Nella disciplina delle professioni intellettuali, il compenso va determinato in base alla tariffa e adeguato all’importanza dell’opera solo ove non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’articolo 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di sua determinazione, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti e poi, esclusivamente in mancanza di quest’ultima e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del Giudice, mentre non operano i criteri di cui all’articolo 36, comma 1, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato.
Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza numero 20428/18 depositata il 2 agosto. La fattispecie. Su ricorso di uno studio di ingegneria, il Tribunale di Perugia ha ingiunto ad un Ente della Pubblica Amministrazione il pagamento degli onorari dovuti da quest’ultimo al ricorrente. Detto decreto ingiuntivo è stato revocato all’esito del giudizio di opposizione promosso dalla Pubblica Amministrazione avanti al Tribunale di Perugia e detta sentenza è stata successivamente parzialmente riformata dalla Corte di Appello territoriale. La violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari non comporta la nullità del patto in deroga. Lo studio di ingegneria ha proposto ricorso avanti alla Corte di Cassazione sulla base di otto motivi, lamentando, per quanto di interesse nella presente trattazione, la mancata valutazione da parte della Corte di Appello della portata della l. numero 109/1994, come modificata dalla l. numero 415/1998, e la sua applicazione al caso concreto. Detta norma prevede espressamente la nullità di qualsiasi regolamentazione diversa dai “minimi inderogabili” ex articolo 17, comma 14-ter, ed è tesa a evitare la deroga all’applicazione dei minimi tariffari. Secondo quanto argomentato dai ricorrenti la volontà delle parti era quella di rinviare – nell’ambito del rapporto professionale con l’Ente Pubblico – alla fonte legislativa e l’unica norma applicabile al caso concreto sarebbe stato l’articolo 17, comma 14-ter, l. numero 109/1994. Accogliendo il ricorso, gli Ermellini hanno precisato che nella disciplina delle professioni intellettuali, il compenso va determinato in base alla tariffa e adeguato all’importanza dell’opera solo ove non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’articolo 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di sua determinazione, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti e poi, esclusivamente in mancanza di quest’ultima e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del Giudice, mentre non operano i criteri di cui all’articolo 36, comma 1, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari non comporta la nullità, ex articolo 1418, comma 1, c.c., del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili a un interesse generale, cioè dell'intera collettività, ma solo a un interesse della categoria professionale. Il primato della fonte contrattuale, pertanto, induce a ritenere che il compenso spettante al professionista, ancorché elemento naturale del contratto di prestazione d’opera intellettuale, sia liberamente determinabile dalle parti e possa anche formare oggetto di rinuncia da parte del professionista, salva l’esistenza di specifiche norme proibitive, che possono derivare soltanto da leggi formali o da altri atti aventi forza di legge riguardanti gli ordinamenti professionali, le quali limitando il potere di autonomia delle parti rendono indisponibile il diritto al compenso per la prestazione professionale e vincolante la determinazione del compenso stesso in base a tariffe.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 14 marzo – 2 agosto 2018, numero 20428 Presidente D’Ascola – Relatore Grasso Fatti di causa 1. Con decreto numero 448/01, notificato il 24 aprile 2001, il Presidente del Tribunale di Perugia ingiungeva alla Regione Umbria il pagamento della somma di lire 102.249.472, oltre interessi legali e rivalutazione sino al saldo, per il mancato pagamento degli onorari dovuti dalla Regione allo Studio Tecnico Ingegneri L.C. e F.O. . Avverso tale decreto ingiuntivo, la Regione Umbria proponeva opposizione. Il Tribunale di Perugia, con sentenza depositata 11 luglio 2008, accogliendo, per quanto di ragione, l’opposizione, condannava l’amministrazione a versare allo Studio Tecnico Ingegneri L.C. e F.O. la somma di Euro 52.807,44 oltre interessi e spese legali. 