La differenza tra ‘rapporto processuale’ e ‘rapporto sostanziale’ tra legale e cliente

Una sentenza della Suprema Corte che rende giustizia al difensore precisando come la liquidazione degli onorari che l'avvocato pretende dal proprio cliente sia indipendente e svincolata dalla statuizione che condanna la parte soccombente al pagamento delle spese e degli onorari di causa.

La fattispecie. Un avvocato chiedeva al Tribunale competente la liquidazione dei compensi per l'attività professionale svolta in favore di due clienti nell'ambito di due controversie civili. La prima definita con sentenza del medesimo Tribunale e la seconda proseguita con diverso difensore, a seguito della revoca del mandato conferito all'avvocato stesso. I due ex-clienti si costituivano in giudizio deducendo la congruità della liquidazione disposta all'esito dei giudizi, nei quali il ricorrente aveva svolto l'attività professionale. Il giudice a quo, interessato dalla vicenda in esame, rigettava il ricorso dell’avvocato ritenendo che la liquidazione disposta nei giudizi di merito era stata eseguita in base allo scaglione del valore della causa e, quindi, scaturiva da una compensazione parziale. Il legale, senza darsi per vinto, proponeva ricorso in Cassazione lamentando che il Tribunale era incorso in error iuris disponendo la liquidazione dei compensi professionali in misura inferiore agli onorari minimi e ai diritti predeterminati e fissi. Lamentava che, nonostante l'analitica esposizione delle voci nella proposta di parcella, in corrispondenza allo scaglione di valore risultante dal decisum, il Giudice non aveva indicato i criteri di liquidazione adottati e le ragioni della riduzione nonché i motivi dell'eventuale esclusione delle voci. Il giudice a quo, secondo la tesi difensiva di parte ricorrente, aveva erroneamente ritenuto che gli importi dovuti dai clienti corrispondessero a quanto lui spettante secondo la liquidazione operata nel giudizio di merito. La motivazione sottesa alla decisione, secondo l'avvocato, era fallace perché basata, da un lato, sul fatto che la liquidazione scaturiva dalla compensazione parziale e, dall'altro, in virtù della ritenuta conformità della liquidazione al valore della controversia. Infine, il ricorrente lamentava il fatto che il tribunale non avesse tenuto conto della mancata contestazione da parte dei resistenti delle attività professionali svolte in loro favore, con l'effetto di porre a carico del legale l'onere di contestazione specifica, con inversione dell'onere della prova. Gli Ermellini reputano degni di accoglimento i motivi di ricorso. La differenza tra quanto dovuto dal cliente secondo la statuizione del giudice sulle spese giudiziali e quanto effettivamente dovuto al proprio legale sulla base della reale attività prestata. Deduce la Suprema Corte che, nel caso di specie, le voci di diritti ed onorari applicate nella parcella, prodotti innanzi al Tribunale e debitamente riprodotti nel corpo del ricorso, inerenti a singole specifiche attività che gli intimati non hanno mai contestato, corrispondono al valore del decisum emergente dalla sentenza che poi ha definito il giudizio. Ne deriva la erroneità della ordinanza nella parte in cui ritiene che la liquidazione sia stata eseguita sulla scorta del corretto scaglione di valore, liquidando diritti ed onorari misura inferiore rispetto ai minimi previsti dalle tabelle A e B di riferimento allegate al d.m. numero 127/2004. In conclusione, secondo gli Ermellini, l'ordinanza impugnata non ha fornito alcuna spiegazione delle ragioni della riduzione e/o esclusione delle singole voci indicate nella nota prodotta, discostandosi dal principio più volte affermato in proposito della Suprema Corte e secondo cui il Giudice, nel ridurre l'ammontare di diritti ed onorari richiesti dalla parte in modo specifico e dettagliato, ha l'obbligo di indicare il criterio di liquidazione adottato e le ragioni della riduzione onde consentire all'interessato di individuare e denunziare in modo specifico le eventuali violazioni di legge o della tariffa. La Suprema Corte soggiunge, altresì, che l'ordinanza de qua ha espressamente tenuto conto della parziale compensazione delle spese operata in sentenza. Tuttavia, tale aspetto investe il rapporto processuale tra le parti e non quello sostanziale tra le stesse ed i rispettivi difensori, mentre il cliente è tenuto al pagamento degli onorari nei confronti dell'avvocato indipendentemente dalla statuizione del giudice sulle spese giudiziali. In sostanza, proprio tale difetto di impostazione vizia in radice l'ordinanza impugnata. D'altro canto questo principio è confermato anche a livello legislativo atteso che la controversia si iscrive nel novero dei casi disciplinati dall'articolo 28 della l. numero 794/1942 per come riscritto dal d.lgs. numero 150/2011 più noto come “decreto taglia-riti” secondo cui «per la liquidazione delle spese, degli onorari e diritti nei confronti del proprio cliente all'avvocato, dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento ex articolo 633 e seguenti c.p.c., procede ai sensi dell'articolo 14 d.lgs. numero 150/2011». Tale procedimento può essere proposto solo nei confronti del proprio cliente e solo quando la controversia attenga alla misura del compenso senza involgere l’an del corrispettivo dovuto per l'attività professionale relativa a prestazioni