Blitz nello studio dentistico, una collaboratrice si allarga e interviene su un paziente. Titolare condannato

Condannato il responsabile della struttura per omessa vigilanza, e confermata la sanzione disciplinare della sospensione per tre mesi. Fatale il non aver posto dei ‘paletti’ precisi, per evitare che, in sua assenza, persone non abilitate potessero svolgere illegittimamente l’attività odontoiatrica.

Eccesso di autonomia del collaboratore, nonostante le direttive fornite dal responsabile della struttura – uno studio dentistico, per la precisione – ecco spiegata la contestazione dell’“esercizio abusivo della professione odontoiatrica”, a seguito di una ispezione ad hoc. A subirne le conseguenze è il responsabile della struttura, condannato, per “omessa vigilanza”, alla “sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per tre mesi”. Cass., sent. numero 4928, Seconda Sezione Civile, depositata oggi Blitz. Netta la linea di pensiero seguita dall’Ordine dei medici prima e dalla Commissione centrale poi corretta la «sanzione disciplinare» della «sospensione per tre mesi» dall’«esercizio della professione» nei confronti del «responsabile sanitario» di uno studio, colpevole di omessa vigilanza sull’«attività odontoiatrica» svolta nella struttura. Più precisamente, egli, viene spiegato, ha consentito che «persone non in possesso dei necessari requisiti, per l’esercizio della professione odontoiatrica, esercitassero abusivamente tale professione». Fatale un ‘blitz’ compiuto nello studio, e che ha permesso di scoprire una «assistente alla poltrona» impegnata nell’«effettuare prestazioni odontoiatriche», ossia «ricementazione di un ‘ponte inferiore’ staccatosi» e «rimozione di un punto di sutura ad un dente estratto alcuni giorni prima». Paletti. Come detto, alla figura del responsabile della struttura viene addebitato di non avere adottato «tutti gli accorgimenti necessari ad evitare che soggetti non abilitati compissero interventi non consentiti sui pazienti». Ma questa visione viene contestata dall’uomo, il quale – evidenziando anche la «inesistenza di alcun procedimento penale» – spiega che «il collaboratore» si è «del tutto discostato dalle mansioni affidategli», quindi il ‘fattaccio’ è da catalogare come «eccezionale e imprevedibile». Per questo, sostiene l’uomo, «attribuire la responsabilità per i comportamenti del collaboratore implicherebbe la impossibilità di funzionamento della struttura, poiché qualunque attività da svolgere, all’interno della stessa, andrebbe effettuata in presenza del sanitario, al fine di escluderne la responsabilità». Anzi, volendo estremizzare il discorso, «per escludere la responsabilità per omessa vigilanza», aggiunge l’uomo, «sarebbe necessario compiere in proprio ogni attività della struttura». Queste obiezioni, però, seppur dotate di logica, non scalfiscono affatto la visione che ha condotto alla «sanzione disciplinare» nei confronti del responsabile della struttura, sanzione che, difatti, viene confermata dai giudici del ‘Palazzaccio’. Tale decisione è fondata sulla considerazione che all’uomo è addebitato un «comportamento omissivo», cioè «non aver posto in essere gli accorgimenti necessari» perché la attività odontoiatrica «non fosse svolta da soggetti non abilitati». Evidente, per i giudici, il «comportamento negligente» dell’uomo, consistito «nella omissione di ogni cautela idonea ad evitare che prestazioni a lui riservate fossero svolte da suoi collaboratori, a ciò non abilitati». E questa ‘lacuna’ è resa ancor più grave perché l’uomo, proprio alla luce della «sua non continua presenza» in studio, avrebbe dovuto prendere i provvedimenti utili – fissando ‘paletti’ precisi – a «garantire che il personale operante presso la struttura non perpetrasse condotte abusive».

