Nel processo tributario, alle dichiarazioni rese da terzi in sede di verifica va attribuita una valenza indiziaria, da corroborare con ulteriori elementi. Il divieto di prova testimoniale posto dall’articolo 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, numero 546 si riferisce solamente alla prova testimoniale quale prova da assumere con le garanzie del contraddittorio all’interno del processo.
Lo ha stabilito la Cassazione con ordinanza numero 22349/18 dello scorso 13 settembre con cui ha accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate. Processo tributario divieto di prova testimoniale e rilevanza delle dichiarazioni rese da terzi nella fase procedimentale. In relazione alle dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, ovvero durante la verifica o comunque in sede procedimentale, la Cassazione, sin dal 2002, con la sentenza numero 903 ha precisato che «la limitazione probatoria della inammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario non comporta di per sé l'inutilizzazione, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi eventualmente raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale». Il valore proprio di tali dichiarazioni e non può essere altrimenti vista la peculiarità della materia e del processo tributario che si caratterizza per essere un processo di tipo “documentale” è quello degli elementi indiziari «i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione» cfr. anche numero 15331/14 e numero 9080/17 . La limitazione posta dal legislatore con l’articolo 7, comma 4, d.lgs. numero 546/1992 ha solo valenza processuale, riguardando la sola narrazione dei fatti resa da un terzo previo giuramento e come tale idonea ad acquisire un particolare valore probatorio di contro, le dichiarazioni rese nell'ambito di un'attività istruttoria assurgono a meri indizi suscettibili di valutazione da parte del giudice. La disposizione de qua ha avuto anche l’avallo della Corte Costituzionale sentenza numero 18/2000 . Inoltre, secondo la Cassazione cfr. Cass. numero 21813/2012 «le dichiarazioni rese da un terzo per essere utilizzate in sede di giudizio non devono essere rese necessariamente in contraddittorio con il contribuente, essendo in presenza di indizi che possono concorrere a formare il convincimento del giudice, salva la concreta verifica di attendibilità del dichiarante». L’assenza di contraddittorio non pregiudica infatti il diritto di difesa del contribuente che può sempre contestare la veridicità delle dichiarazioni dei terzi poste a base della pretesa impositiva nonché in virtù del principio della parità delle armi processuali sancito dall’articolo 111 Cost. introdurre a sua volta «controdichiarazioni di analoga natura, parimenti soggette al prudente apprezzamento delle commissioni tributarie» Corte Cost. numero 18/2000 . Tali considerazioni valgono ovviamente anche per le dichiarazioni rese a favore dei contribuenti. Infine si segnala la sentenza 27314/2014 con cui la Cassazione ha rincarato la dose stabilendo che quando tali dichiarazioni abbiano natura confessoria, le stesse integrano una prova presuntiva dotata dei caratteri di gravità, precisione e concordanza e sono idonee da sole a sorreggere la motivazione dell’avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione finanziaria. Il caso concreto. La vicenda riguardava alcuni avvisi di accertamento scaturiti da una verifica della Guardia di Finanza, con i quali l’amministrazione finanziaria recuperava a tassazione redditi di impresa non dichiarati da un condominio che svolgeva attività commerciale di prestazione di servizi per conto terzi, dissimulando un’attività di mera gestione condominiale. La CTR Calabria, in riforma della sentenza di primo grado, annullava gli atti impugnati ritenendo inammissibili nel processo tributario le testimonianze assunte dalla GdF in sede di verifica fiscale. Con il ricorso in Cassazione l’Agenzia delle entrate denunciava violazione dell’articolo 7, comma 4, d.lgs. numero 546/1992, in relazione al numero 4 dell’articolo 360 c.p.c., ovvero error in procedendo della sentenza della CTR per aver considerato inammissibili le dichiarazioni di terzi, la cui espunzione dagli elementi di giudizio non avrebbe consentito alla CTR una corretta valutazione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria. Il ricorso è stato accolto alla luce dei principi sopra considerati in particolare la Cassazione ricorda che la disposizione contenuta nell'articolo 7, comma 4, d.lgs. numero 546/1992 non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale limita i poteri del giudice tributario e non anche i poteri degli organi di verifica. cfr. da ultimo Cass. numero 9080/2017 . Nel caso di specie l’errore della CTR è stato quello di non considerare la valenza delle dichiarazioni di terzi ai fini della valutazione dell’esercizio dell’attività d’impresa da parte del condominio.
