Esclusa la responsabilità in solido dell’azienda sanitaria se il medico di servizio viene assolto

L’assoluzione del medico in servizio dall’imputazione formulata a suo carico comporta necessariamente la liberazione dell’azienda sanitaria da qualsiasi obbligo risarcitorio inerente la vicenda oggetto del giudizio.

L’imperizia dei medici. E’ questa la conclusione a cui giunge la Corte di Cassazione con la sentenza numero 41982 depositata il 25 ottobre 2012 affrontando una vicenda legata alla responsabilità di due medici, uno generico l’altro di servizio presso l’ente sanitario, in un caso di omicidio colposo. In particolare, i due imputati erano stati ritenuti colpevoli per la morte di una paziente e condannati dal giudice di prime cure alla pena di un anno di reclusione nonché al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili in solido con il responsabile civile dell’Azienda USL territoriale. Secondo il Tribunale, i due medici, per imperizia professionale, avevano causato la morte della paziente per emorragia cerebrale conseguente ad una malattia autoimmune. Entrambi i professionisti avevano sottoposto a visita in giorni successivi la giovane, omettendo, per imperizia, un esame emocromocitometrico, che avrebbe consentito di evidenziare la piastrinopenia e quindi di intervenire con adeguato trattamento terapeutico. L’incertezza della rilevanza causale. In sede di appello, il giudice, in parziale riforma della sentenza impugnata, assolveva il medico di servizio presso il pronto soccorso dell’ospedale dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste, confermando nel resto la condanna del medico generico in solido con il responsabile civile USL al pagamento di una provvisionale di € 100.000 in favore di ciascun genitore della paziente e di € 50.000 in favore del fratello. In particolare, secondo la Corte territoriale, il medico di base, perfettamente informato della grave malattia della giovane, avendone seguito l’evoluzione sintomatologica e diagnostica, non aveva operato secondo i dettami della scienza medica che imponeva davanti ai sintomi accusati dalla paziente tempestivi ed adeguati approfondimenti diagnostici. Al contrario, con riferimento al medico del pronto soccorso, la stessa Corte ha ritenuto esservi ragionevole dubbio circa la reale efficacia causalmente condizionante della condotta dell’imputato, nel senso che non poteva escludersi che il calo piastrinico fosse già al momento della sua visita tanto pronunciato da essere ormai irreversibile. L’incertezza sul punto – si legge nella sentenza - determinava, dunque, incertezza sulla rilevanza causale della condotta dell’imputato, derivandone la decisione assolutoria. La posizione dell’AUSL. Contro la sentenza propongono ricorso tutti i soggetti coinvolti nella vicenda. In particolare, il responsabile dell’Azienda USL contesta la decisione, sostenendo di essere stato chiamato in giudizio in relazione alla posizione del medico di servizio del pronto soccorso, in quanto legato da un rapporto organico con l’Ente, di guisa che, una volta assolto il medico stesso da ogni addebito, anche la posizione del responsabile civile dell’Azienda doveva essere liberata da ogni obbligo risarcitorio. D’altra parte, continua la difesa del responsabile dell’Ente, nessun rapporto poteva configurarsi tra l’Azienda e il medico generico , assumendo quest’ultima soltanto una posizione di garanzia per il medico in servizio. Infine, la Corte di Appello territoriale, secondo la difesa, sarebbe andata ultra petitum posto che l’azienda sanitaria era stata chiamata per rispondere dell’operato del medico di servizio e non anche del medico generico. Nessuna responsabilità in solido. Sul punto gli Ermellini riconoscono la fondatezza del ricorso. Infatti, l’azienda sanitaria era stata evocata in giudizio dalle parti civili , costituendosi nella qualità di datore di lavoro del medico di servizio presso l’ospedale civile, con la condanna in solido ai sensi dell’articolo 2049 c.c. Tuttavia, secondo il Palazzaccio , è di tutta evidenza che una volta assolto il medico dall’imputazione formulata, viene meno la responsabilità in solido dell’azienda sanitaria. In buona sostanza, secondo i giudici della Cassazione, le parti civili non avrebbero potuto chiamare in giudizio la stessa azienda in relazione alla posizione del medico generico convenzionato, posto che tra costui e la stessa azienda – precisano gli Ermellini – non ricorre alcun rapporto di dipendenza organica né di ausiliarità, assumendo il medico convenzionato la qualifica di libero professionista, liberamente scelto dal paziente, del tutto autonomo e libero nella predisposizione degli strumenti che mette a disposizione dell’ammalato e nella scelta delle cure da praticare. Non intercorrendo nessun rapporto organico tra il medico di base e l’azienda, non è possibile riconoscere in capo a quest’ultima, in relazione all’addebito di colpa riconosciuto a carico del medico, una posizione di garanzia che la identifichi quale soggetto solidalmente obbligato al risarcimento del danno. Erroneamente la Corte territoriale – chiosano i giudici della Cassazione -, pur dopo aver assolto il medico di servizio da ogni addebito, aveva confermato il capo della sentenza di primo grado che aveva condannato l’azienda sanitaria, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite. Da qui l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla condanna della stessa nei confronti del responsabile civile dell’azienda. Da rilevare anche l’annullamento senza rinvio, ai fini penale, della sentenza impugnata nei confronti del medico generico perché il reato allo stesso ascritto risulta estinto per