È configurabile il concorso tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di violenza sessuale quando la condotta integrante il reato di cui all’art. 572 c.p. non si esaurisca negli episodi di violenza sessuale, ma si inserisca in una serie di atti vessatori e percosse tipici della condotta dei maltrattamenti. Il delitto di maltrattamenti è invece assorbito da quello di violenza sessuale allorquando vi sia piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa.
Lo ha stabilito la Terza sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29742, depositata l’11 luglio 2013. Il caso . Un uomo viene condannato in primo grado, con conferma della sentenza nel giudizio d’appello per i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, violenza privata, molestie e tentativo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, perpetrati ai danni della moglie. L’imputato propone ricorso per cassazione solo per i primi tre reati formandosi così il giudicato per i reati di cui agli artt. 660 e 56 e 393 c.p. deducendo la mancanza di motivazione in ordine al delitto di maltrattamenti, l’assenza di logicità della motivazione con riferimento alla fattispecie di violenza sessuale, la mancanza e manifesta illogicità della motivazione per quanto riguarda il reato di violenza privata e il mancato riconoscimento di un concorso apparente di norme tra il delitto di maltrattamenti e quello di violenza sessuale. La Suprema Corte ha accolto i motivi di ricorso inerenti ai delitti di maltrattamenti, violenza sessuale e di violenza privata, annullando con rinvio la sentenza impugnata, rigettando solo quello relativo all’assorbimento del delitto di cui all’art. 572 c.p. in quello descritto dall’art. 609- bis c.p Sui maltrattamenti in famiglia manca la motivazione dello stato di prostrazione psicologica della vittima. I giudici di legittimità richiamano la copiosa giurisprudenza in materia per la quale nella nozione di maltrattamenti rientrano i fatti lesivi della integrità fisica e del patrimonio morale del soggetto passivo, che rendano abitualmente dolorose le relazioni familiari, e manifestantisi mediante le sofferenze morali che determinano uno stato di avvilimento o con atti o parole che offendono il decoro e la dignità della persona, ovvero con violenze capaci di produrre sensazioni dolorose ancorché tali da non lasciare traccia. Non è necessario, quindi, per la configurabilità del in esame un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto, perché il reato è caratterizzato da un'unità significante costituita da una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo. Per la configurabilità del reato non è richiesta una totale soggezione della vittima all'autore in quanto la norma, nel reprimere l'abituale attentato alla dignità e al decoro della persona, tutela la normale tollerabilità della convivenza. Tanto che nello schema del delitto di maltrattamenti in famiglia non rientrano soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce e le privazioni e le umiliazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali Cass. n. 25183/2012 . Orbene, mentre l’imputato nei motivi di appello contestava che fosse stato provato nel dibattimento di primo grado lo stato di prostrazione psicologica della vittima dovendosi valutare l’apparato probatorio in modo diverso a quanto compiuto dal giudice di prime cure , la sentenza di secondo grado si limitava a fornire una motivazione apparente, limitandosi a riferirsi ad un’asserita unitarietà delle condotte vessatorie. In definitiva, mancando l’esposizione delle ragioni a fondamento della conclusione adottata, non risulta essere stata fornita una specifica risposta al motivo di appello proposto. Proprio in tema di maltrattamenti in famiglia, la Suprema Corte, in altro precedente arresto, ha affermato il delitto contestato presuppone l'accertamento di una condotta abituale, volta a creare una condizione di soggezione ed asservimento della persona di famiglia, finalità che deve essere consapevolmente avuta di mira dall'autore nello svolgimento di tale pratica sopraffattrice Cass. n. 15680/2012 . Anche in quel caso, il Collegio ha annullato con rinvio per difetto di motivazione la sentenza di condanna emessa nei confronti del marito che aveva aggredito in tre circostanze la moglie. A detta della Corte, i giudici del merito avevano omesso di valutare se tale condotta fosse stata dettata dalla volontà, seppur impropria, di scuotere la donna dalla situazione di torpore e dalla mancanza di iniziativa ed interesse nella quale risultava essere stata relegata per effetto di una depressione post parto, o se fosse stata determinata