Il Governo Monti riuscirà laddove quello di Berlusconi era fallito? Il tema degli orari sembra essere diventato il vessillo che, mosso dal vento del liberalismo, è più di ogni altro capace di accendere gli animi. Non c’è soggetto, infatti, sia esso istituzionale o politico o sindacale, che non abbia preso posizione su questa vicenda, difendendo, ovviamente, il proprio punto di vista, la propria interpretazione. Ma al di là delle singole ragioni c’è un aspetto che è stato trascurato e che rende necessario, quindi, un approfondimento della questione. Regioni e comuni, infatti, su questo fronte, lamentano il venir meno della propria autonomia. Ma quella degli orari è, probabilmente, solo una schermaglia perché la questione assumerebbe una veste del tutto diversa se invece di collegare agli orari il termine “liberalizzazione” venisse usato il più corretto termine “autoregolamentazione”.
Le indicazioni dell’Antitrust. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, già nell’ottobre del 2008, ha segnalato alle istituzioni la necessità di intervenire normativamente nella materia degli orari degli esercizi di vendita. In particolare, l’Antitrust aveva rilevato che «nonostante la disciplina liberalizzatrice e pro-concorrenziale introdotta dai citati articolo 12 e 13, D.Lgs. numero 114/98, le segnalazioni pervenute e gli accertamenti svolti hanno evidenziato - con riferimento ad alcune discipline regionali e a talune regolamentazioni locali, nonché alla disciplina relativa al potere delle regioni di individuare zone soggette alla liberalizzazione in questione – alcuni profili critici sotto il profilo antitrust». Posto il progressivo cambiamento delle abitudini di acquisto dei consumatori, osservava ancora il Garante, nonché la sempre maggiore presenza dal lato dell’offerta di soggetti, quali la grande distribuzione, che possono determinare liberamente gli orari e i giorni di apertura, l’Autorità rileva che il criterio dell’individuazione di regimi differenziati all’interno di uno stesso mercato rilevante o anche all’interno della stessa regione dovrebbe essere sempre limitato a situazioni particolari e non dovrebbe generare effetti distorsivi della concorrenza. Infatti non può non rilevarsi che gli operatori non ricompresi nei regimi liberalizzati potrebbero non essere incentivati ad evolversi e ad adeguare le strategie di offerta a quelle dei concorrenti, che possono già determinare liberamente giorni e orari di apertura. Il quadro di riferimento normativo. Il Governo Monti, con decreto-legge 6 dicembre 2011, numero 201, «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», cosiddetto decreto “Salva-Italia”, G.U. numero 284 del 6 dicembre 2011 - Suppl. Ord. numero 251 e convertito con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011, numero 214 in Suppl. Ord. numero 276, relativo alla G.U. 27 dicembre 2011, numero 300 ha rimesso mano ad una disposizione che nel corso dell’estate 2011 è stata, si può dire, un vero e proprio tormentone. L’articolo 31, d.l. numero 201/2011 non fa giustizia, in realtà, del tentativo del precedente Governo di far passare la norma, secondo gli auspici dell’Antitrust. Nulla di nuovo, infatti, è stato proposto dal Governo tecnico. Dispone, infatti, la citata norma che «1. In materia di esercizi commerciali, all'articolo 3, comma 1, lettera d-bis, del decreto legge 4 luglio 2006, numero 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, numero 248, sono soppresse le parole in via sperimentale e dopo le parole dell'esercizio sono soppresse le seguenti ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte». In pratica, ancora una volta il Governo è intervenuto mettendo mano all’articolo 3. d.l. 223/2006 conv. legge 248/2006 ovvero modificando la lettera d-bis introdotta con il primo decreto sviluppo di quest’estate articolo 35, comma 6, d.l. 98/2011 conv. 111/2011 . Con il primo passaggio il Governo aveva voluto liberalizzare gli orari di apertura e chiusura per le città d’arte e le località turistiche, ma già con il successivo d.l. numero 138 del 13 agosto 2011, la facoltà concessa era stata estesa a tutti gli esercizi di vendita, ovunque essi fossero ubicati e per 365 giorni all’anno. Tuttavia, con