Protezione internazionale, richiesta ‘datata’: valutare l’attualità prima di dare una risposta

Nonostante il cittadino straniero fuggito in Italia richiami episodi ormai datati, è necessario che lo Stato approfondisca attentamente l’attualità del Paese di origine per valutare i rischi e i pericoli lamentati. Di sicuro, peraltro, non si può semplicemente consigliare allo straniero di tornare in patria, però scegliendo una zona più sicura e meno problematica.

Pura, semplice, indispensabile cronaca. Per avere un quadro chiaro, attendibile, e, soprattutto, aggiornato sulla situazione socio-politica del Paese d’origine dell’immigrato fuggito in Italia perché, pur di fronte a una richiesta di protezione internazionale ‘datata’, la risposta dello Stato deve essere fondata sulla situazione attuale , quindi sulla verifica quasi in real time delle preoccupazioni manifestate dal cittadino straniero Cassazione, ordinanza n. 13172, Sesta sezione Civile, depositata oggi . Nuove ricerche . Ma, in prima battuta, la domanda di protezione internazionale avanzata dall’immigrato – cittadino sudanese, proveniente dalla regione del Darfur – è ritenuta non fondata questa la linea espressa in primo grado, e condivisa dai giudici di Appello. Per questi ultimi, difatti, le preoccupazioni riferite dal cittadino straniero, circa la possibilità di subire persecuzioni nel caso di ritorno in Sudan, non hanno carattere di specificità ed attualità, perché ricollegate a fatti collocati negli anni 2003 e 2004 . Eppoi, aggiungono ancora i giudici, il clima di tensione in Sudan è ‘limitato’ a sud Sudan e Darfur mentre la situazione nel resto del Paese presenta caratteri di stabilità ciò significa che il rientro in zone più sicure del Paese non presenterebbe problemi . Tale visione, però, viene completamente annichilita dalle valutazioni dei giudici della Cassazione, i quali, accogliendo il ricorso presentato dal cittadino straniero, ricordano, indirettamente, la delicatezza e la complessità della materia, richiamando a chiare lettere la necessità di un nuovo accertamento sulla situazione oggettiva ed aggiornata del Darfur per valutare appieno l’ipotesi del riconoscimento della protezione sussidiaria . Riferimento principale, in questa ottica, è la necessità dell’ accertamento della situazione attuale ed aggiornata del Paese di origine del cittadino straniero solo così è possibile ‘pesare’ davvero i rischi di persecuzione e i pericoli per la propria incolumità lamentati dall’immigrato. E all’interno di questo quadro, concludono i giudici – che rimettono la questione nuovamente alle valutazioni dei giudici di Appello –, è assolutamente improponibile l’idea che allo straniero venga ‘consigliato’ di tornare sì in patria, ma scegliendo una zona meno pericolosa del Paese di origine.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 26 febbraio - 28 maggio 2013, n. 13172 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Svolgimento del processo e Motivi della decisione Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta da S.M.M., cittadino sudanese proveniente dalla regione del Darfur. A sostegno della decisione assunta è stato affermato che - le preoccupazioni riferite dal cittadino straniero, circa la possibilità di subire persecuzioni nel caso di ritorno in Sudan, non hanno carattere di specificità ed attualità perché ricollegate dallo stesso esponente ad avvenimenti occorsi a suoi congiunti o a fatti personali ma remoti, collocati negli anni 2003-2004 - le informazioni richieste al Ministero degli Affari Esteri evidenziano un clima di persistente tensione in Sudan dovuto però a criticità relative al Sud Sudan e al Darfur, mentre la situazione nel resto del Paese ed in particolare nella capitale presenta caratteri di stabilità. Ne consegue che il rientro in zone più sicure del proprio paese non presenterebbe problemi - per le ragioni sopraesposte non sussistono le condizioni per il riconoscimento di alcuna delle misure di protezione internazionale previste dalla legge. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero affidandosi ad un unico complesso motivo. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno che deposita altresì memoria. Nel motivo di ricorso vengono evidenziate, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. le seguenti censure relative alla violazione di norme di legge a in primo luogo viene osservato che l’art. 8 della Direttiva 2004/83/CE secondo il quale il giudice può accertare la possibilità del richiedente asilo di trasferirsi in sicurezza in altre parti del territorio del suo paese d’origine, non è stato recepito dal d.lgs. n. 251 del 2007, con conseguente inapplicabilità, ribadita da Cass. 2294 del 2012, del principio nel nostro ordinamento interno b in secondo luogo viene osservato che la situazione attuale nella zona del Darfur è caratterizzata dalla perpetrazione del genocidio di alcuni gruppi etnici, ed