intervenuta prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 marzo - 25 ottobre 2012, numero 41982 Presidente Sirena – Relatore Foti Ritenuto in fatto -1- Con sentenza del Tribunale di Viareggio, del 17 luglio 2008, L.P. e P.L.E. sono stati ritenuti colpevoli del delitto di omicidio colposo, commesso in pregiudizio di Pa.Fr. , e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, li ha condannati alla pena di un anno di reclusione ciascuno nonché al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio, in solido con il responsabile civile Azienda USL numero di Viareggio. Secondo l'accusa, condivisa dal giudice del merito, i due imputati, per imperizia nell'esercizio della professione medica, hanno causato la morte della Pa. sopraggiunta, il omissis , per emorragia cerebrale conseguente a piastrinopenia nel quadro di una sindrome di anticorpi antifosfolipidi intervenuta quale complicanza di un lupus eritematoso sistemico LES . In particolare, il P. quale medico di base, il L. quale medico in servizio presso il pronto soccorso dell'ospedale omissis , avendo sottoposto a visita, rispettivamente, l’ omissis il primo, il omissis successivo il secondo, la Pa. , affetta da lupus eritematoso sistemico , per imperizia, avevano omesso di eseguire sulla paziente un esame emocromocitometrico, che avrebbe consentito di evidenziare una piastrinopenia, e quindi di intervenire tempestivamente con adeguato trattamento terapeutico. -2- Su appello proposto dagli imputati, dal responsabile civile e dalle parti civili, la Corte d'Appello di Firenze, con sentenza del 23 ottobre 2009, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha assolto il L. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste, confermando nel resto, con condanna del P. al pagamento, in solido con il responsabile civile Usl numero di Viareggio, di una provvisionale dell'importo di 100.000,00 Euro in favore di ciascun genitore della giovane deceduta, Pa.Ot. e D.G.M. , e di 50.000,00 Euro in favore del fratello, Pa.Anumero , nonché delle spese sostenute dalle stesse parti civili per la consulenza del prof. p. e di quelle del grado. Quanto al dott. P. , quindi, la corte territoriale ha ribadito che lo stesso, perfettamente informato, in quanto medico curante della giovane, della grave malattia di cui la stessa era affetta, avendone seguito l'evoluzione sintomatologica e diagnostica, non aveva operato secondo i dettami della scienza medica che imponeva, davanti ai sintomi che accusava la Pa. , tempestivi ed adeguati approfondimenti diagnostici che, se eseguiti, avrebbero evidenziato l'aggravarsi della malattia e l'insorgenza della piastrinopenia ed avrebbero permesso il ricorso alle terapie più adeguate che avrebbero salvato la vita alla paziente. A tali conclusioni, i giudici del gravame sono pervenuti richiamando, in particolare, la documentazione ed i risultati delle consulenze in atti, nonché le dichiarazioni rese dai familiari e conoscenti della vittima. Quanto al dott. L. , la stessa corte ha ritenuto esservi ragionevole dubbio circa la reale efficacia causalmente condizionante della condotta dell'imputato, nel senso che non poteva escludersi che il calo piastrinico fosse già, al momento della visita del dott. L. , del OMISSIS , tanto pronunciato da essere ormai irreversibile l'incertezza sul punto, determinava, dunque, incertezza sulla rilevanza causale della condotta dell'imputato. Di qui la decisione assolutoria. -3- Avverso detta sentenza propongono ricorso, per il tramite dei rispettivi difensori, il P. ed il L. nonché il responsabile civile, azienda USL numero XX di Viareggio e le parti civili Pa.Ot. , Pa.Anumero e D.G.M. . 3.1 P.L.E. propone vari motivi di doglianza, diversamente articolati, tutti diretti a censurare la motivazione della sentenza impugnata, sotto i profili della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, con riguardo alla sussistenza, sia di una condotta colposa ascrivibile all'imputato, sia del nesso di causalità tra tale condotta e l'evento determinatosi. Al tema della colpa si ricollegano i primi quattro motivi di ricorso, con i quali il ricorrente esamina l'iter argomentativo della motivazione e ne segnala i punti che presentano, a giudizio dello stesso, vizi motivazionali ed anche errori, in punto di ricostruzione dei fatti, come l'indicazione delle date di talune delle visite effettuale dalla Pa. , e persino talune imperfezioni espressive. Nel complesso, il ricorrente sostiene che la motivazione si caratterizza per una serie di giudizi espressi apoditticamente, laddove, ad esempio, si è sostenuto in sentenza che l'imputato avrebbe dovuto cogliere i sintomi delle insorgenti complicanze della malattia di cui era affetta la Pa. ed approfondirli attraverso adeguati esami di laboratorio. Convinzione espressa, tuttavia, senza considerare, si sostiene nel ricorso, che di tali sintomi, fino alla data dell'ultima visita, del omissis , il dott. P. non poteva avere contezza, in quanto le prime significative manifestazioni di essi erano intervenute nei giorni successivi. Così come li ignorava la dott.ssa Z. , specialista della clinica reumatologica omissis , che, ancora nella giornata del 10 giugno, dopo avere parlato per telefono con la Pa. , aveva annotato che la paziente era asintomatica così come nulla di significativo avevano segnalato altri medici, dentisti e dermatologi, che l'avevano sottoposta a visita. E sì che i sintomi qualificanti dell'ingravescenza del male di cui la giovane era affetta riguardavano l'insorgere di fenomeni emorragici, certamente assenti fino al omissis . Altri giudizi espressi dalla corte territoriale sarebbero il frutto di travisamenti o