dalla volontà di indurla in una situazione di costante soggezione . Sulla violenza sessuale occorre una rivalutazione della credibilità della persona offesa . Gli ermellini accolgono pure il motivo di ricorso ove l’imputato lamentava la mancata logicità della motivazione in ordine alla sussistenza della prova del delitto di violenza sessuale, ossia la testimonianza della persona offesa. In particolare, per l’imputato una circostanza appariva inficiare la credibilità della vittima nell’immediatezza della violenza sessuale quest’ultima sporge una prima denuncia nelle quale non faceva alcun riferimento al delitto di cui all’art. 609- bis c.p. ma ad altri reati . Solo dopo due mesi la moglie, con la presentazione di una seconda querela, denunciava il marito per violenza sessuale. Se in dibattimento la persona offesa aveva affermato che il suo intento perseguito con la prima denuncia era quello di liberarsi dal marito e soprattutto di non subire più violenze, appariva poco credibile che il delitto ex art. 609- bis fosse stato denunciato solo due mesi dopo e con un secondo atto querelatorio. La Corte di Appello riteneva pienamente comprensibile e giustificabile tale ritardo perché l’obiettivo della donna era quello di liberarsi dell’oppressiva e ormai intollerabile catena di persecuzioni del marito e di porre immediatamente fine alla cessazione della convivenza con quest’ultimo, senza che da tale fatto possano trarsi conseguenze circa la valutazione di attendibilità intrinseca del propalante . Di diverso avviso è la Suprema Corte che ritiene del tutto illogica una simile affermazione in quanto se il fine della donna era quello di liberarsi dallo stillicidio vessatorio e persecutorio del marito, non si comprende come la moglie abbia omesso di denunciare il più grave atto di violenza subito. L’omessa indicazione di una risposta logicamente apprezzabile rende irrisolta la questione e impone ai giudici di legittimità una nuova valutazione complessiva della credibilità della persona offesa in ordine all’ascritto delitto di violenza sessuale. All’uopo, il Giudice del rinvio dovrà tenere conto che, come affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, nell'ambito dell'accertamento di reati sessuali, la deposizione della persona offesa, seppure non equiparabile a quella del testimone estraneo, può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il più delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi Cass. n. 44644/2011 . Anche sulla violenza privata manca la motivazione . La Suprema Corte accoglie anche il motivo di ricorso sulla mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del delitto di violenza privata. Infatti, mentre l’imputato, in sede di motivi di appello, avevo sostenuto, alla stessa stregua della persona offesa, che il suo intento era quello di costringere la moglie, alla guida della sua autovettura, a fermarsi, tale arresto non era avvenuto posto che la donna, proprio per evitare di fermarsi, aveva cambiato direzione di percorso e imboccato una strada a senso unico. Nella prospettiva difensiva, mancando la corrispondenza tra quanto realizzato dal soggetto agente e quanto realizzato dalla persona offesa, doveva escludersi la sussistenza del reato. Per i giudici di legittimità, avendo la Corte d’Appello eluso tale ultimo aspetto, prodromico rispetto all’affermazione di responsabilità per il delitto di violenza privata, è necessario annullare con rinvio la sentenza per un nuovo esame in ordine alla sussistenza o meno degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice descritta dall’art. 610 c.p La sentenza, in considerazione della pretesa mancata verificazione dell’evento stesso, fornisce un assist al giudice del rinvio in ordine alla riqualificazione del fatto nella forma tentata invece che consumata di violenza privata, ricordando la giurisprudenza di legittimità secondo cui è configurabile il delitto tentato e non quello consumato di violenza privata artt. 56 e 610 c.p. allorché, pur sussistendo l'idoneità dell'azione a limitare la libertà del soggetto passivo, quest'ultimo non adotti la condotta che la violenza e la minaccia esercitate nei suoi confronti erano preordinate ad ottenere e, pertanto, l'evento non si verifichi Cass. pen., sez. V, 4.3.2005, n. 15989, in Cass. pen. 2006, 11, 3682 in dottrina, Mazzi, Codice penale , a cura di Tullio Padovani, sub art. 610, Giuffrè, 2005, 2732, secondo cui si ha tentativo di reato di violenza privata quando non sia stato raggiunto l'effetto voluto per fatto indipendente dalla volontà del colpevole . Qualora, in sede di rinvio, la Corte d’Appello, ritenesse sussistente il delitto di