in particolare della popolazione nera, tanto che il presidente del Sudan O.H.B. è stato condannato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità nel marzo 2009. Da tali premesse, accertate mediante la documentazione richiesta dalla Corte d’Appello al Ministero degli Affari Esteri, consegue l’applicabilità dell’art. 8 del d.lgs. n. 251 del 2007 ed il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato politico c in terzo luogo viene evidenziata la sussistenza quanto meno del diritto alla protezione sussidiaria, in quanto la situazione attuale del Darfur integra quella minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno od internazionale. Il ricorso è manifestamente fondato. Preliminarmente occorre richiamare l’attenzione sulla necessità che l’esame sulla sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive per ottenere una misura tipica od atipica di protezione internazionale deve essere fondato sull’accertamento della situazione attuale ed aggiornata, riferita al momento, della decisione. L’art. 4 del d.lgs. n. 251 del 2007 costituisce la prova indiretta della portata generale del principio sopraesposto, nella parte in cui consente che la domanda di protezione internazionale possa essere motivata anche da avvenimenti verificatisi dopo la partenza del richiedente quando sia accertato che le attività addotte costituiscano l’espressione e la continuazione di convinzioni od orientamenti già manifestati nel Pese d’origine. L’esame ex art. 3 deve essere condotto alla luce della situazione attuale e le informazioni da richiedersi al Ministero degli Esteri ex art. 8 secondo comma d.lgs. n. 25 del 2008 devono essere aggiornate. Ne consegue un primo rilevante profilo di violazione delle norme e dei principi che regolano il diritto alla protezione internazionale risiede nell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale le preoccupazioni” del ricorrente sono prive di specificità ed attualità perché riferite a fatti del 2003-2004. Il giudizio di genericità ed inattualità dei rischi di persecuzione e dei pericoli per la propria incolumità segnalati dal ricorrente avrebbe dovuto correttamente fondarsi sull’esame aggiornato” del paese d’origine, fondato sulle informazioni assunte da porre a, confronto con le dichiarazioni del ricorrente medesimo. Al contrario nella scarna motivazione della sentenza impugnata non vi è traccia dei motivi di persecuzione e pericolo dedotti dal richiedente, qualificati genericamente preoccupazioni”, né risulta adeguatamente rappresentata la oggettiva situazione socio-politica del Sudan. Oltre a tale preliminare profilo si deve rilevare che, come correttamente evidenziato dal ricorrente, il d.lgs. n. 251 del 2007 non ha recepito l’art. 8 della Direttiva 2004/83/CE con la conseguenza che non può essere escluso il riconoscimento di una misura di protezione internazionale in virtù dell’applicazione del principio non recepito. Tale peraltro è il fermo orientamento di questa Corte che si trascrive In tema di protezione internazionale dello straniero, il riconoscimento del diritto ad ottenere lo status” di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, atteso che tale condizione, contenuta nell’art. 8 della Direttiva 2004/83/CE, non è stata trasposta nel d.lgs. n. 251 del 2007, essendo una facoltà rimessa agli Stati membri inserirla nell’atto normativo di attuazione della Direttiva. Risulta pertanto necessario un nuovo esame dei motivi di persecuzione ai fini dell’accertamento dei requisiti per il rifugio politico e di pericolo idonei a giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria alla luce della situazione oggettiva ed aggiornata del Darfur, desumibile dall’istruzione officiosa correttamente svolta secondo i criteri stabiliti dall’art. 8, secondo comma, del d.lgs. n. 25 del 2008 dalla Corte d’Appello di Roma, da porre in correlazione con le dichiarazioni del richiedente, da ritenersi, in mancanza d’indicazioni contrarie provenienti dal provvedimento impugnato, non più attaccabili sotto il profilo della credibilità, alla luce dei criteri di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 251 del 2007. Ai fini dell’eventuale riconoscimento della protezione sussidiaria occorre, infine, tenere conto anche dei criteri vincolanti indicati dalla sentenza della Corte di Giustizia n. 465/07, alla luce dei quali nel caso di minaccia grave ed individuale alla vita e alla persona del richiedente asilo, quest’ultimo non deve fornire la prova di esserne interessato in modo specifico quando il grado di violenza indiscriminata che caratterizza la situazione del paese sia così elevato da far ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o nella regione in questione correrebbe, un rischio effettivo per la propria incolumità. Gli altri profili di censura sono assorbiti dalla manifesta fondatezza di quelli accolti. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.