di adesioni acritiche alle dichiarazioni di taluni parenti ed amici della vittima, la cui attendibilità avrebbe dovuto essere valutata con attenzione e raffrontata con altri dati probatori, anche documentali, che, se esaminati e correttamente valutati, ne avrebbero attestato la incongruenza e la generale inattendibilità tali dati i giudici del merito avrebbero del tutto ignorato, benché chiaramente indicati nei motivi d'appello. Al tema del nesso causale si ricollegano gli ultimi due motivi di ricorso. Sostiene in proposito il ricorrente che, così come statuito nei confronti del coimputato dott. L. , anche per il P. i giudici del gravame avrebbero dovuto prendere atto dell'irreversibilità del calo piastrinico che, ammesso per la giornata del omissis - data della visita del dott. L. -, non poteva che riguardare anche la giornata del 13, ove anche si consideri che nessun accertamento è stato fatto ai fini della verifica dei valori piastrinici nelle giornate precedenti il 14. Non vi sarebbe in atti, quindi, alcuna certezza che il omissis il deficit piastrinico fosse ancora fronteggiabile, mentre i pareri espressi dal consulente di parte civile, prof. p. , la cui figura di eminente scienziato non viene, tuttavia, messa in dubbio, avrebbero solo valore scientifico generale e non potrebbero inserirsi nella vicenda processuale, non avendo l'eminente clinico mai visitato la Pa. . Il giudice del gravame, poi, ancora in tema di nesso causale, non avrebbe adeguatamente considerato l'assunzione, da parte della paziente, di farmaci antinfiammatori non steroidi, c.d. Fans , che possono provocare la piastrinopenia sul punto, lo stesso giudice avrebbe reso una motivazione illogica ed incoerente, essendo giunta anche a stravolgere le indicazioni del prof. p 3.2 L.P. deduce violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata circa l'affermata irrilevanza di ogni controllo, da parte del giudice d'appello, sui contenuti dell'impugnazione, stante l'intervenuta assoluzione dell'appellante perché il fatto non sussiste per l'incerta esistenza del nesso di causa tra la condotta colpevole ipotizzata e l'evento. La decisione assolutoria, nei termini in cui è stata articolata sotto il profilo motivazionale è ritenuta non coerente rispetto alle emergenze probatorie e lesiva della reputazione e del decoro del professionista, non avendo la corte territoriale per nulla escluso la condotta imperita contestata in tesi d'accusa. Il ricorrente, dopo avere rilevato le numerose incongruenze della motivazione, si duole, in particolare, del fatto che la corte abbia deciso di non esaminare e valutare l'appello proposto nei punti in cui era stata segnalata l'assoluta adeguatezza della condotta professionale del L. e l'inconsistenza delle accuse, anche sotto il pregiudiziale profilo delle condotte colpose ingiustamente attribuitegli. L'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l'assoluzione per insussistenza del fatto - in considerazione dei dubbi rilevati in punto di nesso causale tra il decesso della paziente e la condotta contestata - rendeva non necessario l'esame dell'appello sulle questioni afferenti la sussistenza della condotta colpevole, è considerata dal ricorrente alla stregua di una mancanza assoluta della motivazione su punti decisivi, ovvero di una motivazione manifestamente illogica. Sia il P. che il L. , quindi, concludono chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. 3.3 Il responsabile civile, Azienda USL numero di Viareggio deduce a Violazione degli articolo 83, 185 cod. penumero , 2055, 1218 e 2043 cod. civ., 1228 e 2049 cod. civ Sostiene il ricorrente di essere stato evocato in giudizio, e vi si era costituito, in relazione alla posizione del dott. L. , unico tra i due medici imputati che era legato da rapporto organico con l'Ente, di guisa che, una volta assolto il dott. L. da ogni addebito, esso responsabile civile avrebbe dovuto essere necessariamente liberato da qualsiasi responsabilità risarcitoria inerente i fatti oggetto del procedimento. Del tutto indebita sarebbe, quindi, la condanna al risarcimento dei danni, posto che nessun rapporto il dott. P. , unico imputato riconosciuto responsabile della morte della Pa. , aveva con l’Ente pubblico, che assumeva una posizione di garanzia solo per il dott. L. , medico in servizio presso il pronto soccorso dell'ospedale b Violazione di legge, in relazione al difetto di “ legitimatio ad causam ” dell'azienda sanitaria. Si sostiene nel ricorso che, ove anche volesse ritenersi che l'azienda fosse stata chiamata in giudizio anche per la posizione del dott. P. , la sentenza impugnata sarebbe ugualmente censurabile per l'errata identificazione del soggetto passivo del rapporto risarcitorio. La sentenza, in sostanza, sarebbe censurabile in quanto emessa, in violazione della legge afferente la vocatio in ius , nei confronti di un soggetto diverso dal legittimo contraddittore. Il giudice, infine, sarebbe andato ultra petitum , posto che l'azienda sanitaria era stata chiamata per rispondere dell'operato del dott. L. , non anche del dott. P. , come emerge dalla lettura della richiesta di citazione del responsabile civile. Conclude, quindi, il ricorrente, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata per gli effetti civili, e quindi ai fini della responsabilità civile affermata nei confronti dell'Azienda. 