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 giugno 2013 – 3 marzo 2014, numero 4828 Presidente Bucciante – Relatore San Giorgio Svolgimento del processo 1. - Il dottor G.P. ricorre avverso la decisione della Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie depositata il 2 agosto 2012, con la quale è stato respinto il ricorso proposto dallo stesso avverso la delibera dell'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Milano del 29 giugno 2011 che gli aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per tre mesi, & lt per avere, in qualità di responsabile sanitario, omesso di vigilare sull'attività odontoiatrica svolta presso lo studio Matteotti s.a.s. in Bollate, permettendo che persone non in possesso dei necessari requisiti per l'esercizio della professione odontoiatrica esercitassero abusivamente tale professione& gt . Secondo la Commissione centrale, devono considerarsi posti a carico del responsabile sanitario di una struttura i comportamenti abusivi perpetrati dal personale che nella struttura stessa opera. Tale responsabilità non sarebbe da configurare come responsabilità oggettiva - come sostenuto dal ricorrente - rientrando invece in un comportamento omissivo caratterizzato dal non aver posto in essere tutti gli accorgimenti necessari ad evitare che soggetti non abilitati compissero interventi non consentiti sui pazienti. 2. - Il ricorso del dott. P. è affidato a due motivi. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo il ricorrente deduce la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione al profilo di responsabilità invocato ed adottato nella decisione. La Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie avrebbe contraddittoriamente, da un lato, affermato che devono essere posti a carico del sanitario tutti i comportamenti abusivi tenuti dal personale che opera nella struttura, considerando a priori sussistente il profilo di responsabilità del sanitario per qualunque fatto del dipendente e, dall'altro, ritenuto che nel caso di specie si sarebbe trattato di responsabilità per colpa, consistita in un comportamento omissivo causato dal non aver posto in essere tutti gli accorgimenti necessari volti ad evitare che soggetti non abilitati potessero compiere operazioni non consentite sui pazienti. Il vigente sistema giuridico - osserva il ricorrente - in materia di responsabilità per fatto altrui articolo 2049 cod.civ. , considera la fattispecie un caso di responsabilità oggettiva il soggetto tenuto alla vigilanza risponde del fatto illecito del preposto, laddove si dia dimostrazione piena del nesso di occasionalità necessaria tra le mansioni affidate e l'evento dannoso. Nella specie, mancherebbero sia quest'ultimo - come confermato dalla inesistenza di alcun procedimento penale a carico del collaboratore, così come del ricorrente - sia il nesso di occasionalità necessaria, essendosi il collaboratore del tutto discostato, in modo così anomalo da poter essere ragionevolmente considerato eccezionale, dalle mansioni affidategli, sicchè l'evento in questione dovrebbe essere considerato del tutto eccezionale ed imprevedibile. In una ipotesi siffatta, attribuire al sanitario la responsabilità per i comportamenti del collaboratore implicherebbe la impossibilità di funzionamento della struttura, poiché qualunque attività da svolgere all'interno della stessa andrebbe effettuata in presenza del sanitario al fine di escluderne la responsabilità. Di più per escludere la responsabilità per omessa vigilanza, servendosi di addetti ai servizi, non sarebbe sufficiente al sanitario agire con la massima diligenza professionale, ma sarebbe necessario compiere in proprio ogni attività della struttura. Né un provvedimento disciplinare potrebbe fondarsi sul principio della responsabilità oggettiva, mutuando il sistema sanzionatorio degli Ordini professionali dal sistema penale la necessità della sussistenza dell'elemento soggettivo in capo all'agente. 2. - La censura non merita accoglimento. 2.1. - La Commissione Centrale ha chiarito, nel provvedimento impugnato, che la responsabilità posta a carico del sanitario non si configura come una fattispecie di responsabilità oggettiva, ma è da ricomprendere tra le ipotesi di comportamento omissivo l'attuale ricorrente è invero incolpato di non aver posto in essere, in qualità di responsabile sanitario dello Studio Matteotti s.a.s., destinato ad attività odontoiatrica, gli accorgimenti necessari perchè detta attività non fosse svolta da soggetti non abilitati. Era accaduto che, nel corso di una azione ispettiva presso detto Studio, la assistente alla poltrona fosse stata colta nell'atto di effettuare prestazioni odontoiatriche, che la stessa aveva affermato consistere nella ricementazione di un ponte inferiore staccatosi e nella rimozione di un punto di sutura ad un dente estratto alcuni giorni prima al paziente, il quale a causa dell'incidente occorsogli si era recato presso lo studio per ricevere un consiglio. Al riguardo, il ricorrente deduce che si sarebbe trattato di un singolo episodio, commesso da un soggetto che, forse pressato dal paziente, aveva esorbitato dalle proprie mansioni senza averne ricevuto autorizzazione da lui e quindi in modo imprevedibile. La condotta della collaboratrice non sarebbe stata, dunque, ricollegabile ad alcuna ipotesi di dolo o colpa grave del sanitario, attesa la sua eccezionalità. 2.2. - Ebbene, la prospettazione del dott. P. non scalfisce la coerenza del percorso argomentativo del provvedimento impugnato, che ha ravvisato nella condotta del sanitario un comportamento negligente, consistito nella omissione di ogni cautela idonea ad evitare che prestazioni a lui riservate fossero svolte da suoi collaboratori, a ciò non abilitati. Ed invero, sarebbe stato onere dell'odontoiatra di cui si tratta porre in essere quegli accorgimenti che la sua non continua presenza presso lo studio rendeva necessari per garantire che il personale operante presso la struttura non perpetrasse condotte abusive. In tale quadro, tra le prime misure da assumere vi era proprio quella di impedire interventi abusivi sui pazienti in assenza del sanitario. In definitiva, il provvedimento impugnato non ha configurato una ipotesi di responsabilità oggettiva, ravvisando, invece, con motivazione congrua e non illogica, un comportamento colposo in capo al professionista. 3. - Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, si denuncia la violazione o falsa applicazione dell'articolo 38 del d.P.R. numero 221 del 1950. 4. - La doglianza è inammissibile per genericità, non trovando nel ricorso alcuna esplicazione e specificazione. 5. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non vi è luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo gli intimati svolto alcuna attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.