Pubblicità porta a porta, sospensione per il dentista. Sanzione in bilico per la mancata contestazione della recidiva

Trenta giorni di stop per il professionista. Ma la decisione della Commissione disciplinare viene messa in discussione. Decisiva la lacuna relativa alla recidiva per precedenti violazioni, recidiva che avrebbe dovuto essere contestata in maniera ufficiale.

“Errare è umano, perseverare è diabolico ”. Esemplare la condotta tenuta da un dentista, capace di violare per ben tre volte le norme deontologiche in materia pubblicitaria consequenziale il mese di sospensione. Che, però, è messo in discussione proprio perché la sanzione è stata motivata anche con i precedenti dell’uomo, ma è mancata la contestazione ufficiale della recidiva Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza numero 7282/14 depositata oggi . Pubblicità pro studio. ‘Fulmini e saette’, metaforici, è ovvio, per il titolare dello studio dentistico, censurato severamente dall’Ordine a causa, da un lato, di un «volantino pubblicitario, recapitato col sistema ‘porta a porta’», e, dall’altro, di un «annuncio pubblicitario» apparso sulle colonne di un quotidiano locale. Condotta grave, secondo la Commissione disciplinare, quella del professionista, in evidente violazione delle «norme deontologiche» relativamente alla «materia pubblicitaria» significativo il fatto che il «messaggio» diffuso porta a porta era «diverso da quello sottoposto all’Ordine» E a rendere il quadro più fosco anche due precedenti trasgressioni compiute dall’uomo diversi anni prima. Ecco spiegata la «sospensione dall’esercizio professionale per la durata di un mese» Precedenti. Ma proprio la «recidiva», non contestata ufficialmente, è l’appiglio per il ricorso proposto dal professionista in Cassazione. Per i componenti della Commissione disciplinare, difatti, «nella determinazione della sanzione l’Ordine aveva tenuto conto dei pregressi comportamenti, già sanzionati» e che, quindi, «non richiedevano di essere contestati ma semplicemente valutati». Ma questa considerazione, criticata duramente dal professionista, è smentita dai giudici del ‘Palazzaccio’, alla luce del «principio della necessaria correlazione tra l’addebito contestato e la decisione, corollario naturale dei principi di garanzia della difesa e del contraddittorio». Ciò significa che «la preventiva contestazione dell’addebito all’incolpato deve riguardare anche la recidiva o, comunque, i precedenti disciplinari che la integrano, ove di essa si sia tenuto conto», come in questa vicenda, «nella determinazione del quantum della sanzione». Su questo punto i giudici aggiungono ancora che «nel procedimento disciplinare operano le norme del codice di procedura penale» ed è «pacifico che, nell’ambito del sistema processual-penalistico, la recidiva, comportando un aggravamento della pena, debba essere contestata». Ma questo passaggio è mancato, nei confronti del professionista ciò motiva la decisione di riaffidare la vicenda alle valutazioni della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 dicembre 2013 – 27 marzo 2014, numero 7282 Presidente Triola – Relatore Nuzzo Svolgimento del processo Con provvedimento numero 52 del 12.11.2012, la Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie respingeva il ricorso proposto dal dott. A.A. avverso la delibera 18.7.2011 dell'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Brescia, con la quale era stata irrogata al ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio professionale per la durata di un mese, per comportamento non conforme al disposto degli articolo 55 e 56 del codice deontologico e relative linee guida , in relazione al volantino pubblicitario, recapitato col sistema porta a porta nel corso del gennaio 2011 ed in relazione all'annuncio pubblicitario Bel Sorriso apparso sul Giornale di Brescia l'8.3.2011. La commissione disciplinare riteneva gli addebiti contestati ben circostanziati e rilevava che il c.d. decreto Bersani prevedeva l'applicazione, da parte degli Ordini professionali, delle norme deontologiche a tutela del decoro e della dignità professionale come articolate nelle diverse linee guida in materia pubblicitaria rilevava, inoltre, che l'incolpato era recidivo, in virtù delle sanzioni disposte con le precedenti delibere del 21.12.1989 avvertimento e del 24.6.1993 censura sempre in materia pubblicitaria. La Commissione Centrale, in relazione ai motivi di ricorso posti dall'A. a fondamento della domanda di annullamento di detto provvedimento disciplinare, osservava a il provvedimento disciplinare non è viziato ove, malgrado una certa genericità dell'atto di contestazione, l'incolpato abbia posto conoscere, nel corso del procedimento gli addebiti mossigli, ai sensi dell'articolo 39 del regolamento, e sia stato,quindi, nelle condizioni di svolgere adeguatamente le proprie difese b nella determinazione della sanzione l'Ordine aveva tenuto conto dei pregressi comportamenti già sanzionati e che non richiedevano di essere contestati ma semplicemente valutati dall'organo disciplinare c non era configurabile l'illegittimità del provvedimento amministrativo di primo grado per eccesso di potere e per insussistenza di fatti di rilevanza disciplinare, posto che la legge c.d. Bersani, non prevedeva alcuna preventiva autorizzazione alla pubblicità sanitaria che, invece, doveva rispondere ai criteri di veridicità e trasparenza , previsti dall'articolo 2 lett. b della L. 4 agosto 2006 numero 248 nella specie, il messaggio pubblicitario, diverso da quello sottoposto alla preventiva autorizzazione dell'Ordine, era privo di tali requisiti. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione, ex articolo 68 D.P.R. numero 221/1950 e 111 Cost., A.A., formulando tre motivi illustrati da memoria. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva. Il ricorrente deduce 1 violazione degli articolo 24 e 111 Cost. 65 e 423 c.p.p. 39 D.P.R. numero 221/1950, per essere stato violato il diritto di difesa e per difetto del requisito di specificità della contestazione disciplinare la Commissione Centrale, avendo riconosciuto la genericità della contestazione, avrebbe dovuto annullare il provvedimento sanzionatorio irrogato in primo grado, mentre aveva erroneamente ritenuto che la contestazione potesse essere precisata nel corso del procedimento , non tenendo conto che essa non indicava quale fosse la parte di annuncio pubblicitario disciplinarmente censurabile 2 violazione e falsa applicazione degli articolo 24 e 111 Cost. 99 c.p.-655 e 423 c.p.p._ articolo 39 D.P.R. numero 221 del 5.4.1950, posto che, con riferimento alla recidiva, occorreva applicare le norme del sistema processuale penale, con la conseguenza che la recidiva stessa, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione Centrale e dalla Commissione di primo grado, doveva essere regolarmente contestata per consentire all'incolpato una compiuta difesa sul punto 3 violazione dell'articolo 2 lett. B della L. numero 248/2006, laddove la Commissione Centrale aveva ravvisato la violazione del criterio di trasparenza della pubblicità posta in essere dal ricorrente in quanto difforme dalla preventiva autorizzazione dell'Ordine territoriale, così incorrendo in errore di diritto, posto che la legge cit. non prevede più detta preventiva autorizzazione. Il primo motivo pone la questione della violazione del principio di contestazione a causa della genericità di quella formulata ed oggetto di condanna. Orbene, con riferimento alle modalità di contestazione dell'addebito, questa Corte ha escluso la necessità di una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti ascritti al professionista, reputando sufficiente che essa presenti un tasso di precisione tale da consentire all'incolpato di approntare la propria difesa senza rischiare di essere giudicato per fatti diversi da quelli ascrittigli o diversamente qualificabili sotto il profilo disciplinare non ha, quindi, ravvisato la violazione dedotta allorché il professionista abbia avuto modo di conoscere le contestazioni e si sia difeso compiutamente rispetto ad esse Cass. numero 4465/2005 numero 2296/2004 . Ne consegue che il controllo giurisdizionale al riguardo non può esaurirsi nel confronto puramente formale tra contestazione e decisione, una volta accertato che l'incolpato, attraverso l'iter del processo, abbia avuto conoscenza dell'accusa e sia stato messo in condizione di difendersi e discolparsi. Va aggiunto che il ricorrente, pur denunciando la genericità della contestazione, non precisa quali siano stati gli addebiti in relazione ai quali non si sarebbe potuto difendere, sicché la doglianza va respinta. Merita, invece, accoglimento il secondo motivo. E' pur vero che il D.P.R. numero 221/1950 non prevede la recidiva, né la configura come una circostanza che debba essere contestata, ma il principio della necessaria correlazione tra l'addebito contestato e la decisione, stabilito in materia penale dall'articolo 552 c.p.p., trova applicazione in tutti i procedimenti sanzionatori in genere e disciplinari in specie, costituendo un corollario naturale dei principi di garanzia della difesa e del contraddittorio Cass. S.U. numero 17935/2008 numero 2197/2005 . La preventiva contestazione dell'addebito all'incolpato deve, pertanto, riguardare anche la recidiva o comunque i precedenti disciplinari che la integrano ove di essa si sia tenuto conto nella determinazione della sanzione irrogata, come avvenuto nella specie, avendo il provvedimento impugnato dato atto che la recidiva è un elemento storico su cui l'Ordine ha fondato la propria decisione nella determinazione del quantum della sanzione da irrogare escludendo, peraltro, la necessità della contestazione di pregressi comportamenti già sanzionati che andavano semplicemente valutati dall'organo disciplinare V. pag. 3 prov. imp. . Costituisce, del resto, principio affermato dalle S.U. di questa Corte quello secondo cui nel procedimento disciplinare operano le norme del codice di procedura penale allorché sorga la necessità di applicare istituti che hanno il loro regolamento esclusivamente in detto codice S.U. numero 20773/2010 numero 23287/2010 , ed è pacifico che, nell'ambito del sistema processual-penalistico, la recidiva, comportando un aggravamento della pena, debba essere contestata. L'accoglimento della censura comporta la cassazione della decisione impugnata e l'assorbimento del terzo motivo, con rinvio alla Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso accoglie il secondo, assorbito il terzo cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie anche per le spese del giudizio di legittimità.