la legge di conversione del d.l. numero 138 l. numero 148/2011 con un colpo solo era stata fatta piazza pulita della liberalizzazione in materia di chiusura, apertura e turni di riposo che il Governo aveva previsto per tutti gli operatori del settore, in tutto il territorio nazionale e a prescindere, quindi, dall’eventuale vocazione turistica del territorio. Con la manovra di fine anno, quindi, il Governo ritorna all’attacco, sopprimendo anche l’inciso “in via sperimentale” che originariamente era stato introdotto. Peraltro, in relazione alla faticosa liberalizzazione degli orari, il primo dl che vi aveva messo mano, aveva anche previsto che d.l. 98/2011, articolo 35, comma 7 «Le regioni e gli enti locali adeguano le proprie disposizioni legislative e regolamentari alla disposizione introdotta dal comma 6 entro la data del 1° gennaio 2012 ». Secondo quanto afferma il dossier del Senato, http //www.senato.it/documenti/repository/dossier/studi/2011/Dossier_301_I_2.pdf con il comma 7 viene riaperto il termine previsto dal comma 4 del novellato articolo 3 del decreto 223/2006 scaduto il 1° gennaio 2007 , anche se limitatamente alla disposizione introdotta dal comma 6 in materia di orari. La disposizione è stata prevista «[] nella consapevolezza della necessità, di un’applicazione che non leda le prerogative regionali sulla materia degli orari» aveva affermato il Ministero dello sviluppo economico con la circolare 3644 del 28 ottobre 2011 scorso, emanata proprio per far luce su una normativa che nel corso del 2011 ha subito così tante modifiche. Per completezza di informazione, c’è da dire che in materia di orari già il decreto legislativo 114/1998 prevedeva disposizioni in materia di orari. In particolare, gli articolo 11, 12 e 13 consentivano rispettivamente di 1. Determinare liberamente gli orari di apertura e di chiusura al pubblico nel rispetto delle disposizioni del decreto e dei criteri emanati dai comuni 2. Potevano restare aperti al pubblico in tutti i giorni della settimana dalle ore sette alle ore ventidue, non superando comunque il limite delle tredici ore giornaliere. 3. Il comune aveva la possibilità di individuare i giorni e le zone del territorio nei quali gli esercenti potevano derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva. Detti giorni comprendevano comunque quelli del mese di dicembre, nonche' ulteriori otto domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell'anno. 4. Nei comuni ad economia prevalentemente turistica, nelle città d'arte o nelle zone del territorio dei medesimi, gli esercenti determinavano liberamente gli orari di apertura e di chiusura. 5. I comuni potevano autorizzare, in base alle esigenze dell'utenza e alle peculiari caratteristiche del territorio, l'esercizio dell'attività di vendita in orario notturno esclusivamente per un limitato numero di esercizi di vicinato. Sta di fatto che, come aveva rilevato il Garante antitrust nel citato parere del 1998, nonostante le facoltà concesse ma scarsamente applicate il comparto era stretto nelle maglie di una disciplina vincolistica che non ha motivo di sussistere. Da qui la liberalizzazione degli orari, comunemente definita tale, mentre meglio sarebbe – a proposito di tale argomento – parlare di rimozione dei vincoli in relazione a quanto stabilito dall’articolo 41 Cost. Qual è la posizione delle Regioni e dei Comuni? Il Veneto investe 30mila euro per un progetto di monitoraggio. La decisione è stata assunta in forza del fatto che l’originaria disposizione adottata dal Governo dl 98/2011 prevedeva la liberalizzazione degli orari in via sperimentale. Per la Regione Veneto, in pratica vedasi a tale proposito la deliberazione della Giunta regionale numero 2233 del 20 dicembre 2011 pubblicata sul Bur numero 3 del 10 gennaio 2012 è «obiettivo prioritario, lo svolgimento di una analisi degli effetti conseguenti all'introduzione di maggiori aperture domenicali e festive delle attività commerciali, distinta per tipologia di struttura di vendita ossia esercizi di vicinato, medie e grandi strutture di vendita i cui limiti dimensionali sono definiti dall'articolo 7 della legge regionale 13 agosto 2004, numero 15 recante «Norme di programmazione