2. Avverso tale pronuncia proponeva impugnazione la Regione Umbria. La Corte d’appello di Perugia, con sentenza depositata il 14 novembre 2012, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato la Regione Umbria al pagamento, in favore dello Studio Tecnico, della somma di Euro 6.414,65 oltre accessori. Ha, inoltre, condannato gli appellati in solido al pagamento delle spese del primo e del secondo grado di giudizio, compensandole nella misura di 1/10. 3. Per la cassazione della decisione della corte d’appello lo Studio Tecnico Ingegneri L.G. e F.O. in liquidazione ha proposto ricorso sulla base di otto motivi. La Regione Umbria si è costituita con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c., dell’articolo 24 Costituzione e dell’articolo 183 c.p.c., nel testo vigente nel 2000, in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 5, c.p.comma Parte ricorrente, al riguardo, evidenzia che l’atto d’appello della Regione avrebbe introdotto, quali motivi a sostegno dell’impugnazione, argomentazioni, circostanze e eccezioni nuove e diverse da quelle formulate nell’atto di citazione in opposizione la menzione della determinazione dirigenziale numero 2572 del 14/7/1999 non depositata la circostanza che in base alla stessa il calcolo della parcella è stato determinato direttamente dall’appaltatore la limitazione della applicazione del principio di inderogabilità dei minimi tariffari la possibilità che le spese possano restare a carico dell’appaltatore . In questo modo l’appellante avrebbe alterato i termini della controversia, introducendo un nuovo tema di indagine e di decisione. 1.1. Il motivo è infondato. L’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, che riveste la posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto Cass. 3 febbraio 2006, numero 2421 . Le eccezioni vietate in appello, ai sensi dell’articolo 345, comma 2, c.p.c., sono soltanto quelle in senso proprio, ovvero non rilevabili d’ufficio , e non, indiscriminatamente, tutte le difese, comunque svolte dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d’ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni in senso lato o improprie Cass. 20 marzo 2017, numero 7107 . Il divieto non riguarda, peraltro, le contestazioni, in fatto e in diritto, che non comportino deduzione di fatti distinti rispetto a quelli già appartenenti alla causa. Nel caso di specie, la corte d’appello ha escluso che l’impugnazione abbia violato il divieto di nuove eccezioni, in quanto sin dall’atto di opposizione in prime cure la regione Umbria aveva sostenuto tutti gli argomenti oggetto della successiva impugnazione. La determinazione dirigenziale è stata inoltre menzionata dalla regione Umbria in primo grado e prodotta unitamente al ricorso per decreto ingiuntivo. In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, stante la mancanza di autonomia tra il procedimento che si apre con il deposito del ricorso monitorio e quello che originato dall’opposizione ex articolo 645 c.p.c., i documenti allegati al ricorso suddetto, rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell’articolo 638, comma 3, c.p.c., ed esposti, pertanto, al contraddittorio tra le parti, benché non prodotti nella fase di opposizione nel termine di cui all’articolo 184 c.p.c. nella formulazione applicabile ratione temporis , non possono essere considerati nuovi , sicché, ove depositati nel giudizio di appello, devono essere ritenuti ammissibili, non soggiacendo la loro produzione alla preclusione di cui l’articolo 345, comma 3, c.p.c. nel testo introdotto dall’articolo 52 della l. numero 353 del 1990 Cass. 4 aprile 2017, numero 8693 . La corte d’appello, inoltre, ha specificato che il mancato riferimento nell’opposizione all’atto presupposto determinazione dirigenziale di affidamento dell’incarico rispetto al contratto non ha alcun valore al fine della determinazione delle tariffe che le parti hanno consensualmente stabilitò nel contratto medesimo. Le questioni concernenti la limitazione del principio di inderogabilità dei minimi tariffari e l’aspetto dei rischi propri del contratto d’appalto emergono dagli scritti difensivi in primo grado. 1.2. La doglianza concernente il vizio di motivazione, del tutto genericamente formulata, non può essere ricondotta alla nuova previsione dell’articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c., disposta dall’articolo 54 del d.l. numero 83 del 2012 conv. con la legge numero 134 del 2012, per cui è denunciabile in cassazione solo l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il vizio motivazionale previsto dal numero 5 dell’articolo 360 c.p.c., pertanto, presuppone la totale pretermissione di uno specifico fatto storico. 