva mai svolto attività per conto degli intimati, i cui interessi erano stati curati solo da lui. In più, deduceva che la procura conferita dagli opponenti a F.M. era un escamotage per evitare che L.O. si trovasse in una posizione di conflitto di interessi rispetto ad altri propri clienti, nei confronti dei quali gli intimati avevano intenzione di agire in giudizio. Chiedeva, perciò, l’accoglimento dell’opposizione e la condanna di F.M. al risarcimento dei danni da lui subiti. La Corte d’appello di Napoli rigettava l’opposizione. L’avvocato L.O. ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito, nel rigettare l’opposizione a decreto ingiuntivo, di aver ritenuto che F.M. avesse provato l’esistenza del contratto di prestazione d’opera professionale semplicemente depositando il mandato alle liti a lei conferito. Lamentava, quindi, l’inversione della prova dell’esistenza del contratto di mandato professionale. Onere della prova. La Corte di Cassazione, però, ricorda che «nel presente giudizio l’onere della prova si ripartisce» in modo ben preciso l’attore, cioè l’opposto, deve provare l’esistenza del contratto e nel caso di specie l’avvocato F.M. l’aveva fatto depositando il mandato alle liti. Invece, i convenuti, cioè gli opponenti, devono provare l’allegata simulazione relativa al mandato, ma nel caso di specie tale prova non era stata fornita. Perciò, questo motivo di ricorso viene ritenuto infondato dalla Cassazione. Chi deve pagare? Inoltre, il ricorrente deduceva che se un cliente chiede assistenza ad un avvocato, e questo a sua volta incarica dell’assistenza un secondo avvocato, il compenso di quest’ultimo deve essere versato dal primo avvocato, non dal cliente, «a nulla rilevando che questi abbia conferito direttamente al secondo avvocato una procura alle liti». I giudici di legittimità riconoscono che obbligato al pagamento del compenso professionale dovuto ad un avvocato possa essere anche una persona diversa da quella che gli ha conferito la procura alle liti. Ma questo principio non può essere applicato al caso di specie, perché i tre intimati avevano conferito un mandato, e non soltanto una procura alle liti, all’avvocato F.M Di conseguenza, la Corte di Cassazione rigetta anche questo secondo motivo di ricorso.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 7 gennaio – 8 maggio 2015, numero 9297 Presidente Petti – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. Nel 1999 F.M., di professione avvocato, chiese ed ottenne dal Pretore di Napoli un decreto ingiuntivo nei confronti di R.R., R.B. e G. R., avente ad oggetto il pagamento di compensi professionali per l'importo di £ 16.524.000. 2. Tutti e tre gli intimati proposero opposizione al decreto ingiuntivo, allegando di non avere mai avuto alcun rapporto professionale con l'avv. F.M Questa, infatti, sarebbe stata solo un prestanome , mentre l'attività professionale per la quale si chiedeva il pagamento dell'onorario era stata svolta in realtà da altro professionista, l'avv. L.O 3. Quest'ultimo intervenne volontariamente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, dichiarando di averlo fatto ad excludendum, e spiegando di avere stipulato con R.R., R.B. e G. R. un accordo in virtù del quale egli si obbligava a garantirli da qualsiasi pretesa che nei loro confronti avesse avanzato l'avv. F.M Nel merito, L.O. allegava che F.M. non aveva mai svolto alcuna attività per conto degli intimati che gli interessi di questi erano stati da lui curati e che la procura conferita dagli opponenti a F.M. era un escamotage per evitare che L.O. venisse a trovarsi in una posizione di conflitto di interessi rispetto ad altri propri clienti, nei confronti dei quali i R.B. avevano intenzione di agire in giudizio. Chiedeva pertanto non solo l'accoglimento dell'opposizione, ma anche la condanna di F.M. al risarcimento dei danni patiti da esso interveniente. 4. Con sentenza 16.11.2004 numero 11752 il Tribunale di Napoli, nelle more subentrato all'ufficio di Pretura, rigettò l'opposizione dichiarò inammissibili le domande dell'intervenuto, e condannò gli uni e l'altro alle spese di lite. 5. La sentenza venne appellata da G. R. e L.O La Corte d'appello di Napoli, con sentenza 17.6.2011, rigettò il gravame. 6. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da L.O., sulla base di quattro motivi. Ha resistito F.M. con controricorso. II ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione Il primo motivo di ricorso. 1.1. Coi primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'articolo 360, numero 3, c.p.c Si assume violato l'articolo 105 c.p.c L'illustrazione del motivo è la seguente a il ricorrente dapprima riferisce che il suo intervento in primo grado era stato qualificato dalla Corte d'appello come adesivo dipendente così il ricorso, p. 14 b quindi evidenzia come, in una fattispecie esattamente identica, la Corte d'appello di Napoli aveva diversamente qualificato l'intervento, come adesivo autonomo ibidem, p. 15 c quindi si dilunga a riferire dei propri rapporti con G. R., ed a spiegare come questi mai nessun rapporto professionale ebbe con F.M. ibidem pp. 16-18 . 