maltrattamenti si dovrà porre l’ulteriore problema se ritenere assorbito in quest’ultimo la violenza privata. Infatti, l’orientamento più recente della Cassazione ha ricondotto gli atti di violenza privata negli episodi vessatori che rimangono assorbiti nel reato di maltrattamenti, laddove vi sia una coincidenza temporale dei due delitti contestati Cass. n. 22790/2010 . Ad esempio, il marito che minaccia la moglie per costringerla a non chiedere la separazione risponde del solo reato di maltrattamenti e non anche di violenza privata. Tale condotta, infatti, va contestualizzata nel regime di vita vessatorio subito dalla consorte e, quindi, resta assorbita nel reato di cui all’art. 572 c.p. e non costituisce l’autonomo delitto ex art. 610 c.p. Cass. n. 37796/2010 . L’orientamento che sembra escludere il concorso apparente di norme cfr., Cass. n. 22769/2010, perché si tratta di delitti posti a tutela di beni giuridici diversi , più che porsi in contrasto con quello appena richiamato, specifica che in astratto, non si può escludere che i reati di molestia alle persone e di violenza privata possano concorrere con quello di cui all'art. 572 c.p., se si tratta di condotte che non esauriscano il loro disvalore sociale nella violazione dei vincoli di solidarietà familiare e siano capaci di esprimere una direzione finalistica diversa ed ulteriore rispetto a quella già perseguita con la consumazione del reato di maltrattamenti Trib. Rovereto, 26.6.2001, in Giur. merito , 2002, 788 che, in concreto, ha escluso il concorso tra questi reati, poiché essi erano stati tutti commessi, anche in questo caso, al fine di convincere il coniuge a riprendere la convivenza interrotta . In definitiva, il reato di violenza può concorrere materialmente con il reato di maltrattamenti in famiglia quando le violenze e le minacce del soggetto attivo siano adoperate, oltre che con la coscienza e volontà di sottoporre la vittima a sofferenze fisiche e morali in modo continuativo e abituale, anche con l'intento di costringerlo ad attuare un comportamento che altrimenti non avrebbe volontariamente posto in essere Cass. pen. n. 8193/1999, in Cass. pen ., 2000, 2276 nel caso di specie, il marito, oltre che sottoporre la moglie, continuativamente e abitualmente, a ingiurie, minacce e percosse, l'aveva anche costretta a sottoscrivere numerosi effetti cambiari . Allo stesso modo, il reato di maltrattamenti in famiglia, previsto dall'art. 572 c.p., può concorrere materialmente con il reato di cui all'art. 610 stesso codice, qualora le violenze e le minacce del soggetto attivo siano adoperate, oltre che con la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a sofferenze fisiche e morali in modo continuo e abituale, anche - come nel caso di specie - con l'intento criminoso - di obbligare la moglie ad abbandonare il domicilio coniugale e quindi con violazione di una obiettività giuridica libertà psichica e morale di decisione tutelata dall'art. 610 c.p. diversa da quella tutelata dall'art. 572 predetto, che è l'assistenza familiare in generale Cass. pen., sez. VI, 2.11.1990, B. . Esclusione del concorso apparente di norme tra il delitto di maltrattamenti e quello di violenza sessuale . La sentenza n. 29742/13 rigetta solo il motivo inerente all’applicazione del principio di specialità e non di assorbimento , posto che la giurisprudenza di legittimità nella prospettiva difensiva considera la fattispecie di violenza sessuale speciale rispetto a quella dei maltrattamenti in famiglia. In effetti l’orientamento di legittimità, meno recente, riteneva che il delitto di violenza sessuale continuata non concorre formalmente con il delitto di maltrattamenti, atteso che anch'esso è caratterizzato da un dolo unitario e programmatico, né il concorso tra i due reati può essere giustificato dalla loro diversa obiettività giuridica, trattandosi di criterio estraneo alla configurazione codicistica del principio di specialità Cass. n. 3998/2000, in Cass. pen . 