giudiziali civili. La liquidazione degli onorari che l'avvocato pretende dal proprio cliente è indipendente e svincolata dalla statuizione che condanna la parte soccombente al pagamento delle spese e degli onorari di causa. Ne consegue che il regolamento delle spese compiuto nel giudizio contenzioso patrocinato dall'avvocato, essendo regolate da criteri legali diversi, non può vincolare la successiva liquidazione del corrispettivo in sede di procedura promossa dall' avvocato nei confronti del cliente per la determinazione del corrispettivo medesimo. I rischi insiti nel rito da scegliersi e la soluzione definitiva pronunciata dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza numero 4485/18. Nel caso di specie, gli ex-clienti dell’avvocato non avevano contestato le attività professionali ma solo il quantum. E questo ha rappresentato il grande vantaggio del legale. Ma quello di cui non parla la summa decisio della Suprema Corte - e che invece è fondamentale per noi avvocati - è l’excursus afferente al problema rappresentato dal rito che l’avvocato doveva scegliere, fino a pochi giorni fa, nel caso in cui intendeva promuovere una azione per recuperare i compensi per le attività professionali espletate in favore dei propri clienti. Infatti, il pericolo concreto era la pronuncia di inammissibilità del ricorso ex articolo 702-bis c.p.c. allorquando le difese dell’ex assistito-convenuto, al momento della sua costituzione, ampliavano l’oggetto dello rito sommario ‘speciale’ volto alla liquidazione dei compensi ad esempio, in ipotesi di domanda riconvenzionale o contestazione dell’an del compenso o, in qualunque altro modo, venisse ampliato il petitum . A stravolgere le tristi sorti delle azioni giudiziarie degli avvocati è stata la recente sentenza Cassazione Civile SS.UU. numero 4485/18 depositata il 23/02/2018 che ha cristallizzato il seguente principio di diritto « la controversia di cui all’articolo 28 l. numero 794/1942, tanto se introdotta con ricorso ai sensi dell’articolo 702-bis c.p.c., quanto se introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato tanto se prima della lite vi sia una contestazione sull’an debeatur quanto se non vi sia e, una volta introdotta, resta soggetta al rito indicato dall’articolo 14 d.lgs. numero 150/2011 anche quando il cliente dell’avvocato non si limiti a sollevare contestazioni sulla quantificazione del credito alla stregua della tariffa, ma sollevi contestazioni in ordine all’esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite ed in genere riguardo all’anumero Soltanto qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli con la proposizione di una domanda riconvenzionale, di compensazione, di accertamento , l’introduzione di una domanda ulteriore rispetto a quella originaria e la sua esorbitanza dal rito di cui all’articolo 14 comporta che, ai sensi dell’articolo 702-ter, comma 4, c.p.c., si debba dare corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario congiuntamente a quella ex articolo 14, qualora anche la domanda introdotta dal cliente si presti ad un’istruzione sommaria, mentre, in caso contrario, si impone di separane la trattazione e di procedervi con il rito per essa di regola previsto». In conclusione, le attuali regole da utilizzare per il recupero delle proprie competenze professionali sono 1 ricorso per ingiunzione di pagamento, con applicazione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo grazie alle norme speciali che prevedono la permanenza della tutela priviligiata del creditore dopo l’opposizione articolo 648, 649 e 653 c.p.c. , tenendo presente che l’opposizione al decreto ingiuntivo andrà proposto con ricorso ex articolo 702-bis c.p.c. 2 ricorso ex articolo 702-bis c.p.c. ‘speciale’, così per come disciplinato dall’articolo 14 e dagli articolo 3 e 4 d.lgs. numero 150/2011. Una volta introdotta, tale controversia resta soggetta al rito ex articolo 14 d.lgs. numero 150/2011, che comporta la immodificabilità del rito e la inappellabilità della ordinanza, indipendentemente dalle contestazioni sollevate dal cliente nei confronti del professionista. E l’oggetto è e rimane la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze dell’avvocato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 7 dicembre 2017 – 6 marzo 2018, numero 5224 Presidente Manna – Relatore D’Ascola Fatti di causa e ragioni della decisione 1 Con ricorso ex articolo 28 della L. 13 aprile 1942, numero 794, l’avv. C.E. chiedeva al Tribunale di Nocera Inferiore la liquidazione dei compensi per l’attività professionale svolta in favore di R.G. ed A.A. nell’ambito di due controversie civili Rgnumero 1180/2005 e 625/2009 . La prima definita con sentenza dal medesimo Tribunale e la seconda proseguita da diverso difensore, a seguito della revoca del mandato conferito all’avv. C. . R.G. e A.A. si costituivano in giudizio deducendo la congruità della liquidazione disposta all’esito dei giudizi nei quali il ricorrente aveva svolto la sua attività professionale. 2 Il giudice a quo, con ordinanza del 10.07.2013, rigettava il ricorso ritenendo, ritenendo che la liquidazione disposta nei giudizi di merito era stata eseguita in base allo scaglione di valore della causa e scaturiva da una compensazione parziale. 