A fronte del potere unilaterale della parte datoriale di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita nel regime contrattuale a tempo parziale non può non trovare adeguato compenso la disponibilità del dipendente alla chiamata del datore di lavoro.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 23600, depositata il 5 novembre 2014. Il fatto. Il giudice del lavoro del Tribunale di Genova rigettava la domanda con la quale il lavoratore aveva chiesto la dichiarazione di illegittimità del contratto di lavoro part-time concluso con una società e la condanna della medesima al risarcimento del danno, in forma di indennità compensativa, per la disponibilità prestata a svolgere servizio a richiesta della datrice di lavoro pur in mancanza di una precisa predeterminazione della distribuzione dell’orario di lavoro. La Corte d’appello di Genova, investita dall’impugnazione del lavoratore, ha accolto il gravame e condannato la società al pagamento di una indennità. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il datore di lavoro. Innanzitutto, puntualizza il Collegio, la Corte di merito è arrivata al convincimento della rilevanza negoziale della disponibilità offerta dal lavoratore di eseguire prestazioni “a chiamata” proprio alla stregua della lettura delle circostanze di fatto esposte dalla difesa dell’appellata nella memoria difensiva. La Corte ha rafforzato il suo convincimento sull’assunzione da parte del dipendente dell’obbligazione di rendersi disponibile anche per le chiamate effettuate in via d’urgenza. La disponibilità alla chiamata del lavoratore. Si è pertanto, la Corte d’appello, correttamente attenuta al principio, già affermato dalla Cassazione, in base al quale, «a fronte del potere unilaterale del datore di lavoro di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita, la disponibilità alla chiamata del lavoratore, pur non potendosi equiparare a lavoro effettivo, deve, comunque, trovare adeguato compenso, tenendo conto di un complesso di circostanze a tal fine significative, quali l’incidenza sulla possibilità di attendere ad altre attività, il tempo di preavviso previsto o di fatto osservato per la richiesta di lavoro “a comando”, l’eventuale quantità di lavoro predeterminata in misura fissa, la convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione». Il discrimine fra tempi di vita e tempi di lavoro, fra condizione di autonomia e situazione di soggezione ad un altrui potere di intervento e di organizzazione non può essere compresso, ma deve restare rigoroso. Pertanto, la Cassazione ha deciso per il rigetto del ricorso.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 settembre – 5 novembre 2014, numero 23600 Presidente Macioce – Relatore Berrino Svolgimento del processo Il giudice del lavoro del Tribunale di Genova rigettò la domanda di G.R. con la quale quest'ultimo aveva chiesto la dichiarazione di illegittimità del contratto di lavoro part-time concluso con la società Autostrade per l'Italia s.p.a. e la condanna della medesima al risarcimento del danno, in forma di indennità compensativa, per la disponibilità prestata a svolgere servizio a richiesta della datrice di lavoro pur in mancanza di una precisa predeterminazione della distribuzione dell'orario di lavoro, dal momento che questa riguardava solo il 30% del minimo dell'orario previsto. La Corte d'appello di Genova, investita dall'impugnazione del G. , ha accolto il gravame con sentenza del 19/11 - 20/12/2010 ed ha condannato le società resistenti Autostrade per l'Italia e Atlantia s.p.a. al pagamento di una somma pari alla metà della differenza tra la retribuzione spettante per un orario di lavoro a tempo pieno e quella percepita per il periodo compreso tra il 17/11/1989 e l'entrata in vigore del ccnl del 1995, che prevedeva una maggiore specificazione dell'orario di lavoro. La Corte ha spiegato che la prescrizione eccepita dalle appellate doveva ritenersi interrotta per effetto della missiva inoltrata alla datrice di lavoro che conteneva la richiesta dei danni per la mancata programmazione dei turni lavorativi in conformità alla legge numero 863/1984. Inoltre, a fronte del potere unilaterale della parte datoriale di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita nel regime contrattuale a tempo parziale non poteva non trovare adeguato compenso la disponibilità del dipendente alla chiamata del datore di lavoro. Per la cassazione della sentenza ricorrono le società Autostrade per l'Italia s.p.a. e Atlantia s.p.a. con due motivi. Resiste con controricorso G.R. . Le parti depositano memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Col primo motivo, proposto per violazione degli articolo 2099 e 2948, numero 4, cod. civ., le ricorrenti lamentano che la Corte d'appello avrebbe erroneamente disatteso l'eccezione di prescrizione quinquennale da esse sollevata in quanto, anche a voler riconoscere efficacia interruttiva alla lettera del legale di controparte del 31/12/1997, la domanda non