2002, 2787 Id., Cass. n. 35849/2001, per la quale tra il delitto di violenza sessuale continuata commesso da un genitore nei confronti di una figlia minore e quello di maltrattamenti in famiglia non è configurabile concorso formale, ostandovi il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., in forza del quale deve ritenersi che il secondo di detti reati sia assorbito nel primo. Invece, la Suprema Corte fa proprio l’indirizzo più recente della sua giurisprudenza secondo il quale il concorso formale di nome tra i due delitti va risolto facendo riferimento non al criterio di specialità, ma a quello dell’assorbimento. Più precisamente, il delitto di maltrattamenti è assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa, mentre in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza, vi è concorso tra il reato di violenza sessuale continuata e quello di maltrattamenti Cass. n. 45459/2008 . Invece, laddove, la condotta integrante il reato di cui all'art. 572 c.p. non si esaurisca negli episodi di violenza sessuale, ma s'inserisca in una serie d'atti vessatori e percosse tipici della condotta di maltrattamenti, è configurabile il concorso formale tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di violenza sessuale Cass. n. 46375/2008 . Per concludere, occorre ricordare che, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio non potrà fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti dalla Cassazione illogici o carenti, però ha libertà di pervenire allo stesso risultato decisorio della sentenza annullata, basandosi su argomentazioni diverse da quelle censurate o integrando quelle già svolte in ogni caso deve uniformarsi alla sentenza della Suprema Corte relativamente ad ogni questione di diritto con essa decisa Cass. n. 13349/2012 .
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 giugno - 11 luglio 2013, n. 29742 Presidente Squassoni Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. M.L. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Bologna in data 22/12/2011 di conferma della sentenza del Tribunale di Ravenna di condanna per i reati di cui agli artt. 572, 609 bis, 610, 660, 56 e 393 c.p 2. Con un primo motivo lamenta la mancanza della motivazione sotto il profilo della sussistenza del fatto relativamente al reato di maltrattamenti. Premette che, per ritenere integrato il delitto di maltrattamenti in famiglia, alle condotte di maltrattamento deve conseguire l'annullamento della vittima o quanto meno la sua sopraffazione da parte dell'agente e la sua prostrazione. In sede di appello il ricorrente aveva sollecitato il giudice a pronunciarsi sul mancato prodursi nel caso concreto di uno stato di prostrazione psicologica nella persona offesa ciononostante, nella sentenza, nessuna motivazione è stata riservata alla verificazione di tale stato, essendosi la Corte soffermata unicamente sulle connotazioni della condotta tipica di abitualità e di consistenza dei maltrattamenti. 3. Con un secondo motivo lamenta il mancato riconoscimento di un concorso apparente tra il delitto di maltrattamenti e quello di violenza sessuale. Deduce che con l'appello si era sostenuta la tesi del concorso apparente di norme dovendosi dare applicazione non al criterio dell'assorbimento, sul quale si è invece soffermata la Corte, ma al criterio della specialità e sulla base di quest'ultimo, nella specie, sarebbe appunto rinvenibile tale concorso apparente, posto che la giurisprudenza di legittimità considera la fattispecie di violenza sessuale speciale rispetto a quella di maltrattamenti in famiglia, tanto più che nella specie la Corte avrebbe accolto la tesi accusatola secondo cui gli episodi di maltrattamento al cui ricorrere deve ritenersi superata la soglia di abitualità della condotta integrano il fatto concreto di violenza sessuale. 4. Con un terzo motivo lamenta la mancanza di logicità della motivazione sotto il profilo della sussistenza del fatto relativamente al reato di violenza sessuale. Deduce che i giudici non hanno considerato che nella specie la persona offesa, le cui dichiarazioni sono state determinanti per ritenere integrata la prova, aveva un secondo fine, ovvero quello di liberarsi dell'imputato e di metterlo fuori di casa inoltre la Corte non ha motivato sulla mancata conferma da parte del maresciallo Z. delle frasi asseritamente pronunciate, secondo la persona offesa, la mattina del OMISSIS , dall'imputato. Né la Corte si è adeguatamente soffermata sui tempi sospetti che hanno scandito la denuncia della violenza, posto che, a fronte di fatto commesso il OMISSIS , la denuncia è intervenuta soltanto il OMISSIS il ragionamento svolto sul punto dalla Corte sarebbe illogico, avendo la stessa ritenuto che l'originaria denuncia - querela del OMISSIS , riguardante unicamente molestie subite, sia stata determinata dal principale obiettivo di liberarsi della convivenza con l'uomo, non essendo dunque incomprensibile la mancata denuncia in tale sede della violenza sessuale. Né la donna, recatasi dal medico la mattina successiva la presunta violenza per disturbi di stomaco, aveva riferito a quest'ultimo alcunché in ordine alle ragioni degli stessi anche su questo peraltro la Corte, affermando che tale comportamento sarebbe comprensibile per ragioni di riserbo, avrebbe fornito una motivazione illogica considerato che si trattava di riferire i fatti non alla generalità dei conoscenti ma al medico. 