2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c. in relazione all’art 360, comma 1, numero 3 c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c Parte ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Perugia, ha ritenuto i motivi d’appello sufficientemente specificati, respingendo l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione proposta. In particolare, si sottolinea che la Regione Umbria non avrebbe avanzato censure puntuali e specifiche, idonee a confutare l’iter logico giuridico seguito dal giudice di prime cure, in base al quale la fattispecie concreta è regolata dalla legge numero 109 del 1994, come modificata dalla legge numero 415 del 1998, e in particolare il compenso deve essere determinato ai sensi dell’articolo 17, comma 14 ter e quater, che sancisce la nullità di ogni patto contrario. 2.1. Il motivo è inammissibile. Quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudicè di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto Cass. 21 aprile 2016, numero 8069 Cass., Sez. Unumero , 22 maggio 2012, numero 8077 . L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, tuttavia, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di puntualizzare a pena di inammissibilità il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso Cass. 29 settembre 2017, numero 22880 . Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di ammissibilità di un motivo di appello, ha l’onere di menzionare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice d’appello e non sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne in ricorso per cassazione il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa mancanza di specificità. Nel caso di specie sono stati del tutto omessi i richiami al contenuto dell’atto di appello. 2.2. La doglianza concernente il vizio di motivazione, del tutto genericamente formulata, non può essere ricondotta alla nuova previsione dell’articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.comma 3. Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art 342 c.p.c. in relazione all’art 360, comma 1, numero 3, c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art 360, comma 1, numero 5, c.p.c. In ricorso si evidenzia che la sentenza del Tribunale di Perugia numero 723/08, resa in data il 4/2-1/7/2008, era passata in giudicato per decorrenza dei termini stabiliti ex lege per la valida proposizione dell’appello, termini ormai scaduti da diversi mesi al momento della costituzione nel giudizio di secondo grado dell’attuale ricorrente. 3.1. Il motivo è infondato. Al di là dell’erroneo richiamo all’articolo 342 c.p.c., che disciplina la forma dell’atto l’appello e non i termini per la sua proposizione, il gravame risulta essere stato tempestivamente proposto, essendo stata la sentenza del tribunale depositata in data 1 luglio 2008 e non notificata l’atto d’appello è stato presentato alla notifica l’8 settembre 2009 e lo stesso giorno notificato alla controparte, nel rispetto del termine che comprende la sospensione feriale e che può operare due volte, nell’ipotesi in cui, come nella specie, dopo una prima sospensione il termine annuale non sia decorso interamente al sopraggiungere del successivo periodo Cass. 29 settembre 2009, numero 20817 . 3.2. La doglianza concernente il vizio di motivazione, del tutto genericamente formulata, non può essere ricondotta alla nuova previsione dell’articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c., come dinanzi specificato. 4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 17, comma 14 bis, ter e quater legge 11 febbraio 1994, numero 109, come modificata dalla legge 18 novembre 1998, numero 415, in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360, comma 1 numero 5 c.p.comma Secondo quanto dedotto, la Corte d’appello di Perugia avrebbe omesso di valutare la portata della legge numero 109 del 1994, come modificata dalla legge numero 415 del 1998, e la sua applicazione al caso concreto, riformando senza alcuna motivazione la sentenza di primo grado e basando la propria decisione esclusivamente sull’esame della legge 5 maggio 1976, numero 340 e della legge 1 luglio 1977, numero 404. L’iter logico argomentativo seguito risulterebbe palesemente erroneo e contrario alle disposizioni di legge. La legge 109/94, come modificata dalla legge 415/98, normativa in materia di pubblici appalti successiva a quella applicata dalla corte d’appello, a tutela di un interesse pubblico, prevede