3.4 Le parti civili, Pa.Ot. , Pa.Anumero e D.G.M. deducono il vizio di motivazione della sentenza impugnata, limitatamente al capo della stessa che ha mandato assolto L.P. dal reato ascrittogli. Ritengono le ricorrenti contraddittorio ed illogico l'iter argomentativo della sentenza, laddove è stata ritenuta incerta l'esistenza del nesso causale tra la condotta contestata al dott. L. e la morte della congiunta - non essendo certo, secondo i giudici del gravame, che il giorno 14 giugno, data della visita della giovane da parte del L. , vi fosse ancora la possibilità di intervenire utilmente, e dunque di evitare l'emorragia e salvare la vita della paziente - mentre poco prima era stato affermato che, se fosse stato disposto, il ricovero nella giornata del 14 giugno avrebbe ancora avuto risultati positivi, ed inoltre, che se fossero stati eseguiti il 14 giugno, gli esami ematici avrebbero evidenziato il calo piastrinico che avrebbe potuto essere positivamente trattato. Lo stesso prof. p. aveva sostenuto che, a suo giudizio, il sabato 15 giugno forse era già tardi, ma che se il ricovero fosse avvenuto uno e quindi il 14 , due, tre giorni prima, la paziente avrebbe potuto essere salvata. Anche le parti civili concludono chiedendo l'annullamento, sul punto, della sentenza impugnata. -4- Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 5 gennaio 2011, P.L.E. ha proposto, attraverso i propri difensori, motivi aggiunti. Dopo avere svolto considerazioni di carattere generale, il ricorrente, richiama taluni argomenti che erano stati posti, con i motivi d'appello, all'attenzione della corte territoriale e ne lamenta la sostanziale pretermissione da parte della stessa corte. Così, con riguardo alla riconoscibilità dei sintomi lamentati dalla paziente nelle giornate dell’ omissis quali segni di una condizione clinica stabilizzata - e dunque della legittimità della decisione di non esperire un nuovo emocromo, ritenendo che ne mancassero i presupposti - piuttosto che della insorgenza di manifestazioni emorragiche o trombotiche che avrebbero preannunziato una fase aggressiva della malattia. Sul punto, il giudice del gravame nulla avrebbe osservato, avendo anche finito con il confondere i sintomi di base della malattia reumatica con quelli di una sua fase aggressiva. Di qui, a giudizio del ricorrente, la nullità della sentenza impugnata per mancanza di motivazione e per manifesto travisamento della prova attinente la sussistenza delle condotte contestate. Ancora, lamenta il ricorrente che la corte territoriale ha ignorato i forti dubbi di credibilità che caratterizzerebbero le dichiarazioni rese dai familiari e dagli amici della paziente circa la sussistenza, all'epoca delle visite del dott. P. e del dott. L. , di fenomeni emorragici. Anche su tale tematica la corte avrebbe omesso qualsiasi approfondimento e non avrebbe considerato che al sanguinamento non hanno fatto riferimento altri sanitari che avevano avuto in cura la Pa. e che persino la madre della stessa aveva riferito che l'emorragia si era manifestata solo il omissis . Non era stata poi vagliata l'attendibilità dei testi che avevano segnalato la presenza di emorragia nei giorni precedenti. Anche la mancanza di motivazione su tali temi determinerebbe la nullità della sentenza. Contesta ancora il ricorrente la tesi di un sanguinamento precedente la giornata del omissis e nega che tale tesi possa trovare conforto nel certificato redatto dal dott. L. il omissis e sostiene che le stesse dichiarazioni della madre della Pa. sarebbero state travisate dal giudice del gravame. Così come travisate sarebbero state talune osservazioni del consulente della parte civile, prof. p. , in particolare quelle relative agli effetti determinati sul deficit piastrinico dall'uso di antinfiammatori. Travisamenti e assenze motivazionali che determinerebbero, quindi, la nullità della sentenza impugnata. Considerato in diritto -1- Ricorso di P.L. . 1.1 Per quanto si riferisce agli aspetti penali della vicenda in esame, osserva, anzitutto, la Corte che, non ravvisandosi ragioni di inammissibilità del ricorso, il reato contestato all'odierno ricorrente è estinto per prescrizione. Accertato, invero, che il decesso della Pa. è sopraggiunto il omissis e che, avuto riguardo alla pena prevista per il delitto contestato, come ritenuto dai giudici del merito, il termine di prescrizione è di cinque anni, estensibile fino a sette anni e sei mesi, come previsto dall'articolo 157 c.p. nella nuova e nella formulazione precedente la legge numero 251/05, quest'ultima applicabile nel caso di specie perché al momento dell'entrata in vigore di detta legge il procedimento era pendente in appello , deve prendersi atto del fatto che tale termine, pur tenuto conto di un breve periodo di sospensione dovuto al rinvio del processo su richiesta della difesa, è interamente decorso in epoca successiva all'emissione della sentenza impugnata. D'altra parte, le diffuse e coerenti argomentazioni svolte dal giudice del gravame nella medesima sentenza escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ex articolo 129, comma 2, c.p.p., posto che dall'esame di detta decisione non solo non emergono elementi di valutazione idonei a riconoscere la prova evidente dell'insussistenza del fatto contestato all'imputato o della sua estraneità al medesimo, ma sono rilevabili valutazioni di segno del tutto opposto, conducenti alla responsabilità dello stesso. La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata senza rinvio, essendo rimasto estinto per prescrizione il reato ascritto. 