È una pertinenza e non un edificio autonomo: l'ordine di demolizione è illegittimo

L'ordine di demolizione deciso dal comune è illegittimo perché, trattandosi di una pertinenza e non di un edificio autonomo, al più, ci sarà da pagare una sanzione amministrativa.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 4051 del Consiglio di Stato, depositata il 2 agosto 2013. Il caso. La questione posta all'attenzione della Sezione ha riguardato un edificio posto a Venezia, adibito al primo piano ad uso residenziale e al piano terra ad uso commerciale, e nel quale il figlio del proprietario esercita l’attività di commercio all’ingrosso e al dettaglio di componenti elettronici. A seguito di sopralluogo, effettuato dalla polizia locale, veniva accertata la realizzazione di un locale prefabbricato, in lamiera zincata e plastificata ad uso deposito, di dimensioni mt. 10,35 x 2,265 x 2 di altezza , in assenza di concessione edilizia. Il dirigente dell’ufficio edilizia privata del Comune di Venezia, ritenendo che l’opera fosse abusiva e in contrasto con le norme urbanistiche edilizie, con apposita ordinanza ne ordinava la demolizione, ai sensi dell’art. 92 l. r. n. 61/1985. Pertinenza o edificio autonomo? Il T.A.R. accoglieva il ricorso presentato dagli interessati ed annullava il provvedimento gravato, ritenendo che il manufatto andasse configurato come una pertinenza e che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 76 e 94 della l. r. n. 61/1985, le pertinenze, qualora realizzate abusivamente, andassero sanzionate pecuniariamente, in misura pari al doppio dell’aumento di valore conseguito dall’immobile principale. Il Consiglio di Stato ha condiviso la motivazione ed ha respinto, quindi, l'appello del Comune di Venezia, sulla base del fatto che la struttura in questione ha, infatti, tutti i requisiti propri delle pertinenze e, in particolare, l’opera è funzionalmente e strumentalmente al servizio dell’edificio principale come indicato dal Comune nella sua stessa ordinanza , non ha carattere autonomo ed ha una superficie e cubatura modesta 30 mq. e 54 mc. rispetto al manufatto principale, con un rapporto con esso ben al di sotto rispetto al terzo consentito, atteso che l’edificio principale nella sola parte aziendale ha una consistenza di metri cubi 500. Non si tratta di un’opera autonoma. In pratica, nel caso di specie, si è trattato con evidenza, non di un’opera autonoma, ma di una pertinenza dell’immobile già esistente, laddove si intendono per pertinenze, ai sensi dell’art. 817, comma primo, del codice civile, le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa . Nella sostanza, un modesto prefabbricato ad uso deposito, collocato in una proprietà privata e posto al servizio esclusivo della stessa, privo di autonomia sul piano immobiliare, perché destinato, così com’è, a determinare un qualcosa che si pone a servizio dell’immobile principale, non ha vita autonoma. Con la conseguenza che per la sua realizzazione, a tenore dell’art. 76 l. r. n. 61/1985, esso è soggetto a mera autorizzazione e, ai sensi dell’art. 94, a sanzione pecuniaria e non a demolizione , ove realizzato in difformità o assenza di titolo. Nel caso specifico, peraltro, il Tribunale penale di Venezia aveva assolto gli interessati dai reati contestati, poiché l’abuso loro addebitato non era previsto dalla legge come reato, ed aveva evidenziato anche che il manufatto de quo doveva considerarsi una pertinenza, e a nulla rileva peraltro che il rapporto di pertinenzialità sarebbe escluso, poiché il manufatto abusivo sarebbe posto a servizio di un immobile a destinazione commerciale, essendo stato realizzato proprio a supporto dell’attività commerciale. Ciò in quanto l’art. 76, comma 1, l. r. n. 65/1985 prescrive, senza distinzioni, che l’esecuzione degli interventi di trasformazione urbanistica e/o edilizia degli immobili è soggetta al rilascio di una autorizzazione gratuita per a le opere, costituenti pertinenze non autonomamente utilizzabili o impianti tecnologici per edifici già esistenti, la cui cubatura non superi comunque di un terzo di quella dell’edificio principale .

