Non è punibile chi rende falsa testimonianza per sottrarsi all’incriminazione per calunnia

Il soggetto che abbia reso dichiarazioni autoaccusatorie, seppur false, in fase di indagine non e’ successivamente tenuto a modificarle, in sede di testimonianza in dibattimento, in considerazione delle implicazioni che queste abbiano comportato.

Con la sentenza n. 30830 del 18 luglio 2013, la Cassazione ha annullato senza rinvio una sentenza della Corte di Appello, con cui si condannava un uomo per falsa testimonianza, autocalunnia e calunnia in danno di due Carabinieri. Un processo per spaccio all’origine di tutto. La vicenda in oggetto ha tratto le mosse da indagini e da un successivo procedimento per spaccio ai danni di un amico. Il protagonista della pronuncia annullata era stato ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 372, 369 e 368 c.p., per avere reso falsa testimonianza dinnanzi al Tribunale in un processo per spaccio, autoaccusandosi della detenzione della sostanza stupefacente oggetto del giudizio ed escludendo ogni responsabilità dell’amico così facendo, attraverso la falsa testimonianza, egli oltre ad incolpare se stesso di un reato commesso da altri, altresì, accusava i Carabinieri che avevano redatto i verbali di arresto di falso ideologico in atto pubblico e di calunnia. Plurime violazione dei Giudici di merito. La difesa dell’imputato ricorreva per cassazione, proponendo ben quattro motivi di ricorso. Con un primo motivo la stessa lamentava l’inosservanza, l’erronea applicazione della legge penale, nonché il vizio di motivazione, sia in considerazione dell’inutilizzabilità ai fini dei tre reati contestati delle dichiarazioni rese in sede dibattimentale, conformi a quelle già rese alla P.G. in sede di indagini, sia perché, comunque, il prevenuto avrebbe dovuto essere assolto dai delitti di autocalunnia e falsa testimonianza per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se medesimo da un grave ed inevitabile nocumento nella libertà ed onore. Con gli altri motivi, inoltre, si censurava - carenza motivazionale circa l’applicabilità della scriminante di cui all’art. 384 comma 2 c.p. - violazione di legge in relazione al comma 1 dello stesso art. 384 c.p., essendo emerso con evidenza che l’imputato aveva commesso mendacio al fine di alleggerire la posizione del fratello, correo nella detenzione ai fini di spaccio - difetto di motivazione in punto responsabilità per calunnia, laddove appariva con lapalissiana chiarezza l’assenza dell’elemento soggettivo doloso. Nessuna responsabilità. Come anticipato, la VI Sezione Penale della Suprema Corte, facendo corretta applicazione delle norme di diritto, ha ritenuto fondato il gravame proposto, basandosi sul principio per cui nemo tenetur se detegere . Nello specifico, allorché il ricorrente ebbe a rendere dichiarazioni ai Carabinieri con le quali si autoaccusava della detenzione dello stupefacente, valutando le implicazioni che ne conseguivano, sia per se stesso, sia per i terzi Pubblici Ufficiali, non poteva, poi, essere tenuto a modificare, in sede dibattimentale, quanto affermato, seppur in modo in veritiero. Infatti, ai sensi dell’articolo 384 c.p., non è punibile per i delitti di cui agli artt. 372 e 369 c.p. chi renda una falsa testimonianza al fine di sottrarsi al pericolo di un’incriminazione per la calunnia o l’autocalunnia commessa in precedenza. Quanto alla calunnia, inoltre, gli Ermellini la hanno ritenuta un post factum irrilevante rispetto al reato già commesso. Alla luce di queste considerazioni, quindi, la sentenza di appello è stata annullata senza rinvio, per essere l’imputato non punibile ai sensi dell’art. 384 c.p. e perché il fatto non costituisce reato per difetto dell’elemento soggettivo.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 - 18 luglio 2013, n. 30830 Presidente Agrò – Relatore Lanza Ritenuto in fatto 1. V.M. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 18 novembre 2011 della Corte di appello di Bari che ha confermato la sentenza 10 novembre 2009 del Tribunale monocratico di Foggia, di condanna per i reati di falsa testimonianza, autocalunnia e calunnia in danno dei Carabinieri M. e D.G 1.1. V.M. , è accusato, nell'ordine A del delitto di cui all'art. 372 cod. pen., perché deponendo come testimone dinanzi al Giudice Monocratico di Foggia all'udienza del 22 giugno 2007, nel processo penale a carico di S.L. per il reato di detenzione ai fini di spaccio, di Hashish, rendeva false dichiarazioni, sui fatti su cui veniva sentito e rilevanti ai fini della decisione, autoaccusandosi della detenzione della sostanza della sostanza stupefacente oggetto del giudizio ed escludendo — in contrasto con le altre risultanze degli atti di indagine e dell'istruttoria dibattimentale — ogni responsabilità nella detenzione medesima da parte dell'imputato S. e dei correi loro non sapevano che io avevo questa sostanza addosso ad un tratto sono arrivati i Carabinieri e allora sono scappato, scappando ho buttato qie-ba, dentro stava questa sostanza . loro sono rimasti là perché non sapevano, neanche che ce l'avevo addosso B del delitto p. e p. dagli artt, 61 n, 2 e 369 cod. pen., perché rendendo all'Autorità Giudiziaria le false dichiarazioni