1.2 A questo punto occorre, tuttavia, rilevare che - in tema di declaratoria di estinzione del reato - l'articolo 578 cod. procomma penumero prevede che il giudice d'appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta, come nel caso di specie, condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati , sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti civili a tal fine, quindi, richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte, occorre procedere all'esame dei motivi di ricorso, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno anche solo generica dalla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'articolo 129 comma 2^ c.p.p Orbene, ritiene la Corte che, anche sotto lo specifico profilo appena menzionato, le censure mosse dal P. alla sentenza impugnata sono infondate ed ingiustificate alla luce della congruità e coerenza logica della motivazione, frutto di scrupoloso esame degli atti e di attenta disamina dei motivi di doglianza articolati nell'atto d'appello. Il giudice del gravame, invero, dopo avere ricordato che, secondo quanto sostenuto da tutti i consulenti intervenuti, il decesso della paziente è stato determinato da un'emorragia cerebrale causata da una piastrinopenia, nel quadro di una sindrome da anticorpi antifosfolipidi che ha complicato un lupus eritematoso sistemico LES , ha ribadito la responsabilità dell'imputato che, quale medico curante della Pa. , aveva certamente seguito l'evolversi della malattia della giovane donna ed era quindi nelle condizioni di percepirne la progressiva gravità e di predisporre i necessari interventi terapeutici, eventualmente preceduti da ulteriori approfondimenti diagnostici, che ne avrebbero salvato la vita. In particolare, la corte territoriale, richiamando le acquisizioni probatorie in atti, ha ricordato la storia clinica della paziente, e dunque a gli iniziali dolori articolari astralgie alle ginocchia, alle mani ed ai gomiti, comparsi nell'estate dell'anno 2001, ed i risultati dei primi accertamenti ematologici, che avevano evidenziato un'alterazione delle autoimmunità ed una possibile diagnosi di connettivite, oltre che una positività dei fattori ANA e ENA situazione segnalata per iscritto al dott. P. , nell'ottobre dello stesso anno, dai responsabili dei centri ospedalieri ove le indagini cliniche erano state eseguite b i dolori al polpaccio, accusati nel novembre dello stesso anno, con arrossamenti e tumefazioni attestanti la presenza di una flebo trombosi all'arto inferiore sinistro, ritenuta indicativa della sussistenza di una malattia autoimmune sistemica situazione pure segnalata al dott. P. dalla struttura ospedaliera ove la paziente aveva eseguito ulteriori accertamenti, che aveva consigliato un ricovero per i necessari approfondimenti c lo svilupparsi, durante il ricovero in ospedale, tra la fine di novembre ed i primi giorni di dicembre 2001, di un rash cutaneo tipo orticaria ed i risultati delle ulteriori analisi cliniche, che avevano diagnosticato una connettivite indifferenziata con pregressa tromboflebite arto inferiore sinistro d i risultati di altri esami ematologici, eseguiti nel febbraio 2002, dai quali era emersa la positività di alcuni fattori indicativi del Lupus eritematoso sistemico , tra i quali il LAC anticoagulante lupico , la cui positività era stata definitivamente accertata i primi di maggio del 2002, dopo ulteriori esami ematologici e la comparsa, negli ultimi giorni dello stesso mese di maggio, di ulcere al cavo orale e disturbi alle orecchie, per la cui cura il dott. P. aveva prescritto dei farmaci f la comparsa, il 1 giugno successivo, di un eritema nella zona medio facciale alla visita dermatologica eseguita presso una struttura ospedaliera era stata riscontrata una eruzione cutaneo-mucosa ad elementi eritemato papulosi in zona centro facciale e alle mani. Alle labbra e al palato duro sono presenti aree disepitelizzate , per la quale erano stati prescritti degli antibiotici e dei farmaci per il trattamento locale e del cavo orale g la comparsa, nei giorni successivi, di diffusi dolori articolari, accompagnati da eccessiva stanchezza, sanguinamenti alle gengive, macchie al volto ed alle mani, mal di gola e rumore alle orecchie situazione segnalata in due diverse occasioni, l’ omissis , al dott. P. , che aveva prescritto uno spray per la gola e delle gocce per le orecchie h la drammatica corsa finale, nella giornata del omissis , al pronto soccorso dell'ospedale di omissis , la visita, in tale occasione, da parte del dott. L. ed il consiglio dello stesso di contattare il reparto di reumatologia dell'ospedale di , la dimissione ed il rientro in casa i l'intervento, il giorno , della guardia medica con immediato trasporto in ambulanza al pronto soccorso dell'ospedale che, dopo vari esami e consulenze, aveva diagnosticato una emorragia intracranica da piastrinopenia acuta in LES seguito dal trasferimento, il giorno , presso il reparto di rianimazione dell'ospedale di , ove la giovane era deceduta il giorno successivo. Il decesso della paziente è dunque intervenuto dopo ben due anni di doloroso calvario, caratterizzato da una sintomatologia che, secondo il coerente argomentare del giudice del gravame, sostenuto da precise valutazioni medico legali tratte dalle consulenze in atti, fin dall'inizio richiamava una connettivite. Questa, indicata come possibile già nell'ottobre del 2001 e segnalata per iscritto al P. dai responsabili della struttura ospedaliera che avevano eseguito i primi accertamenti, in seguito concretamente diagnosticata seppure provvisoriamente indicata come indifferenziata, cioè non ancora ben definita , è stata ben presto classificata come Lupus allorché, in esito ad ulteriori esami, eseguiti nel novembre del 2001 e ripetuti nel maggio dell'anno successivo, è stata evidenziata la positività al Lac anticoagulante lupico che rappresenta, secondo il parere, richiamato dai giudici del merito, espresso dal prof. p. , da tutti riconosciuto come il più autorevole esperto in materia, come marker specifico di una complicanza del Lupus. Ovvero di una