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 9 luglio – 2 agosto 2013, n. 4051 Presidente Volpe – Estensore Schilardi Fatto e diritto Il sig. N. S. è proprietario di un immobile, sito in C. – Venezia alla via L. n. 45, costituito da un edificio adibito al primo piano ad uso residenziale e al piano terra ad uso commerciale, quest’ultimo condotto in locazione dal figlio Gianluca che, a mezzo della società S. Commerciale s.r.l.”, esercita l’attività di commercio all’ingrosso e al dettaglio di componenti elettronici. In data 9 febbraio 2000 i vigili urbani della sezione di C. effettuavano un sopralluogo, all’esito del quale veniva accertato che il sig. Gianluca S. aveva fatto edificare un locale prefabbricato, in lamiera zincata e plastificata ad uso deposito, di dimensioni mt. 10,35 x 2,265 x 2 di altezza , in assenza di concessione edilizia. Il dirigente dell’ufficio edilizia privata del Comune di Venezia, ritenendo che l’opera fosse abusiva e in contrasto con le norme urbanistiche edilizie, con ordinanza n. 2000/3895/90 del 20.12.2000, notificata in data 17.1.2001, ordinava la demolizione del manufatto, ai sensi dell’art. 92 della legge regionale n. 61/1985. Il provvedimento veniva impugnato innanzi al T.A.R. per il Veneto dai sigg. N. e Gianluca S. quest’ultimo in proprio e quale rappresentante legale della società S. Commerciale s.r.l.” , che deducevano la violazione dell’art. 10 della legge n. 47/1985 e degli artt. 76 e 94 della legge regionale n. 61/1985, nonché eccesso di potere per difetto di presupposti. Il T.A.R., con sentenza resa in forma semplificata n. 1048 del 20.4.2001, accoglieva il ricorso ed annullava il provvedimento gravato, ritenendo che il manufatto andasse configurato come una pertinenza e che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 76 e 94 della legge regionale n. 61/1985, le pertinenze, qualora realizzate abusivamente, andassero sanzionate pecuniariamente, in misura pari al doppio dell’aumento di valore conseguito dall’immobile principale. Avverso la pronuncia ha proposto appello il Comune di Venezia. Si sono costituiti in giudizio i sigg. N. e Gianluca S. che hanno chiesto di rigettare l’appello perché infondato. All’udienza pubblica del 9 luglio 2013 la causa è stata assunta per la decisione. L’appello è infondato e va respinto Con il primo motivo di censura l’appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 76 e 94 della legge regionale n. 61/1985 e difetto di motivazione. L’appellante sostiene che l’opera in questione non possa essere qualificata quale pertinenza urbanistica. L’assunto non è condivisibile. La struttura ha, infatti, tutti i requisiti propri delle pertinenze e, in particolare, l’opera è funzionalmente e strumentalmente al servizio dell’edificio principale come indicato dal Comune nella sua stessa ordinanza , non ha carattere autonomo ed ha una superficie e cubatura modesta 30 mq. e 54 mc. rispetto al manufatto principale, con un rapporto con esso ben al di sotto rispetto al terzo consentito, atteso che l’edificio principale nella sola parte aziendale ha una consistenza di metri cubi 500. I suddetti elementi sono tutti evidenziati nel sopraluogo effettuato dai vigili urbani della sezione di C Nel caso di specie si tratta, pertanto, con evidenza, non di un’opera autonoma, ma di una pertinenza dell’immobile già esistente, laddove si intendono per pertinenze, ai sensi dell’art. 817, comma primo, del codice civile, le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”. Si è in presenza, in sostanza di un modesto prefabbricato ad uso deposito, collocato in una proprietà privata e posto al servizio esclusivo della stessa, privo di autonomia sul piano immobiliare, perché destinato, così com’è, a determinare un qualcosa che si pone a servizio dell’immobile principale. Tanto premesso, preso