1.2. II motivo è inammissibile, perché fraintende la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte d'appello di Napoli non ha affatto ritenuto inammissibile l'intervento di causa di L.O., come questi mostra di ritenere. La Corte d'appello ha invece ritenuto che, quale che dovesse essere la corretta qualificazione astratta dell'intervento compiuto dall'avv. L.O. adesivo autonomo o adesivo dipendente , nell'uno come nell'altro caso le domande da questi proposte erano infondate, e più esattamente a la domanda di estromissione degli originari opponenti R.R., R.B. e G. R. non poteva essere accolta sia perché non vi era stato il consenso di F.M. attrice in senso sostanziale nel procedimento monitorio , sia perché l'estromissione dei garantito è consentita solo per nel caso di garanzia propria, non nel caso di garanzia impropria b la domanda di risarcimento del danno era generica, e comunque non era stata provata così la sentenza, p. 9-10 . Da un lato, dunque, la Corte d'appello non ha violato l'articolo 105 c.p.c., per la semplice ragione che, per pervenire alle proprie decisioni, non ha fatto applicazione di quella norma dall'altro lato nessuna delle rationes decidendi appena riassunte è stata validamente impugnata col primo motivo di ricorso. 2. II secondo motivo di ricorso. 2.1. Anche col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'articolo 360, numero 3, c.p.c Si assumono violati gli articolo 7 1. 13.6.1942 numero 794 e 3 d.m. 8.4.2004 numero 127. Espone, al riguardo, che la Corte d'appello, nel rigettare l'opposizione al decreto ingiuntivo, avrebbe errato perché a ha ritenuto che F.M. abbia provato l'esistenza dei contratto di prestazione d'opera professionale semplicemente depositando il mandato alle liti a lei conferito b non ha ammesso le prove chieste da L.O., e tese a dimostrare che a questi, e non a F.M., i clienti avevano nella realtà conferito il mandato alle liti. 2.2. Il motivo è in parte infondato, ed in parte inammissibile. Nella parte in cui lamenta l'inversione dell'onere della prova dell'esistenza del contratto di mandato professionale, il motivo è infondato perché nel presente giudizio l'onere della prova si ripartisce come segue - l'attrice cioè l'opposta doveva provare l'esistenza del contratto, e l'ha provata depositando il mandato alle liti - i convenuti gli opponenti dovevano provare l'allegata simulazione relativa del mandato, e non l'hanno provata. 2.3. Nella parte in cui lamenta il rigetto delle prove rilevanti ai fini del decidere, il motivo è invece inammissibile, in quanto il ricorrente - in violazione dei principio di autosufficienza del ricorso per cassazione - non ha trascritto nel ricorso le prove della cui mancata ammissione si duole. 3. II terzo motivo di ricorso. 3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'articolo 360, numero 3, c.p.c Si assumono violati gli articolo 233 e ss. c.p.c Espone, al riguardo, che la Corte d'appello ha ritenuto decisivo il giuramento decisorio prestato da F.M., ma in realtà le circostanze sulle quali questa ha giurato e cioè avere conosciuto personalmente i clienti ed avere da essi ricevuto il mandato non potevano essere ammesse come oggetto di giuramento, perché non erano rilevanti ai fini dei decidere. 3.2. II motivo è assorbito dal rigetto del secondo motivo di ricorso. In ogni caso esso sarebbe comunque inammissibile, perché sollecita da questa Corte la valutazione dell'ammissibilità d'una prova, giudizio riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione. 4. II quarto motivo di ricorso. 4.1. Anche col quarto motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all'articolo 360, numero 3, c.p.c Si assumono violati gli articolo 82 e ss. c.p.c Sostiene, al riguardo, la tesi secondo cui se un cliente chiede assistenza ad un avvocato, e questi a sua volta incarica dell'assistenza un secondo avvocato, il compenso di quest'ultimo deve essere versato dal primo avvocato, non dal cliente, a nulla rilevando che questi abbia conferito direttamente al secondo avvocato una procura alle liti. 4.2. Il motivo è infondato. Non c'è dubbio che obbligato al pagamento del compenso professionale dovuto ad un avvocato ben possa essere anche persona diversa da quella che gli ha conferito la procura alle liti. Nel caso di specie, tuttavia, a causa del rigetto dei motivi 1-3, resta accertato che i sigg.ri R.B. effettivamente conferirono un mandato e non soltanto una procura alle liti all'avv. F.M Ne consegue che non giova al ricorrente invocare il suddetto principio, giacché esso comunque non potrebbe essere applicato alla nostra fattispecie concreta. S. II ricorso deve dunque essere rigettato. 6. Le spese. La alta litigiosità manifestata dalle parti la circostanza che esse abbiano un contenzioso seriale pendente per questioni analoghe la qualità personale dei litiganti principali, sono altrettanti giusti motivi per la compensazione integrale delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. la Corte di cassazione, visto l'articolo 380 c.p.c. - rigetta il ricorso - compensa integralmente tra tutte le parti le spese del presente grado di giudizio. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 7 gennaio 2015.