sindrome da anticorpi antifosfolipidi caratterizzata da manifestazioni trombotiche come quella registrata nella paziente nel novembre del 2001 e da eventuali emorragie a livello di mucose nasali, gengivali del condotto auditivo, come quelle registrate alla fine di maggio e nel giugno del 2002 che rappresentano una complicanza di detta sindrome e sono indicative di una piastrinopenia che è stata poi la causa dell'emorragia cerebrale che ha causato il decesso della Pa. . Non v'è dubbio, quindi, che, in considerazione del perdurare di sintomatologie quantomeno sospette manifestate dalla paziente, della presenza di complicazioni che dal loro apparire già nel novembre del 2001 hanno consentito di diagnosticare una connettivite, proprio il dott. P. , medico curante della giovane ed informato dei risultati dei diversi esami eseguiti in varie strutture ospedaliere, avrebbe dovuto mantenere alta l'attenzione e seguire passo dopo passo l'evolversi della malattia, fino a prendere atto della positività al Lac, accertata fin dal febbraio 2002 e ad attribuire alla presenza sul viso di un eritema a farfalla, rilevato il 1 giugno 2002, sgombrato il campo da qualsiasi ulteriore residuo dubbio, il segno evidente e definitivo della presenza del Lupus. Ed allora, la serie di disturbi accusati dalla giovane tra la fine di maggio ed i primi giorni di giugno dolori articolari, stanchezza, gonfiore alle mani, lesioni al cavo orale, bruciore alla gola, sanguinamenti alle gengive, macchie al volto, rumori alle orecchie che l'avevano indotta a recarsi ripetutamente dal dott. P. , da ultimo nelle giornate dell’ omissis , non potevano essere liquidate dal medico con la prescrizione di una blanda terapia farmacologica, ma avrebbero dovuto essere considerate, come giustamente sostenuto dai giudici del merito, quali ulteriori sintomi dell'ingravescenza della patologia di cui la Pa. era affetta, che meritava ben altri interventi, e comunque, quantomeno, la prescrizione di analisi in grado di verificarne l'attuale stato, l'invio presso una qualificata struttura ospedaliera, in grado di predisporre le più appropriate e tempestive terapie. In realtà, l'imputato non ha evidentemente riconosciuto, nei sintomi ripetutamente manifestati dalla paziente i segni del costante e progressivo aggravarsi della malattia di cui la stessa era affetta, benché di essa fosse stato costantemente informato, e malgrado la reiterata ed angosciata richiesta di assistenza negli ultimi tempi rivoltale dalla giovane donna, a fronte di un evidente peggioramento delle sue condizioni cliniche attestato, secondo quanto condivisibilmente sostenuto dai giudici del merito, oltre che dalla documentazione medica acquisita, anche dalle dichiarazioni testimoniali in atti, rese da amici e parenti della paziente, tutte convergenti nella descrizione di una sofferenza fisica persistente e sintomatica di un progressivo aggravamento della situazione clinica e dei concreti rischi di emorragia, che rendevano necessari altri interventi da parte del medico, taluno dei quali del tutto banale, come l'effettuazione di un esame emocromocitometrico, che avrebbe facilmente ed immediatamente evidenziato la piastrinopenia ed avrebbe consentito di intervenire rapidamente con un salvifico trattamento terapeutico. Del tutto infondate sono, quindi, le censure proposte dal ricorrente, talune delle quali, inoltre, volte a proporre una diversa ricostruzione dei fatti, ovvero una diversa valutazione degli stessi, non proponibili nella sede di legittimità, a fronte del coerente e congruo argomentare del giudice del merito, sostenuto dalle osservazioni svolte dai consulenti, e non solo di quello di parte civile, da tutti, peraltro, riconosciuto come un luminare della materia, e dalle conclusioni dagli stessi rassegnate. Privi di rilievo, poi, sono i riferimenti del ricorrente, volti a dimostrare l'assenza alla data del 13 giugno di fenomeni emorragici attestanti l'ingravescenza del male, alle visite eseguite dalla Pa. presso medici dentisti e dermatologi che nulla di particolare avevano segnalato. Sembra evidente, infatti, che problemi al cavo orale e di natura dermatologica potevano assumere significati diversi da quelli generalmente ad essi attribuiti solo da un medico che, come il dott. P. , aveva seguito la storia clinica della paziente, aveva avuto contezza dei risultati delle analisi dalla stessa eseguiti nel corso di un anno e che solo avrebbe potuto collegare quelle sintomatologie apparentemente banali alla ben più grave ed ingravescente patologia di cui la giovane era affetta. Analoghe considerazioni valgono quanto ai riferimenti del ricorrente alla dott.ssa Z. , specialista presso una clinica reumatologica di , che ha espresso un giudizio di sintomaticità solo attraverso un colloquio telefonico con la Pa. , dopo avere avuto conferma della positività del fattore Lac, ribadito dagli esami ematologici eseguiti nell'ospedale di XXXX ed inviati alla Z. il 6 giugno. Giustamente, dunque, la corte territoriale ha rilevato che la condotta del dott. P. non si è distinta, nell'occasione, per competenza e diligenza nell'affrontare la situazione clinica della sua giovane paziente. Anche in punto di nesso causale, la stessa corte ha adeguatamente motivato le ragioni della decisione adottata, richiamando, in particolare, i giudizi espressi sul punto dal prof. p. che ha chiaramente sostenuto che il calo piastrinico, che ha determinato il decesso, certo irreversibile a partire dal omissis , poteva essere ancora dominato sol che la giovane fosse stata ricoverata due o forse anche un giorno prima, e dunque certamente nella giornata dell’XX o anche del omissis , date in cui