per l'insediamento di attività commerciali nel Veneto» , nonché per ciascuno dei settori merceologici, come definiti dalla citata legge regionale. In particolare, ai fini della analisi, dovranno essere acquisite dagli operatori del settore le necessarie informazioni in ordine all'effettiva apertura del punto vendita in occasione delle giornate di apertura domenicale e festiva, nonché le informazioni relative all'incidenza delle suddette giornate di apertura sulle prospettive di servizio al cittadino-consumatore e, di conseguenza, di sviluppo del valore aziendale concernente l'attività commerciale. Dovranno essere, altresì, acquisite le informazioni afferenti alle implicazioni organizzative delle aperture domenicali e festive, con particolare riferimento ai profili occupazionali. Il progetto prevede, inoltre, l'analisi del grado di soddisfazione del cittadino-consumatore». La sfida al Governo. In attesa dell’esito del monitoraggio, la Regione Veneto ha emanato la legge regionale 27 dicembre 2011, numero 30 BUR numero 99/2011 «Disposizioni urgenti in materia di orari di apertura e chiusura delle attività di commercio al dettaglio e disposizioni transitorie in materia di autorizzazioni commerciali relative a grandi strutture di vendita e parchi commerciali». Il comma 2 dell’articolo 3 dispone, infatti, che «2. Le attività di commercio al dettaglio possono restare aperte al pubblico in tutti i giorni della settimana dalle ore sette alle ore ventidue e osservano la chiusura domenicale e festiva. Nel rispetto di tali limiti l'esercente può liberamente determinare l'orario di apertura e di chiusura del proprio esercizio». Toscana Comune contro Regione. Emblematico il caso del Comune di Bibbiena che ha deciso di rispettare la disciplina statale anche se la Regione Toscana ha modificato l’articolo 80 della legge regionale 28/2005 ovvero il Codice del Commercio nel senso che prevede delle limitazioni alle aperture e una eventuale deroga previa concertazione con le parti sociali maggiormente rappresentative. Il Comune di Bibbiena ha deciso di applicare la Legge statale. Secondo l’assessore competente Fabrizio Piantini «L’amministrazione ha ritenuto opportuno propendere per l’applicazione della normativa statale, ritenendo così di non compromettere la libertà di concorrenza e di non incorrere in responsabilità contabili e amministrative. Ritengo che quando si affrontano certi argomenti bisogna sempre vedere le cose da tutti i punti di vista tuttavia è certamente importante dare maggiore libertà in un settore di fondamentale importanza come quello commerciale». Milano delibera l’apertura dalle 7 alle 22. Sono state approvate dalla Giunta comunale, il 13 gennaio scorso, le linee d’indirizzo che disciplinano gli orari di apertura degli esercizi commerciali in sede fissa e per i pubblici esercizi, nonché delle aperture domenicali e festive sino al 23 marzo 2012. L’apertura sarà consentita dalle ore 07.00 alle ore 22.00 per non più di 13 ore consecutive nelle sole giornate di domenica 29 gennaio, domenica 5, 19, 26 febbraio e domenica 4 e 18 marzo 2012. «Sono linee d’indirizzo necessarie per consentire all’Amministrazione di ovviare ai vincoli della legge “Salva-Italia”, che in termini di liberalizzazioni degli orari del commercio va a ledere profondamente l’autonomia comunale. La questione degli orari, poi, riguarda un potere del Sindaco non derogabile, a presidio della civile convivenza tra i pubblici esercizi e il diritto al riposo dei residenti», commenta l’assessore al Commercio, Attività Produttive e Turismo Franco D’Alfonso. «Una delibera – prosegue D’Alfonso – i cui contenuti sono il frutto di quanto stabilito, sin dal mese di novembre, nell’apposito tavolo di concertazione tra le categorie interessate, in cui sono state assunte decisioni che ponderano con attenzione l’esigenza di salvaguardare il commercio, con la doverosa valutazione dell’onere che ricade sui lavoratori del settore sia nella grande distribuzione sia nel commercio di vicinato, stabilendo precise regole sino al 23 marzo prossimo, in attesa che la Regione Lombardia adegui il proprio ordinamento giuridico nel termine dei 90 giorni previsti dal già richiamato d.l. numero 201/2011». Il