3 Per la cassazione di tale ordinanza l’avv. C. ha proposto ricorso, notificato in data 7 gennaio 2014, articolato in due motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva. Il consigliere relatore ha avviato la trattazione con rito camerale, proponendo l’accoglimento del ricorso. 4 Con il primo mezzo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articolo 115 c.p.c., 2223 e 2697 c.c., 1, 2, 4 e 5 del d.m. numero 127/2004, in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3 e comma 4. Deduce che il Tribunale è incorso in error iuris disponendo la liquidazione dei compensi professionali in misura inferiore agli onorari minimi ed ai diritti predeterminati e fissi. Lamenta che nonostante l’analitica esposizione delle voci nella proposta di parcella, in corrispondenza allo scaglione di valore risultante dal decisum, il giudice non aveva indicato i criteri di liquidazione adottati e le ragioni della riduzione, nonché i motivi della eventuale esclusione delle voci. Secondo parte ricorrente, il giudice a quo, aderendo alle prospettazioni dei resistenti, aveva erroneamente ritenuto che gli importi dovuti dai clienti dell’avv.to C. corrispondessero all’importo lui spettante secondo la liquidazione operata nel giudizio di merito. La motivazione fallace era fallace perché basata, da un lato, sul fatto che la liquidazione scaturiva dalla compensazione parziale e, dall’altro lato, in virtù della ritenuta conformità della liquidazione al valore della controversia. Infine, il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale non abbia tenuto conto della mancata contestazione da parte dei resistenti delle attività professionali svolte in loro favore, con l’effetto di porre a carico dell’avv. C. l’onere di contestazione specifica, con inversione dell’onere della prova. Il motivo merita accoglimento. Le voci di diritti ed onorari applicate nella parcella prodotta innanzi al Tribunale e debitamente riprodotta nel corpo del ricorso pagg. 9, 10, 11 14, 15 e 16 , inerenti a singole e specifiche attività che gli intimati non hanno mai contestato, corrispondono al valore del decisum emergente dalla sentenza che ha definito il giudizio. Ne deriva l’erroneità dell’ordinanza nella parte in cui ritiene che la liquidazione sia stata eseguita sulla scorta del corretto scaglione di valore , liquidando i diritti e gli onorari in misura inferiore rispetto ai minimi previsti dalle tabelle A e B di riferimento allegate al d.m. 127/2004. L’ordinanza impugnata non ha fornito alcuna spiegazione delle ragioni della riduzione o esclusione delle singole voci indicate nella nota prodotta, discostandosi dal principio, più volte affermato in proposito da questa Corte cfr. Cass. numero 3961/2016 numero I 0966/2012 numero 27804/2008 , secondo cui il giudice, nel ridurre l’ammontare dei diritti e degli onorari richiesti dalla parte in modo specifico e dettagliato, ha l’obbligo di indicare il criterio di liquidazione adottato e le ragioni della riduzione, onde consentire all’interessato di individuare e denunziare in modo specifico le eventuali violazioni della legge o della tariffa. Va soggiunto che l’ordinanza de qua ha espressamente tenuto conto della parziale compensazione delle spese operata in sentenza. Tuttavia tale aspetto investe il rapporto processuale fra le parti e non quello sostanziale fra le stesse ed i rispettivi difensori Cass., 9633/2010 3996/2010 11065/1994 , mentre il cliente è tenuto al pagamento degli onorari nei confronti dell’avvocato indipendentemente dalla statuizione del giudice sulle spese giudiziali. In sostanza, proprio tale difetto di impostazione vizia in radice l’ordinanza qui impugnata. Il principio testé affermato è confermato a livello legislativo. Infatti, la controversia si iscrive nel novero dei casi disciplinati dall’articolo 28, della l. 794/1942, come riscritto dall’articolo 34 del dlgs. 150/2011, secondo cui per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 1 settembre 2011, numero 150 . Tale procedimento può essere proposto esclusivamente nei confronti del proprio cliente eccetto il caso di transazione e solo quando la controversia attenga alla misura del compenso, senza involgere l’an del corrispettivo dovuto per l’attività professionale relativa a prestazioni giudiziali civili. La liquidazione degli onorari che l’avvocato pretende dal proprio cliente, come chiarito già dalla giurisprudenza richiamata, è indipendente e svincolata dalla statuizione che condanna la parte soccombente al pagamento delle spese e degli onorari di causa. Ne consegue che il regolamento delle spese compiuto nel giudizio contenzioso patrocinato dall’avvocato - essendo regolato da criteri legali diversi - non può vincolare la successiva liquidazione del corrispettivo in sede di procedura promossa dall’avvocato nei confronti del cliente per la determinazione del corrispettivo medesimo. Ne discende l’accoglimento del motivo di ricorso. 5 Resta assorbito il secondo mezzo con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articolo 112 e 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3 e comma 4. Discende da quanto sopra la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio al Tribunale di Nocera Inferiore in diversa composizione per lo svolgimento del giudizio sulla liquidazione delle spese. Il Tribunale, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, al Tribunale di Nocera inferiore in diversa composizione, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.