atto che il manufatto di cui trattasi ha natura pertinenziale, ne consegue che per la sua realizzazione, a tenore dell’art. 76 legge regionale n. 61/1985, esso è soggetto a mera autorizzazione e, ai sensi dell’art. 94, a sanzione pecuniaria e non a demolizione , ove realizzato in difformità o assenza di titolo. Giova soggiungere che il Tribunale penale di Venezia, con sentenza n. 1440/2002, ha assolto N. S. e Gianluca S. dai reati contestati, poiché l’abuso loro addebitato non è previsto dalla legge come reato, ed ha evidenziato che il manufatto de quo deve considerarsi una pertinenza”. Sotto altro profilo, il Comune appellante assume che nel caso di specie il rapporto di pertinenzialità sarebbe escluso, poiché il manufatto abusivo sarebbe posto a servizio di un immobile a destinazione commerciale, essendo stato realizzato proprio a supporto dell’attività commerciale esercitata dal sig. Gianluca S Anche tale eccezione risulta infondata, atteso che l’art. 76, comma primo, della legge regionale n. 65/1985 prescrive, senza distinzioni, che l’esecuzione degli interventi di trasformazione urbanistica e/o edilizia degli immobili è soggetta al rilascio di ”una autorizzazione gratuita per a le opere, costituenti pertinenze non autonomamente utilizzabili o impianti tecnologici per edifici già esistenti, la cui cubatura non superi comunque di un terzo di quella dell’edificio principale ”. Con il secondo motivo di censura l’appellante lamenta la violazione dell’art. 7 della legge n. 94/1982, che prevede che le opere costituenti pertinenze sono soggette ad autorizzazione gratuita purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti”. Il Comune di Venezia sostiene, al riguardo, che, anche se si volesse qualificare il manufatto come pertinenza, il regime favorevole di cui al citato art. 7 comma 2, non si potrebbe applicare, in quanto nel caso di specie sarebbe stato necessario ottenere una concessione edilizia e non una semplice autorizzazione gratuita , per il rispetto delle distanze con altri edifici e ciò sarebbe sufficiente a giustificare la legittimità dell’ordinanza di demolizione. L’assunto non è condivisibile, atteso che, come correttamente ritenuto dal T.A.R., nel caso di specie è applicabile, ratione materiae, la normativa regionale di settore e non quella statale, peraltro pregressa. La Corte Costituzionale, infatti, con sentenza n. 485 del 30 dicembre 1994, ha esaminato, dichiarandola manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 117 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, primo comma, lett. a , della legge regionale del Veneto 27 giugno 1985, n. 61, nella parte in cui assoggetta a mera autorizzazione gratuita le opere costituenti pertinenze non autonomamente utilizzabili, senza operare alcuna eccezione, anche nel caso limite in cui i manufatti siano vincolati. La Corte si è pronunciata, infatti, sul possibile contrasto tra la normativa regionale e quella statale, di cui al decreto legge 23 gennaio 1982 n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1982 n. 94, che all’art. 7, invece, sembrerebbe richiedere il rilascio della concessione allorché si tratti di manufatti in zona sottoposta a vincolo paesaggistico o di interesse storico ai sensi delle leggi n. 1089 e n. 1497 del 1939. Conclusivamente, l’appello è infondato e va respinto. Le spese del presente grado di giudizio vanno poste a carico del Comune di Venezia soccombente e si liquidano in complessivi E. 3.000,00 tremila/00 , da ripartirsi in misura eguale in favore degli appellati. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il Comune di Venezia al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in complessivi E. 3000,00 tremila/00 , da ripartirsi in misura eguale in favore degli appellati. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.