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 11 luglio – 13 settembre 2018, numero 22349 Presidente Locatelli – Relatore Guida Fatti di causa L'Agenzia delle entrate ricorre, con due motivi, nei confronti di P.G. e del Condominio omissis , per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria hinc CTR in epigrafe che - in controversia concernente l'impugnazione di avvisi di accertamento, scaturiti da una verifica della Guardia di Finanza, che recuperavo a tassazione, ai fini IVA, IRPEG, ILOR, per l'anno d'imposta 1997, redditi d'impresa non dichiarati derivanti da prestazione di servizi, per conto terzi, consistente nella gestione di beni immobili, dissimulata dalla mera gestione di un normale condominio - in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l'appello del condominio. La Corte regionale, innanzitutto, ha ritenuto inammissibili, nel processo tributario, le testimonianze assunte dalla GdF nell'accertamento fiscale inoltre, ha escluso che il condominio svolgesse attività d'impresa o commerciale e ha qualificato i versamenti dei condomini come meri contributi alle spese di gestione, ripartite in base alle tabelle millesimali infine, ha rimarcato che eventuali abusi, irregolarità ed evasioni fiscali dovessero essere ascritti alla persona fisica che amministrava l'ente, non già a quest'ultimo, come se si trattasse di un'impresa. P. e il omissis resistono con controricorso. Ragioni della decisione 1. Primo motivo di ricorso Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 7, comma 4, in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 4 . Si deduce l'error in procedendo della sentenza impugnata che ha affermato l'inutilizzabilità delle testimonianze acquisite durante la verifica fiscale perchè, testualmente inammissibili nel processo tributario cfr. pag. 3 della sentenza impugnata . Il D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 7, comma 4, stabilisce per quanto adesso rileva che, nel giudizio tributario, non è ammessa la prova testimoniale, il che non comporta, però, l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da terzi nel corso della fase amministrativa. L'erronea espunzione di tali dichiarazioni, secondo la difesa erariale, non avrebbe consentito alla CTR la corretta valutazione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria. 1.1. Il motivo è fondato. La CTR, nel negare ingresso alle dichiarazioni rese da terzi in fase amministrativa, ha contra legem disatteso il costante e condivisibile indirizzo della Cassazione, in virtù del quale Nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 7 si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l'impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell'amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice. . Cass. 7/04/2017, numero 9080 . Nella specie, osserva la Corte che la verifica, da parte del giudice di merito, della riconducibilità o meno dell'attività del condominio all'esercizio di un'impresa, con le relative ricadute sul piano dell'imposizione tributaria, diversamente da quanto affermato dalla CTR, non poteva prescindere dall'apprezzamento della rilevanza indiziaria delle dichiarazioni rese, nella fase amministrativa, dai privati agli organi accertatori. 2. Secondo motivo Violazione e falsa applicazione del D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 4 e D.P.R. numero 917 del 1986, articolo 87 in relazione all'articolo 360 c.p.c., numero 3 . Si denuncia che la sentenza impugnata abbia disconosciuto che l'ente di gestione fosse un soggetto passivo d'imposta, fondando il proprio convincimento sull'atto di compravendita di un appartamento del omissis , da cui risultava che l'acquirente s'impegnava a partecipare al costituendo consorzio per la gestione e la manutenzione delle parti comuni a più strutture abitative strade, illuminazioni . Tale clausola contrattuale, se interpretata correttamente, avrebbe dovuto indurre la CTR a qualificare il condominio come un consorzio tra i proprietari degli immobili del omissis che, quale ente esercente attività d'impresa, è assoggettabile a IVA e IRPEG in virtù delle norme appena richiamate. 2.1. Il motivo è inammissibile. E' il caso di ricordare il costante e condivisibile indirizzo della Corte, secondo cui la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto, nell'interpretazione del contratto, è tenuta a richiamare le regole dettate dagli articolo 1362 c.c. e segg. e ha l'onere di specificare quale canone sia stato disatteso dal giudice di merito e quale sia la clausola negoziale oggetto del lamentato vizio ermeneutico Cass. 28/11/2017, 28319 . Nella specie, invece, la censura si risolve, in modo non consentito, nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del significato di una clausola negoziale del contratto di compravendita di uno degli appartamenti del OMISSIS offerta dall'Amministrazione finanziaria e quella accolta dalla sentenza impugnata cfr. pag. 3 della decisione della CTR , con un apprezzamento di fatto, estraneo al controllo di legalità demandato alla Corte. 3. Accolto il primo motivo e inammissibile il secondo, la sentenza è cassata, con rinvio alla CTR, in diversa composizione, per il nuovo esame della vicenda, nel rispetto del principio di diritto sopra enunciato e anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo motivo dichiara inammissibile il secondo motivo cassa la sentenza impugnata rinvia alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.