la Pa. si era recata presso l'ambulatorio del P. . Affermazione, evidentemente seguita dall'attento esame delle cartelle cliniche e di tutto il materiale medico acquisito, che non perde l'autorevolezza dovuta all'elevata professionalità della persona dalla quale proviene solo per il fatto che la stessa non aveva sottoposto a visita la paziente. Mentre per nulla illogica, bensì coerente ed ancora riscontrata dai giudizi del prof. p. , è la considerazione del giudice del gravame circa l'irrilevanza, sotto il profilo causale, della assunzione, da parte della Pa. , di farmaci infiammatori non steroidi c.d. Fans . A tale proposito, i giudici del merito hanno rilevato, non solo l'inconsistenza dell'ipotesi prospettata dal consulente dell'imputato il quale aveva solo genericamente sostenuto che l'uso dei Fans può interferire con l'aggregazione piastrinica e può contribuire alle difficoltà di coagulazione , ma anche l'assenza di tracce in atti di un abuso, da parte della paziente, di antinfiammatori, e comunque non in misura tale da provocare, in breve lasso di tempo, un crollo del livello piastrinico. E dunque, del tutto legittimamente la corte territoriale, alla stregua di quanto emerso nella sede di merito, ha ribadito che la morte della Pa. è stata diretta conseguenza del mancato tempestivo riconoscimento, da parte dell'imputato, delle intervenute complicanze e della mancanza di cure adeguate della malattia di cui la giovane era affetta in specie, della piastrinopenia che ha poi causato l'emorragia cerebrale, i cui segni premonitori si erano rivelati nei giorni precedenti, e il decesso della paziente. Il ricorso proposto deve, quindi, essere respinto, a fini civili, con condanna del ricorrente alla rifusione, in favore delle costituite parti civili, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 4.000,00, oltre IVA e CPA come per legge. -2- Ricorso di L.P. . L'impugnazione deve essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse, essendo intervenuta, nei confronti del ricorrente, assoluzione con ampia formula liberatoria, cioè per insussistenza del fatto contestato. Posto che, a mente del 4 comma dell'articolo 568 cod. procomma penumero , per proporre impugnazione è necessaria avervi interesse , non si comprende quale concreto e giuridicamente rilevante interesse stia alla base del ricorso in esame quali apprezzabili effetti negativi, incidenti sulla sfera giuridica del soggetto, esso miri a rimuovere. Tanto non potendosi sostenere con riguardo ad un iter motivazionale che eventualmente indichi, nel caso di specie con riguardo al tema del nesso di causalità, anche qualche perplessità sull'innocenza dell'imputato. Se è vero, infatti, che l'interesse ad impugnare può trovare ambiti di estrinsecazione anche al di fuori dell'area del giudizio penale, è anche vero che esso non può ricondursi nell'ambito del mero interesse del soggetto di veder rimuovere le parti della motivazione che lui ritenga pregiudizievoli e non condivisibili in quanto manifestazione di perplessità circa l'estraneità dell'imputato al fatto contestato. Ed è proprio alla stregua di tali considerazioni che questa Corte, persino in presenza di una decisione assolutoria formulata nei termini indicati dal 2 comma dell'articolo 530 del codice di rito, ha affermato che Non vi è l'interesse dell'imputato, assolto perché il fatto non sussiste ai sensi dell'articolo 530, comma secondo, cod. procomma penumero , a proporre impugnazione, atteso che tale formula - relativa alla mancanza, alla insufficienza o alla contraddittorietà della prova - non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria, né segnala residue perplessità sull'innocenza dell'imputato, né derivano incidenze pregiudizievoli e l'interesse all'impugnazione non sussiste ove si risolva in una pretesa, meramente teorica ed astratta, all'esattezza giuridica della pronuncia e sia, comunque, tale da non condurre ad alcuna modifica degli effetti del provvedimento Cass. numero 27917/09 . Nel caso di specie, peraltro, il ricorrente lamenta il mancato esame, da parte della corte territoriale, delle censure dallo stesso mosse nei motivi d'appello avverso la sentenza di condanna, con riguardo ai profili di colpa rilevati dal primo giudice. Lamenta, cioè, in sostanza, il mancato esame di questioni del tutto irrilevanti, avendo la stessa corte ritenuto incerto il nesso causale, e quindi giustamente non necessario l'approfondimento di questioni divenute prive di rilevo ai fini della decisione. -3- Ricorso delle parti civili Pa.Ot. , Pa.Anumero e D.G.M. . Il ricorso è infondato, inesistenti essendo i dedotti vizi motivazionali. In realtà, la corte territoriale, in perfetta sintonia con gli elementi probatori acquisiti, ha rilevato, seppur con qualche imprecisione, con motivazione del tutto coerente sotto il profilo logico, richiamando i giudizi espressi dallo stesso consulente di parte, che devono ritenersi giustificati i dubbi circa la rilevanza causale dell'addebito di colpa rivolto al L. in relazione al decesso della congiunta. In particolare, la stessa corte ha legittimamente ritenuto che il medico aveva visitato la giovane solo nel tardo pomeriggio del 14 giugno, in un tempo, cioè, in cui potrebbe ben ipotizzarsi che il calo piastrinico fosse divenuto ormai inarrestabile. In tali termini, del resto, ha soggiunto la medesima corte, si era espresso il consulente delle stesse parti civili che, dopo avere rilevato come nella giornata del 15 giugno le piastrine fossero ormai solo 4.000, cioè talmente basse da escludere qualsiasi possibilità di ripresa della paziente e da ritenere ormai irreversibile il processo degenerativo che l'ha condotta a