5. Con un quarto motivo lamenta la mancanza di motivazione sotto il profilo del negato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 609 bis comma 3 c.p. non avendo la corte motivato in alcun modo circa il grado di compromissione della libertà morale e sessuale della vittima attuata attraverso la condotta illecita. 6. Con un quinto motivo lamenta la mancanza e manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo del dolo con riferimento all'articolo 610 c.p. La corte motivando in ordine al fatto che anche la condotta di avere costretto la donna a fermarsi e a sopportare la propria presenza e il proprio sgradito eloquio integra il reato di violenza privata, non ha affermato alcunché sotto il profilo dell'elemento psicologico del reato oltre a ciò, lamenta che nessuna coercizione in tal senso si sia mai verificata posto che la donna non si è fermata né ha sopportato tale presenza, ma ha imboccato una strada contromano. 7. Ha presentato memoria in data 12 dicembre 2012 la parte civile chiedendo il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 8. Va anzitutto premesso che il presente ricorso coinvolge unicamente i reati di cui ai capi d'imputazione sub 1, 2, e 3, sicché le statuizioni riferite ai capi 6 e 7, rispettivamente riguardanti i reati di cui agli artt. 660 c.p. e, a seguito della riqualificazione operata in primo grado, 56 e 393 c.p. e non toccati in alcun modo dalle doglianze del ricorrente, devono ritenersi, quanto al merito della responsabilità, ormai irrevocabili cfr., Sez U., n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239 . Ciò posto, anzitutto il primo motivo di ricorso è fondato. Va ricordato che il reato di maltrattamenti in famiglia è necessariamente caratterizzato dal fatto di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, in tal modo instaurandosi un sistema di sopraffazioni e di vessazioni psicofisiche, del tutto incompatibili con normali condizioni di vita, che avviliscono la personalità della persona offesa cfr. Sez. 6, n. 27048 del 18/03/2008, D.S., Rv. 240879 Sez. 6, n, 39927 del 22/09/2005, Agugliaro, Rv. 233478 Sez. 6, n. 7192 del 04/12/2003, Camiscia, Rv. 228461 . Nella specie, a fronte del motivo di appello con il quale, mediante il riferimento a specifici esiti probatori tra cui le dichiarazioni della stessa persona offesa, si contestava il requisito dello stato di prostrazione psicologica della donna, al contrario ritenuto dal giudice di primo grado, in tal modo, evidentemente, sollecitandosi una risposta del giudice dell'impugnazione in ordine al profilo, appena sopra richiamato, della necessaria componente vessatoria produttiva di sofferenze psicofisiche, la Corte territoriale si è limitata ad argomentare che, considerate le condotte del M. nella loro unitarietà, è indubitabile, e neppure seriamente contestato dalla difesa dell'imputato, che esse integrino appieno i presupposti del reato di maltrattamenti i famiglia in tal modo, tuttavia, mancando l'esposizione delle ragioni a fondamento della conclusione adottata, unicamente ricollegate alla unitarietà delle condotte, non risulta essere stata fornita una specifica risposta al motivo di appello proposto, finendo per risolversi, l'argomentazione della Corte bolognese, in una motivazione apparente. 9. Anche il terzo motivo di ricorso, incentrato sulla valutazione dei giudici di appello in ordine all'incidenza della presentazione della denuncia - querela per il reato di violenza sessuale a circa due mesi dal fatto sulla credibilità della persona offesa, è fondato. Con l'atto di appello si era infatti lamentato che, se come affermato dalla stessa persona offesa, l'intento che ella voleva perseguire con la prima denuncia sporta era quello di liberarvi del marito e soprattutto di non subire più violenze, non si comprendeva come mai in essa non si fosse per nulla accennato al fatto di violenza sessuale accaduto il OMISSIS , essendo lo stesso stato riferito, per la prima volta, solo con la querela sporta il OMISSIS . Sul punto la Corte bolognese, a pag. 7 della sentenza impugnata, dando implicitamente per assodato un tale ritardo, ha ritenuto pienamente comprensibile e giustificabile che la donna nell'immediatezza del fatto ed avendo come principale obiettivo quello di liberarsi dell'oppressiva e ormai intollerabile sequela di persecuzioni del M. , non abbia immediatamente denunciato la violenza subita ma che la sua azione sia stata tesa a liberarsi della convivenza con lo stesso, senza che da tale fatto possano trarsi delle conseguenze negative circa la valutazione d'attendibilità intrinseca del propalante . Ora, una tale affermazione appare del tutto illogica, posto che, se il fine della donna era la propria liberazione dalla sequela di persecuzioni, non si comprende, esattamente in senso opposto a quanto argomentato dai giudici di appello, perché la stessa abbia omesso di denunciare un fatto sì rilevante come quello della violenza sessuale subita, procedendo a farlo solo circa due mesi dopo la omessa esposizione di una risposta logicamente apprezzabile rende dunque irrisolta la questione posta con l'atto di appello e necessaria, anche alla luce della ulteriore mancata risposta della Corte circa la asserita mancata conferma, da parte del maresciallo Z. , delle frasi pronunciate, secondo la persona offesa, la mattina del OMISSIS , dall'imputato con riguardo all'episodio di violenza, una nuova complessiva rivalutazione della credibilità della persona offesa con riguardo al reato in questione. Va aggiunto che il motivo in oggetto, comportando l'annullamento della sentenza e la necessità di nuova deliberazione con riguardo al reato di violenza sessuale, risulta assorbente di quanto lamentato con il quarto motivo relativamente al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 609, comma 3, c.p.p 10. È fondato anche il quinto motivo di ricorso, indirizzato a lamentare la mancanza di motivazione della sentenza con riguardo alla integrazione del reato di violenza privata. Con l'atto di appello, in effetti, era stato specificamente posto in rilievo che, mentre, come riconosciuto dalla stessa persona offesa, l'intento del marito era stato quello di costringere la stessa a fermarsi, tale arresto non era avvenuto posto che la donna, proprio per evitare di fermarsi, aveva cambiato direzione di percorso ed imboccato una strada a senso unico. Di qui, secondo l'assunto dell'appellante, la mancata corrispondenza tra quanto voluto dal soggetto agente e quanto realizzato in fatto dalla persona offesa con conseguente mancata integrazione del reato. Sennonché la Corte territoriale, direttamente affermando che anche la condotta di costringere altri a fermarsi Integra il contestato reato di violenza privata, ha eluso l'aspetto sollevato dall'appellante, ovvero appunto la corrispondenza tra quanto voluto dal soggetto agente e quanto realizzato dalla persona offesa, la cui valutazione si poneva logicamente in senso preliminare rispetto alla affermazione resa in diritto, tanto più a fronte della pretesa mancata verificazione dell'evento stesso. Va anche ricordato, a tal proposito, che è configurabile il delitto tentato e non quello consumato di violenza privata allorché, pur sussistendo l'idoneità dell'azione a limitare la libertà del soggetto passivo, quest'ultimo non adotti la condotta che la violenza e la minaccia esercitate nei suoi confronti erano preordinate ad ottenere e, pertanto, l'evento non si verifichi Sez. 5, n. 15989 del 04/03/2005, Capria, Rv, 232132 . 11. È invece infondato il secondo motivo di ricorso. Invero, secondo quanto costantemente affermato da questa Corte, è configurabile il concorso tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di violenza sessuale quando la condotta integrante il reato di cui all'art. 572 c.p. non si esaurisca negli episodi di violenza sessuale, ma s'inserisca in una serie di atti vessatori e percosse tipici della condotta di maltrattamenti tra le tante, Sez. 1, n. 13349 del 17/05/2012, D., Rv. 255051 Sez. 3, n. 46375 del 12/11/2008, C, Rv. 241798 Sez. 3, n. 26165 del 15/04/2008, R., Rv. 240542 e, del resto, le rispettive fattispecie incriminatrici sono poste a tutela di beni giuridici diversi Sez. 3, n. 35910 del 25/06/2008, Ouertatani, Rv. 241091 . Si è aggiunto che il delitto di maltrattamenti è invece assorbito da quello di violenza sessuale allorquando vi sia piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa Sez. 3, n. 45459 del 22/10/2008, P.G. in proc. D.G. ed altri, Rv. 241670 . Nella specie la stessa contestazione rubricata al capo 1 rende evidente che i maltrattamenti di specie non si sono certo esauriti nella condotta di violenza sessuale ma sono stati rappresentati da una serie di vari comportamenti, tra cui aggressioni verbali, minacce di morte e aggressioni fisiche, con conseguente possibilità di concorso, ancor prima materiale che formale, tra i due reati in contestazione. 12. La sentenza impugnata va, in conclusione, annullata con rinvio per nuova deliberazione di altra sezione della Corte d'Appello di Bologna che, con riguardo ai reati di cui agli artt. 572, 609 bis e 610 c.p., tenga conto dei rilievi di cui sopra. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Bologna.