Condivisa anche in Cassazione la visione della vicenda data dal PM e dal Tribunale. Legittima, di conseguenza, la perquisizione domiciliare e personale nei confronti dell’uomo, perquisizione che ha portato al sequestro probatorio del materiale ritraente la donna in occasione di atti sessuali e degli apparati elettronici nella cui memoria erano presenti immagini e video.
Utilizzare foto e video hot rubati alla propria ex compagna, minacciando di renderli pubblici per convincerla ad acconsentire a nuovi rapporti sessuali, è una violenza in piena regola. Corretta, sanciscono i Giudici del Palazzaccio, la visione tracciata dal PM e al Tribunale, visione che rende legittima la perquisizione – domiciliare e personale – che ha portato al «sequestro probatorio di un tablet, due telefoni cellulari, cinque supporti informatici e una micro sd», utilizzati dall’uomo sotto accusa per conservare il materiale riguardante l’ex fidanzata Cassazione, sentenza numero 38845, sezione terza penale, depositata oggi . Estorsione. Terreno di scontro è proprio il «decreto di perquisizione». Su questo fronte il legale dell’uomo sotto accusa contesta, in particolare, la visione della vicenda, originariamente catalogata come «estorsione» e poi, invece, considerata una «violenza sessuale tentata». Secondo i Giudici del Tribunale è evidente che «la minaccia posta in essere» dall’uomo nei confronti dell’ex compagna – cioè prospettare la divulgazione di foto e video «al pubblico e nel comune ambiente di lavoro» – «era in realtà finalizzata ad ottenere una prestazione sessuale, andando in tal modo a ledere, sia pure in forma tentata, la sfera sessuale e non patrimoniale» della donna. Ma questa valutazione è, secondo il legale, superficiale, poiché «essa richiama in termini generici la nozione di prestazione sessuale, senza esplicitare la natura e il contenuto della condotta eventualmente pretesa». Violenza. L’obiezione mossa dal difensore non convince però i Giudici della Cassazione. Questi ultimi, difatti, ritengono corretta la «qualificazione giuridica» della condotta tenuta dall’uomo, condotta che, osservano i magistrati, «appare effettivamente riconducibile allo schema non della tentata estorsione, ma della tentata violenza sessuale». In particolare, i magistrati evidenziano che «la minaccia telefonica rivolta dall’uomo alla sua ex è risultata diretta a costringerla a consumare un rapporto sessuale». Di conseguenza, proprio perché è prospettata chiaramente «l’imposizione di atti sessuali», non si può parlare di «estorsione» bensì di «violenza sessuale». Irrilevante, secondo i giudici, il richiamo difensivo a una presunta «genericità dell’espressione ‘prestazione sessuale’», poiché «i messaggi inviati dall’uomo all’ex compagna erano espliciti nell’indicare il contenuto delle pretese avanzate, non essendo necessaria la dettagliata specificazione dei comportamenti sessuali richiesti». Alla luce di questa prospettiva, è da ritenere legittima la «perquisizione domiciliare e personale», anche tenendo presente il «nesso di pertinenzialità dei beni attinti da cautela reale con l’ipotesi di reato ascritta». A quest’ultimo proposito, i giudici sottolineano che «sono stati oggetto di sequestro non qualunque foto o video, ma solo quelli ritraenti la donna in occasione di atti sessuali, quelli cioè utilizzati dall’uomo per le minacce finalizzate a ottenere indebitamente nuovi rapporti, oltre che gli apparati elettronici nella cui memoria erano contenute tali immagini».
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 1 dicembre 2017 – 23 agosto 2018, numero 38845 Presidente Cavallo – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con decreto del 27 marzo 2017, il P.M. presso il Tribunale di Bologna disponeva una perquisizione domiciliare e personale dei confronti di G.J., indagato in ordine al reato di tentata estorsione, per aver tentato di costringere E. V. a compiere atti sessuali con la minaccia di divulgare al pubblico e nel comune ambiente di lavoro del Policlinico Sant'Orsola Malpighi di Bologna le sue immagini fotografiche e videografiche a sfondo erotico acquisite dall'indagato, all'insaputa della vittima e senza il suo consenso, nel corso di una loro precedente relazione, fatto commesso in Bologna il 7 marzo 2017. All'esito della perquisizione, venivano rinvenuti e sottoposti a sequestro probatorio un tablet, due telefoni cellulari, cinque supporti informatici e una micro sd, strumenti compiutamente descritti nel relativo verbale. 2. Con ordinanza emessa il 24 maggio 2017, il Tribunale del Riesame di Bologna, nel decidere sull'istanza di riesame reale proposta nell'interesse di J., confermava il sequestro, riqualificando il fatto contestato nella fattispecie di cui agli articolo 56 e 609 bis cod. penumero , osservando in proposito che la minaccia posta in essere dall'indagato era in realtà finalizzata a ottenere una prestazione sessuale da parte della persona offesa, andando in tal modo a ledere, sia pure in forma tentata, la sua sfera sessuale e non patrimoniale. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale del Riesame, J., tramite il suo difensore, ricorre per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui contesta l'asserita carenza logico-argomentativa del provvedimento impugnato, nella parte in cui ha ritenuto di riqualificare il fatto, inizialmente inquadrato nella fattispecie di tentata estorsione, in quella di tentata violenza sessuale si sostiene al riguardo che il Tribunale non aveva dato conto degli elementi concreti valutati ai fini della riqualificazione giuridica del reato contestato, richiamando in termini eccessivamente generici la nozione di prestazione sessuale, senza esplicitare la natura e il contenuto della condotta eventualmente pretesa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. Occorre evidenziare innanzitutto che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte cfr. ex multis Sez. Unumero numero 16 del 19.6.1996, Rv. 205617 Sez. 1, numero 4274 del 23.6.1997, Rv. 208416 e Sez. 3, numero 37282 del 12.06.2008 Rv. 241067 , il giudice del riesame di un sequestro preventivo o probatorio, sia pure ai soli fini incidentali, ha il potere di riqualificare giuridicamente il fatto ipotizzato dal pubblico ministero, pur non potendo prescindere dalle concrete risultanze fattuali che l'organo dell'accusa ha indicato a giustificazione della misura. Orbene, tanto premesso, deve ritenersi che la qualificazione giuridica operata dal Tribunale di Riesame, oltre che corretta dal punto di vista processuale, sia immune da censure anche sotto il profilo sostanziale, posto che la condotta del ricorrente, per come delineata dalle risultanze investigative disponibili fatti salvi ovviamente i successivi sviluppi probatori , appare effettivamente riconducibile allo schema non della tentata estorsione, ma della tentata violenza sessuale. Ed invero nella vicenda in esame la minaccia telefonica rivolta da J. alla sua ex è risultata diretta a costringere la persona offesa a consumare un rapporto sessuale, non assumendo la condotta un risvolto patrimoniale idoneo a orientare la sussunzione del fatto nell'alveo della previsione di cui all'articolo 629 cod. penumero , avendo peraltro i giudici cautelari richiamato in modo pertinente il costante indirizzo ermeneutico Sez. 3, numero 34128 del 12.10.2006, Rv. 234779 e Sez. 3, numero 21577 del 24.4.2011, Rv. 218833 , secondo cui il tentativo di estorsione, nel caso in cui sia prospettata l'imposizione di atti sessuali, non è configurabile ove il fatto non presenti ricadute patrimoniali e gli atti imposti denotino una caratterizzazione di sessualità, che in quanto tale rende applicabile, in forza del principio di specialità, l'articolo 609 bis e non l'articolo 629 cod. penumero Né appare dirimente il rilievo difensivo circa l'asserita genericità dell'espressione prestazione sessuale , in quanto i messaggi inviati dal ricorrente alla persona offesa, cui il Tribunale nel suo provvedimento ha fatto espresso rinvio, erano espliciti nell'indicare il contenuto delle pretese avanzate, non essendo necessaria la dettagliata specificazione dei comportamenti sessuali richiesti, tanto più ove si consideri che la fattispecie di violenza sessuale è ravvisabile nella forma tentata. L'apparato motivazione dell'ordinanza impugnata, in definitiva, risulta congruo ed esaustivo, non solo rispetto alla corretta qualificazione giuridica del fatto, ma anche nella parte in cui è stata ribadita la sufficiente giustificazione, nel decreto del P.M., del nesso di pertinenzialità dei beni attinti da cautela reale con l'ipotesi di reato ascritta, essendo stati oggetto di sequestro non qualunque foto o video, ma solo quelli ritraenti la persona offesa in occasione di atti sessuali, cioè quelli utilizzata per le minacce finalizzate a ottenere indebitamente nuovi rapporti, oltre che gli apparati elettronici nella cui memoria erano contenute tali immagini. In definitiva, stante la manifesta infondatezza delle doglianze proposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , di sostenere le spese del procedimento. Tenuto poi conto della sentenza della Corte costituzionale numero 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.