avrebbe potuto trovare accoglimento che per il solo quinquennio antecedente 1992-1997 e non dall'inizio del rapporto di lavoro part-time risalente al 1989. Il motivo è infondato. Invero, la natura giuridica del credito in esame è quella che si evince dalla relativa domanda compiutamente qualificata dai giudici di merito nell'ambito dei loro poteri interpretativi come richiesta risarcitoria sotto forma di indennità compensativa della disponibilità prestata e della conseguente maggiore penosità della prestazione imposta al dipendente dal datore di lavoro, legittimato dalla elasticità della clausola a richiedere a comando parte della prestazione lavorativa dedotta nel contratto. Non si tratta, pertanto, di un credito connesso ad un emolumento spettante al lavoratore per legge o per contratto, per il quale opererebbe la prescrizione quinquennale, bensì di un indennizzo avente una causa autonoma riconducale alla necessità di ristoro della maggiore penosità della prestazione, soggetto come tale a prescrizione ordinaria. 2. Col secondo motivo le ricorrenti deducono, ai sensi dell'articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione, da parte della Corte di merito, dell'articolo 3, punto 13, del contratto collettivo del 21/12/1990, in quanto la stessa, nel valutare gli effetti della mancata prestazione di attività lavorativa a seguito di specifica chiamata della parte datoriale, non avrebbe considerato che l'inadempimento contrattuale imputabile al lavoratore poteva configurarsi esclusivamente nei casi di qualificata, reiterata ed ingiustificata mancanza di prestazione. Inoltre, secondo tale assunto difensivo, la Corte non avrebbe valutato quest'ultima circostanza, rilevante ai fini della decisione. Anche tale motivo è infondato per le seguenti ragioni - Anzitutto, occorre rilevare che la Corte di merito è pervenuta al convincimento della rilevanza negoziale della disponibilità offerta dal lavoratore di eseguire prestazioni a chiamata proprio alla stregua della lettura delle circostanze di fatto esposte dalla difesa delle appellate nella memoria difensiva. Invero, la Corte ha evidenziato che in tale atto erano indicate le concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa oggetto di contratto, dopodiché ha rafforzato il suo convincimento sull'assunzione da parte del dipendente dell'obbligazione di rendersi disponibile anche per le chiamate effettuate in via d'urgenza alla luce del dato letterale della norma collettiva in esame. Infatti, questa prevedeva espressamente la responsabilità da inadempienza contrattuale del lavoratore a tempo parziale che senza sufficiente giustificazione e ripetutamente non effettuava la prestazione richiestagli o si rendeva di fatto irreperibile. A fronte di tale motivazione, adeguatamente illustrata e basata sulla lettura dell'atto difensivo delle società e sull’interpretazione letterale della norma collettiva summenzionata, le ricorrenti non indicano quale sarebbe stato a loro giudizio il canone ermeneutico disatteso dalla Corte di merito e, nel contempo, prospettano come circostanza di fatto decisiva quella che è, invece, il frutto di una loro interpretazione della stessa norma collettiva, contrapposta a quella fornita dalla Corte territoriale con giudizio immune da rilievi di legittimità. Tra l'altro, la Corte ligure si è attenuta al principio, già affermato da questa Suprema Corte, in base al quale, a fronte del potere unilaterale del datore di lavoro di fissare le modalità temporali della prestazione pattuita, la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, pur non potendosi equiparare a lavoro effettivo, deve, comunque, trovare adeguato compenso, tenendo conto di un complesso di circostanze a tal fine significative, quali l'incidenza sulla possibilità di attendere ad altre attività, il tempo di preavviso previsto o di fatto osservato per la richiesta di lavoro a comando , l'eventuale quantità di lavoro predeterminata in misura fissa, la convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione, v. Cass. Sez. lav. numero 24566/2009 . Nel caso di specie la motivazione dell'impugnata sentenza non risulta sindacabile in sede di legittimità, dal momento che individua le fonti di convincimento e giustifica in modo logicamente plausibile la decisione, dando conto di come l'elasticità della clausola fosse in grado di incidere in concreto sulla autonoma disponibilità dei tempi di lavoro da parte del dipendente, comprimendo, in misura non poco significativa e come tale valutata anche ai fini della determinazione del quantum dell'integrazione , il discrimine, che non può che restare rigoroso, fra tempi di vita e tempi di lavoro, fra condizione di autonomia e situazione di soggezione ad un altrui potere di intervento e di organizzazione. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza delle ricorrenti e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4000,00 per compensi professionali e di Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.