espressamente la nullità di qualsiasi regolamentazione diversa dai minimi inderogabili ex articolo 17, comma 14 ter, ed è tesa a evitare la deroga all’applicazione dei minimi tariffari. Secondo quanto argomentato, la volontà delle parti era quella di rinviare alla fonte legislativa e l’unica norma applicabile al caso concreto era l’articolo 17, comma 14 ter, legge numero 109 del 1994 come modificata dalla legge numero 415 del 1998. I principi normativi applicabili alla stessa gara, alla procedura di affidamento lavori e al contratto, ivi compresi, quindi, quelli per la determinazione del compenso sarebbero stati stabiliti per esplicita volontà della Regione dell’Umbria, che aveva curato il bando per l’affidamento dell’incarico ai sensi dell’articolo 17, comma 1 lettere d , e e g della legge numero 415 del 1998. Con il quinto motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 17, comma 14 bis, ter e quater legge numero 109 del 1994, come modificata dalla legge numero 415 del 1998, in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c. Secondo partè ricorrente, nel rispetto di quanto stabilito dalla legge numero 109 del 1994, lo studio tecnico aveva eseguito l’incarico in diverse fasi di progettazione successive l’una all’altra, previste allo scopo di consentire alla Regione di valutare in diversi stadi il costo delle opere da realizzare e, di conseguenza, quello del compenso spettante al professionista. Tale valore è quello su cui deve essere calcolata la parcella secondo quanto stabilito dalla legge in materia articolo 17, commi 14 ter e quater, legge numero 109 del 1994, come modificata dalla legge numero 415 del 1998 e fatto oggetto della volontà delle parti nell’articolo 4 del contratto. Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 17, comma 14 bis, ter e quater legge numero 109 del 1994 come modificata dalla legge numero 415 del 1998 in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c. Il giudice del gravame, in violazione delle norme indicate e in contrasto con il contenuto della delibera regionale del 29 settembre 1999 numero 1400, non avrebbe tenuto conto della circostanza che la giunta regionale aveva approvato non solo lo schema di contratto, ma anche la cifra numerica indicata nello stesso e che era stata concordata con lo studio tecnico la percentuale di sconto stabilita nella misura del 10% e, quindi, nel rispetto dell’articolo 4, comma 12 bis, del d.l. numero 65/1989 convertito in legge numero 155 del 1989 , norma che sancisce unicamente la percentuale massima di sconto fissandola nel 20%. Con il settimo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1362, 1363 e 1366 c.c. in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c. La sentenza non avrebbe tenuto conto del fatto che l’articolo 4 della scrittura privata del 18 ottobre 1999 ha recepito le disposizioni in quel momento vigenti in materia di pubblici appalti e precisamente l’articolo 17 comma 14 ter legge numero 109 del 1994, come modificata dalla legge numero 415 del 1998. Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli arti. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c. La mancata corrispondenza tra la sentenza della corte d’appello e i principi di legge vigenti al momento della sottoscrizione della scrittura privata del 18 ottobre 1999 inficia anche il capo che ha disposto la condanna dello Studio Tecnico Ingegneri L.G. e F.O. in liquidazione al pagamento delle spese processuali del primo e del secondo grado. 4.1. Va innanzitutto esaminato il quarto motivo. Esso è fondato. 4.2. Nella disciplina delle professioni intellettuali, il compenso va determinato in base alla tariffa, e adeguato all’importanza dell’opera, solo ove non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’articolo 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di sua determinazione, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti e poi, esclusivamente in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’articolo 36, comma 1, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato Cass. 5 ottobre 2009, numero 21235 . La violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari non importa la nullità, ex articolo 1418, comma 1, c.c., del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili a un interesse generale, cioè dell’intera collettività, ma solo a un interesse della categoria professionale Cass. 25 gennaio 2017, numero 1900 Cass. 11 agosto 2011, numero 17222 Cass. 5 ottobre 2009, numero 21235 Cass. 28 gennaio 2003, numero 1223 Cass. 9 