morte, ha poi sostenuto, sia pure in termini di minore certezza, che un imponente calo delle piastrine doveva essere presente anche nella giornata dal 14 giugno, tale da mettere decisamente in dubbio la possibilità - segnalata in via estremamente ipotetica - di ricondurle a livelli di sicurezza. Giustamente, dunque, a fronte di tali considerazioni e dei dubbi manifestati, il giudice del gravame ha concluso sostenendo che l'incertezza sul punto si traduceva nell'incertezza della rilevanza causale della condotta contestata al dott. L. , di guisa che si imponeva l'assoluzione dell'imputato. -4- Ricorso del responsabile civile Azienda USL numero di Viareggio. Il ricorso è fondato. In realtà, l'azienda sanitaria è stata evocata in giudizio dalle parti civili, e vi si è costituita, nella qualità di datore di lavoro del dott. L. , medico in servizio, all'epoca dei fatti, presso l'ospedale , con sede in omissis , e quindi di responsabile civile, in solido con lo stesso dott. L. , ai sensi dell'articolo 2049 del codice civile. Di guisa che, assolto il medico dall'imputazione formulata a suo carico, ne discende necessariamente la liberazione dell'azienda sanitaria da qualsiasi obbligo risarcitorio inerente la vicenda oggetto del giudizio. Non avrebbero potuto, peraltro, le parti civili chiamare in giudizio la stessa azienda in relazione alla posizione del dott. P. , medico generico convenzionato medico di base , posto che tra costui e la stessa azienda non ricorre alcun rapporto di dipendenza organica né di ausiliarità, assumendo il medico convenzionato la qualifica di libero professionista, liberamente scelto dal paziente, del tutto autonomo e libero nella predisposizione degli strumenti che mette a disposizione dell'ammalato e nella scelta delle cure da praticare. Non intercorrendo, quindi, tra il P. e l'azienda alcun rapporto organico, non può riconoscersi a quest'ultima, in relazione all'addebito di colpa riconosciuto a carico del medico, una posizione di garanzia che lo identifichi quale soggetto solidalmente obbligato al risarcimento del danno. In proposito, del resto, questa Corte ha già avuto modo di affermare Cass. numero 34460/03 che In tema di responsabilità indiretta della Pubblica amministrazione ai sensi dell'articolo 2049 del codice civile per i danni arrecati dal fatto illecito commesso dal dipendente, con riferimento all'ipotesi del rapporto tra il medico generico convenzionato medico di base e l'Azienda sanitaria locale di appartenenza, deve affermarsi che tale rapporto - il quale si sostanzia nella prestazione di un'opera professionale che ha i connotati della collaborazione coordinata e continuativa, e in ordine alla quale la ASL non esercita forme di controllo che attengano al contenuto o alla qualità della prestazione medesima attraverso l'esercizio di un reale potere di vigilanza - non può essere definito di pubblico impiego e, proprio per la impossibilità da parte della ASL di interferire con l'autonomia dell'attività del medico il quale rispetto al paziente si pone in una relazione professionale non diversa da quella intercorrente tra un professionista privato e il suo paziente non costituisce giuridicamente la ASL quale preponente coinvolto nella sfera di responsabilità cui si riferisce la citata disposizione codicistica , Nella fattispecie la Corte ha rigettato il ricorso della parte civile contro la revoca della statuizione del Tribunale - che aveva condannato la USL, in qualità di responsabile civile, al risarcimento dei danni in conseguenza della ritenuta responsabilità penale del pediatra convenzionato condannato per omicidio colposo - decisa dalla Corte di appello in ragione della ritenuta non configurabilità della responsabilità dell'Azienda sanitaria ex articolo 2049 cod. civ. . Erroneamente, dunque, la corte territoriale, pur dopo avere assolto il L. da ogni addebito, ha confermato il capo della sentenza di primo grado che ha condannato l'azienda sanitaria, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite. La sentenza impugnata e quella di primo grado devono essere, in conseguenza, annullate senza rinvio nei confronti del responsabile civile Azienda Usl numero di Viareggio, limitatamente alla condanna della stessa, in solido con P.L.E. , al risarcimento dei danni, al pagamento di provvisionali ed alla rifusione delle spese dei giudizi di primo e secondo grado in favore delle parti civili costituite condanna che deve essere eliminata. La particolarità delle questioni poste all'esame della Corte induce a dichiarare compensate tra le restanti parti private le spese del presente giudizio. P.Q.M. Annulla senza rinvio, ai fini penali, la sentenza impugnata nei confronti di P.L.E. perché il reato allo stesso ascritto è estinto per intervenuta prescrizione. Annulla senza rinvio la medesima sentenza e quella di primo grado nei confronti del responsabile civile Azienda USL numero di Viareggio, limitatamente alla condanna della stessa, in solido con P.L.E. , al risarcimento dei danni, al pagamento di provvisionali ed alla rifusione delle spese dei giudizi di primo e secondo grado in favore delle parti civili costituite condanna che elimina. Rigetta, ai fini civili, il ricorso di P.L.E. . Rigetta i ricorsi delle parti civili Pa.Ot. , Pa.Anumero e D.G.M. e dichiara inammissibile quello proposto da L.P. e condanna gli stessi al pagamento delle spese processuali ed il L. , inoltre, al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Condanna altresì il P. alla rifusione, in favore delle parti civili, delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre IVA e CPA come per legge dichiara compensate le medesime spese tra le altre parti private.