indicate nel capo che precede ed in particolare confessando di essere il detentore di un rilevante quantitativo di hashish, da cui erano ricavatali 35 dosi medie giornaliere e 59 dosi medie droganti, incolpava se stesso di un reato detenzione di a fini di spaccio di sostanza stupefacente commesso da altri ciò al fine di procurare a S.L. imputato nel processo in cui le dichiarazioni sono state rese ed ai correi G.S. e V.P. la impunità per il reato di cui all'art. 73 DPR 309/90 di cui erano accusati C del delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 2 e 368 cp perché, rendendo all'Autorità Giudiziaria le false dichiarazioni indicate nel capo a , in contrasto con le risultanze degli atti di polizia giudiziaria, ed in particolare dei verbali di arresto e di sequestrò, incolpava i Carabinieri V. Brig. M.S. e App. D.G.P. , che avevano redatto quei verbali, pur sapendoli innocenti, dei delitti di falso ideologico in atto pubblico e di calunnia ciò al fine di procurare a S.L. imputato nel processo in cui le dichiarazioni sono state rese ed ai correi G.S. e V.P. la impunità per la detenzione della sostanza stupefacente di cui erano accusati, - in omissis -. 2. Il giudice monocratico del Tribunale di Foggia, con sentenza 10 novembre 2009 ha dichiarato il V. colpevole dei reati sopra indicati ed in concorso di circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulle contestate aggravanti, lo ha condannato alla pena di anni uno mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile da liquidarsi in separata sede. 3. La Corte di appello di Bari, con sentenza 18 ottobre 2011 ha confermato la decisione del Tribunale di Foggia, ritenendo pienamente utilizzabili le dichiarazioni rese dal V. davanti al giudice monocratico di Foggia e riguardanti, non la responsabilità circa il fatto pregresso, attinente la detenzione di sostanza stupefacente a fini di spaccio, ascritta a S.L. , bensì i reati di calunnia, autocalunnia, falso ideologico e falsa testimonianza. In particolare la corte distrettuale ha spiegato che il V. ha reso le dichiarazioni auto-accusatorie, inerenti l'assunta responsabilità della detenzione dello stupefacente rinvenuto dai militi nel OMISSIS , nell'ambito del processo a carico di S.L. , persona che non è a lui legata da vincolo di parentela ma solo amicale e, certamente senza esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore . Considerato in diritto 1. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo che erano inutilizzabili ai fini della contestazione dei tre reati di falsa testimonianza, calunnia ed autocalunnia le dichiarazioni rese dal ricorrente all'udienza del 22 giugno 2007, dichiarazioni conformi a quelle già rese in sede di indagini di Polizia giudiziaria. In ogni caso l'imputato doveva essere assolto dalle accuse di autocalunnia capo B e falsa testimonianza capo A per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se medesimo da un grave ed inevitabile nocumento nelle libertà e nell'onore si citano in proposito Cass. pen. sez. 6, 7541/98 R.v. e 3285/97. Con un secondo motivo si lamenta carenza di motivazione sulla dedotta applicabilità del disposto dell'art. 384 comma 2 cod. pen. si richiama sul punto la sentenza 4987/2010 di questa Corte. Con un terzo motivo si prospetta ancora violazione di legge con riferimento al primo comma dell'art. 384 cod. pen. essendo evidente che l'imputato si è determinato al mendacio per alleggerire la posizione del fratello V.P. , correo di S.L. . Con un quarto motivo si evidenzia difetto di motivazione in punto di affermazione di responsabilità ex art. 368 cod. pen. in danno dei Carabinieri per palese difetto del dolo della falsa accusa. Con un quinto motivo si sostiene la carenza di motivazione sulla tesi difensiva dello scambio di persone prospettata con il terzo motivo d'appello e liquidata con inadeguata motivazione. 2. Ritiene la Corte la fondatezza del gravame, nel punto in cui è fatto riferimento al canone di valutazione espresso dalla regola del nemo tenetur se detegere . Invero, nella vicenda, una volta che il ricorrente ebbe a rendere ai Carabinieri le dichiarazioni autoaccusatorie, con le implicazioni che queste determinavano, sia per il dichiarante che per i terzi pubblici ufficiali, il V. non era tenuto a modificare, successivamente, in sede di testimonianza avanti al Tribunale monocratico di Foggia, all'udienza del 22 giugno 2007, le non veritiere ricostruzioni del fatto, quali originariamente riferite agli inquirenti. Va in proposito ribadito che, ai sensi dell'art. 384 c.p., non è punibile per il reato di cui all'art. 372 e 369 cod. pen., chi renda falsa testimonianza per sottrarsi al pericolo di essere incriminato per il reato di calunnia o autocalunnia precedentemente commesso Cass. Pen. sezione. VI, udienza pubblica 11 dicembre 2012 in ricorso Tatananni , laddove, per quanto riguarda la calunnia, la condotta oggi addebitata è un post factum irrilevante, rispetto al reato, in tesi, già commesso. La gravata sentenza va quindi annullata, senza rinvio per essere l'imputato non punibile a sensi dell'art. 384 cod. pen., perché il fatto non costituisce reato per difetto dell'elemento soggettivo. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.