ottobre 1998, numero 10064 . Il primato della fonte contrattuale, pertanto, induce a ritenere che il compenso spettante al professionista, ancorché elemento naturale del contratto di prestazione d’opera intellettuale, sia liberamente determinabile dalle parti e possa anche formare oggetto di rinuncia da parte del professionista, salva l’esistenza di specifiche norme proibitive, che possono derivare soltanto da leggi formali o da altri atti aventi forza di legge riguardanti gli ordinamenti professionali Cass. 29 gennaio 2003, numero 1317 Cass. 11 aprile 1996, numero 3401 , le quali limitando il potere di autonomia delle parti, rendano indisponibile il diritto al compenso per la prestazione professionale e vincolante la determinazione del compenso stesso in base a tariffe. 4.3. Riguardo alla tariffa degli architetti e degli ingegneri, il secondo comma dell’articolo unico della legge 4 marzo 1958, numero 143, aggiunto dall’articolo unico della legge 5 maggio 1976, numero 340, stabilisce che i minimi di tariffa per gli onorari a vacazione, a percentuale ed a quantità, fissati dalla legge 2 marzo 1949, numero 143, o stabiliti secondo il disposto della presente legge, sono inderogabili. L’inderogabilità non si applica agli onorari a discrezione per le prestazioni di cui all’articolo 5 del testo unico approvato con la citata legge 2 marzo 1949, numero 143 . L’articolo 6, comma 1, della legge 1 luglio 1977, numero 404, interpretando autenticamente l’articolo unico della legge numero 340 del 1976 ne aveva limitato l’applicazione ai rapporti intercorrenti tra privati, introducendo nei commi successivi limiti ai compensi massimi per i casi d’incarichi di progettazione conferiti dallo Stato o da un altro ente pubblico a più professionisti per una stessa opera. Il principio di inderogabilità dei minimi tariffari degli architetti e degli ingegneri è stato dunque inteso dalla giurisprudenza di legittimità come applicabile soltanto ai rapporti intercorrenti tra privati Cass. 27 giugno 2011, numero 14187 Cass. 28 gennaio 2003 numero 1223 Cass. 19 luglio 2001 numero 9806 Cass. 26 gennaio 2000 numero 863 Cass. 30 agosto 1995 numero 9155 , escludendo i rapporti tra la pubblica amministrazione e il professionista esterno. Tale giurisprudenza, tuttavia, si è formata in relazione a ricorsi relativi a fattispecie precedenti alla l. numero 109 del 1994, come modificata dalla l. numero 415 del 1998 c.d. legge Merloni , con cui il legislatore aveva reintrodotto, anche per la pubblica amministrazione, il principio di inderogabilità dei minimi tariffari, con espressa comminatoria di nullità dei patti contrari v. Cass. 11 agosto 2009, numero 18223 . L’articolo 17 della l. numero 109 del 1994 nel testo all’epoca vigente prima dell’entrata in vigore del d.l. 4 luglio 2006 numero 223, conv. nella l. 4 agosto 2006 numero 248, c.d. decreto Bersani che ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali dalla data di entrata in vigore della legge stessa articolo 2 dopo aver espressamente separato gli incarichi di progettazione da ogni altra attività esecutiva degli stessi, vietandone l’attribuzione allo stesso professionista, ha stabilito specifici meccanismi di calcolo dei relativi compensi devoluti a decreti da emanare dal Ministro della giustizia in concerto con quello delle strutture o dei lavori pubblici e ne ha dichiarato l’inderogabilità con espressa comminatoria di nullità dei patti contrari con l’eccezione soltanto della riduzione del 20% dei minimi tariffari per la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico con onere a carico dello Stato e degli altri enti pubblici di cui al comma 12-bis dell’articolo 4 del decreto-legge 2 marzo 1989, numero 65, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1989, numero 155 . La convenzione intervenuta tra le parti cade ratione temporis sotto l’applicazione della c.d. legge Merloni. La corte d’appello, pertanto, dovrà verificare se siano stati rispettati i minimi tariffari, nella specie inderogabili, con riferimento alle prestazioni oggetto del contratto e se le opere realizzate siano conformi a quanto pattuito. 5. Per effetto dell’accoglimento del quarto mezzo, restano assorbite le ulteriori censure articolate in ricorso. 6. La sentenza impugnata è cassata. La causa deve essere rinviata, per un nuovo esame, alla Corte d’appello di Perugia, che la deciderà in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto e dichiara assorbito l’esame dei restanti motivi cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione.