In tema di bancarotta fraudolenta documentale, il liquidatore è penalmente responsabile solo se l’irregolare tenuta della contabilità sia tale da non permettere la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari societari, e qualora abbia agito con dolo intenzionale.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 23220, depositata il 4 giugno 2014. Il caso. La Corte d’appello di Milano, confermando la decisione di primo grado del Tribunale di Pavia, ha ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta documentale il liquidatore della società dichiarata fallita nel 2007. La parte soccombente ha fatto ricorso in Cassazione, lamentando l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 216 l.f. bancarotta fraudolenta in quanto la prova dell’elemento psicologico del delitto contestato non può derivare dalla mera constatazione della mancanza o irregolarità delle scritture. Inoltre, a suo giudizio, la ricostruzione della vicenda da parte dei giudici di merito risulterebbe fondata su una serie di forzature, che non tengono conto dell’affidamento dell’imputato a terze persone per la regolare tenuta della contabilità. L’intenzione gioca un ruolo fondamentale. La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso, prendendo atto della carenza di motivazione della sentenza impugnata rispetto all’elemento psicologico. Nell’analisi dei giudici di secondo grado non si riscontra nessuna indicazione circa la prova del dolo specifico, essendosi questi limitati ad evidenziare che l’imputato fu consapevole delle conseguenze che la sua condotta avrebbe avuto rispetto alla possibilità di ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della società nel tempo in cui ne era stato liquidatore. La Suprema Corte ha quindi ribadito che, per la concretizzazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale, sia richiesto, non tanto il dolo specifico, piuttosto quello intenzionale, poiché la finalità dell’agente deve essere riferita ad un elemento costitutivo della fattispecie oggettiva ossia l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari della società e non ad un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, come il pregiudizio dei creditori. Per i suddetti motivi la Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia per il nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 febbraio – 4 giugno 2014, numero 23220 Presidente Savani – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il difensore di S.T. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa il 06/05/2009 dal Tribunale di Pavia nei confronti del suddetto imputato, ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta documentale i fatti si riferiscono al fallimento della Europa Impianti s.r.l., dichiarato nel febbraio 2007, di cui il T. era stato liquidatore a far data dal 25/05/2005. La difesa deduce 1. inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 216 legge fall., in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto contestato sul piano dell'elemento materiale Secondo il ricorrente, l'istruttoria dibattimentale non avrebbe dimostrato adeguatamente quali scritture contabili siano risultate mancanti od irregolari, al punto da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società ciò, in particolare, tenendo conto della circostanza - sicuramente provata - dell'avvenuta consegna al curatore fallimentare, da parte del T., di tutta la documentazione fattagli pervenire dal professionista già incaricato della tenuta delle scritture 2. inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 216 legge fall., in ordine alla ravvisabilità del dolo del reato medesimo La tesi difensiva è che la prova dell'elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta documentale non possa derivare dalla mera presa d'atto della mancanza od irregolarità delle scritture a riguardo, evidenzia ancora l'elemento della consegna dei libri agli organi della procedura da parte del T. 3. mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata Secondo il ricorrente, la ricostruzione della vicenda da parte dei giudici di merito sarebbe fondata su una serie di forzature, non essendosi tenuto conto della circostanza pacifica che l'imputato si era «affidato completamente a terze persone per la regolare tenuta della contabilità della società» nel caso in esame, pertanto, sarebbe al più ravvisabile il diverso e meno grave reato di bancarotta semplice, giacché il T. poté essere consapevole della tenuta confusa delle scritture ma non del fatto che ne sarebbe derivata l'impossibilità di ricavarne elementi indicativi sul movimento degli affari dell'impresa 4. inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 81 cpv. cod. penumero Il difensore del T. si duole dell'omesso riconoscimento della continuazione fra il reato qui contestato e quello di cui ad una precedente sentenza di applicazione di pena emessa dal Gup del Tribunale di Vigevano nei confronti del medesimo, già passata in giudicato contesta in particolare l'osservazione dei giudici di appello, secondo cui l'identità di disegno criminoso dovrebbe desumersi dalla mera presa d'atto che si trattava di fallimenti distinti ed autonomi, dichiarati in tempi diversi. Al contrario, il ricorrente segnala che ai fini della ravvisabilità della continuazione criminosa, in tema di reati fallimentari, deve aversi riguardo ai periodi in cui si assumono realizzate le condotte presupposte, piuttosto che alle formali sentenze dichiarative nel caso di specie il T. aveva svolto in entrambe le occasioni funzioni identiche e «nell'esercizio di un'attività imprenditoriale sostanzialmente unitaria». 5. inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 168 cod. penumero La Corte di appello risulta avere revocato la sospensione condizionale della pena concessa al prevenuto con la sentenza di primo grado, nonché l'analogo beneficio riconosciutogli dalla richiamata pronuncia del Gup del Tribunale di Vigevano a riguardo, fa presente che l'articolo 168, comma primo, numero 2, cod. penumero richiede che, affinché una condanna per un reato anteriormente commesso comporti la revoca di una già disposta sospensione condizionale, detta condanna divenga irrevocabile entro il termine del periodo di esperimento della sospensione medesima, a decorrere dal passaggio in giudicato della prima pronuncia. Tale condizione non risulterebbe qui soddisfatta, atteso che la decisione impugnata non poteva avere ancora carattere di definitività. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, nei limiti di cui appresso. 2. La prima ragione di doglianza non è condivisibile le sentenze di merito risultano avere senz'altro chiarito che le scritture contabili la cui mancanza avrebbe reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della Europa Impianti s.r.l. furono il libro giornale ed i registri IVA acquisti e vendite, né può assumere rilievo la circostanza che il T. avrebbe consegnato tempestivamente al curatore i documenti che chi si era occupato della tenuta della contabilità gli aveva fatto pervenire, atteso che l'addebito consiste proprio nell'avere egli, in ipotesi, messo a disposizione della procedura tutte le scritture ad eccezione di quelle, oggetto invece di sottrazione o parziale distruzione. La peculiarità della contestazione, appena ricordata, impone peraltro di prendere atto della carenza motivazionale della sentenza impugnata - non emendabile, sul punto, richiamando il contenuto della pronuncia del Tribunale di Pavia - quanto all'elemento psicologico. La costante giurisprudenza di questa Corte è infatti orientata nel senso che «per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili, per espresso dettato dell'articolo 216, primo comma numero 2, della legge fallimentare, è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, mentre per le ipotesi di irregolare tenuta della contabilità, caratterizzate dalla tenuta delle scritture in maniera da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, è richiesto invece il dolo intenzionale, perché la finalità dell'agente è riferita ad un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva - l'impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell'impresa - anziché a un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, quale è il pregiudizio per i creditori» Cass., Sez. V, numero 5905 del 06/12/1999, Amata, Rv 216267 v. anche, nello stesso senso, Cass., Sez. V, numero 21075 del 25/03/2004, Lorusso . Nell'analisi della fattispecie offerta dalla Corte territoriale, anche in relazione ai motivi di appello sviluppati nell'interesse dell'imputato, non si rinvengono invece indicazioni di sorta circa la ritenuta prova del dolo specifico - per quanto detto, volto ad arrecare pregiudizio ai creditori, ovvero a perseguire un ingiusto profitto - che avrebbe animato il T. i giudici di secondo grado, come già il Tribunale, si limitano piuttosto ad evidenziare che l'imputato fu senz'altro consapevole delle conseguenze che la sua condotta avrebbe avuto in ordine alle possibilità di ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della società nell'arco di tempo in cui egli ne era stato il liquidatore. 3. Si impone pertanto l'annullamento della sentenza impugnata, per nuovo esame sul punto appena evidenziato gli ulteriori motivi di ricorso debbono intendersi assorbiti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.