Comune di Milano, tuttavia, non ha tenuto in alcuna considerazione il fatto che il decreto legge in corso di emanazione voci governative indicano il 19 gennaio quale data della prossima riunione del Consiglio dei ministri disporrà una massiccia liberalizzazione che renderà incostituzionali i vincoli imposti dalla delibera giuntale in materia di orari. Per comprendere il senso dell’iniziativa governativa, non a caso inserita all’articolo 1 del provvedimento, è utile la lettura della relazione di accompagnamento al decreto in questione nel quale, con riferimento proprio all’articolo 1 si afferma che «L’iniziativa privata deve essere libera, in condizione i completa parità fra tutti i soggetti economici presenti e futuri, e può ammettere solo i limiti, i programmi e i controlli necessari alla tutela della sicurezza, della libertà e della dignità umana cittadini, lavoratori, consumatori della salute, dell’ambiente e dell’utilità sociale, nel rispetto degli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica. La naturale conseguenza è la prevista abrogazione delle disposizioni dell’ordinamento italiano che pongono limiti, programmi e controlli all’iniziativa economica privata, incidendo sulla libertà e sulla parità di trattamento, incompatibili o non proporzionate rispetto alle esigenze di tutela dei valori costituzionali». Piemonte dalle parole ai fatti. E’ del 10 gennaio, infatti, la decisione, su proposta del presidente Cota e dell'assessore competente Cavallera, deliberto di autorizzare la presentazione del ricorso alla Corte Costituzionale per la dichiarazione di illegittimità dell'articolo 31, d.l numero 201/2011 che introduce la rimozione dei vincoli in materia di orari. «La Giunta piemontese – informa un comunicato della Giunta - ritiene infatti che la liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali disposta dal Governo Monti con il “decreto Salva-Italia” sia lesiva delle competenze legislative regionali, con particolare riguardo all'articolo 117 della Costituzione, e del principio di leale collaborazione». Emilia Romagna ovvero la necessaria concertazione. E’ necessario attivare un confronto con il Governo per concordare modalità che garantiscano la possibilità di intervento per le regioni in materia di orari e giornate di apertura degli esercizi commerciali. Ma ogni decisione va assunta nel rispetto del principio generale della libera concorrenza e delle liberalizzazioni. Questa la proposta che l’Emilia-Romagna ha fatto il 16 gennaio a Roma, nel corso dell’incontro tra gli assessori regionali al Commercio, e che è stata definita al termine della riunione che si è svolta a Bologna tra l'assessore regionale a Turismo e commercio Maurizio Melucci e gli assessori al commercio delle Province e dei Comuni con più di 50.000 abitanti. Gli Enti locali, in pratica, hanno condiviso le proposte della Regione che hanno l'obiettivo, spiega Melucci, «di salvaguardare la peculiarità e la vivibilità del nostro patrimonio urbano, punto di riferimento delle nostre comunità. L'equilibrio raggiunto in Emilia-Romagna in materia di orari e aperture nelle festività aveva già raggiunto un punto avanzato - conclude l’assessore - che tiene conto delle esigenze dei territori, delle categorie e dei sindacati e garantisce il servizio ai consumatori. Da qui occorre partire». Il giudizio della Consulta. A proposito di liberalizzazioni, e con riferimento proprio all’articolo 3, d.l. 223/2006, disposizione la cui novella ha rimosso, nei diversi decreti leggi emanati nell’ultimo semestre del 2011, i vincoli in materia di orari negli esercizi di vendita e somministrazione, e la cui rubrica recita «Regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale» la Corte Costituzionale si è già pronunciata. Infatti, con sentenza 430/2007, ha affermato, con riferimento a tale articolo che «il comma 4 reca una prescrizione che costituisce il naturale effetto dell'inderogabilità della norma, una volta ricondotta la materia all'articolo 117, secondo comma, lett. e , Cost». In sostanza, il Giudice delle leggi è esplicito nell’affermare che la disposizione in questione rientra nella competenza esclusiva dello Stato e, quindi, immediatamente prescrittiva.