Il trattamento stabile e continuo più favorevole verso i dipendenti è un uso aziendale parificato ad un contratto collettivo

La reiterazione di un comportamento favorevole del datore di lavoro verso i dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti individuali e collettivi integra, di per sé, gli estremi dell’uso aziendale, che agisce sul piano dei singoli rapporti individuali come un contratto collettivo aziendale.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20085 del 2 settembre 2013. Il caso . La fattispecie al centro della controversia in esame vede due soggetti chiedere la condanna della s.r.l. di cui erano dipendenti a restituire le somme per scatti di anzianità dalla medesima indebitamente recuperate dopo il loro iniziale riconoscimento. Il giudice di prime cure respingeva la domanda di condanna ma tale sentenza veniva ribaltata in sede di appello sulla base della considerazione che per prassi aziendale, accertata all’esito dell’istruttoria, gli emolumenti costituiti dagli scatti di anzianità erano entrati a far parte della retribuzione in ragione della loro stabilità e continuità. Di conseguenza, secondo il giudice del gravame, sarebbe stato illegittimo il recupero di tale somma di denaro da parte della società datrice di lavoro. È possibile adottare il criterio dell’uso aziendale? La società a responsabilità limitata datrice di lavoro ricorre pertanto innanzi alla Corte di Cassazione lamentando in primo luogo la violazione dell’articolo 1340 c.c., in virtù del quale le clausole d’uso s’intendono inserite nel contratto, se non risulta che non sono state volute dalle parti , dell’articolo 1374 c.c. che, in tema di integrazione del contratto, enuncia quanto segue Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità , e infine dell’articolo 2077 c.c., con il quale il legislatore ha sancito il principio secondo cui I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo. Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro . In particolar modo, la società a responsabilità limitata datrice di lavoro rifiuta l’utilizzo, ad opera dei giudici di seconde cure, del criterio dell’uso aziendale per giustificare il mantenimento degli scatti biennali di anzianità. In virtù di ciò, la ricorrente precisa di aver riconosciuto ai propri lavoratori lo stesso trattamento economico che agli stessi era stato riconosciuto dalla precedente datrice di lavoro, sommando, tuttavia, altresì il calcolo degli scatti maturati nel corso del rapporto, così da attribuire ai dipendenti un numero di scatti superiore rispetto a quello previsto dal contratto collettivo nazionale di settore. A detta della datrice di lavoro ricorrente, nel procedimento da essa posto in essere, non può ritenersi sussistente un’ipotesi di prassi aziendale, contrariamente a quanto asserito dalla Corte di appello. Secondo il datore di lavoro l’aumento in cifra fissa non può superare 10 anni. Oltre a contestare l’uso del criterio dell’uso aziendale, la società a responsabilità limitata datrice di lavoro reputa violato l’articolo 8 del CCNL Grafici Industria”, sulla base dell’assunto per cui i giudici del gravame non hanno posto sufficiente attenzione su un punto fondamentale della norma e cioè il limite massimo che questa pone nel riconoscimento degli scatti di anzianità. Secondo la datrice di lavoro ricorrente, dalla suddetta norma, in particolare, risulta possibile affermare che l’aumento in cifra fissa deve essere contenuto fino ad un massimo di cinque bienni. Bisogna considerare oltre agli scatti di anzianità maturati prima anche quelli congelati”. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, afferma che, come correttamente già sostenuto dalla Corte di appello, i lavoratori avevano fatto esplicito riferimento non solo agli scatti di anzianità maturati con la precedente datrice di lavoro, così come risultanti dalle buste paga, ma anche a quelli corrisposti per sette anni, sulla base di un calcolo effettuato al momento del cambiamento della società, momento in cui, tra l’altro, si era fatto riferimento alla locuzione scatti congelati contenuta nelle precedenti buste paga. In aggiunta, è possibile osservare come dalla totalità delle buste paga risulti evidente che il calcolo era stato eseguito mantenendo l’importo maturato a titolo di scatti di anzianità e che, inoltre, erano stati previsti cambi di scatto biennali. Sulla base di ciò risulta evidente che suddetti emolumenti erano stati compresi nella retribuzione in virtù della loro stabilità e continuità, il che comporta, ovviamente, l’assoluta illegittimità del loro recupero da parte della s.r.l., datrice di lavoro. Il criterio dell’uso aziendale costituisce una fonte sociale parificata ad un contratto collettivo nazionale. Oltre a ciò, risulta opportuno aggiungere che l’utilizzo, ad opera dei giudici d’appello, del criterio dell’uso aziendale più favorevole al lavoratore è conforme all’indirizzo interpretativo oramai consolidato in giurisprudenza, in quanto pronunciato da numerose sentenze di legittimità. La Cassazione ha infatti più volte affermato che la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti individuali e collettivi integra, di per sé, gli estremi dell’uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali – tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d’azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un’uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un’azienda – agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale . L’orientamento precedente riteneva che gli usi si inseriscono nei singoli contratti individuali e non già nei contratti collettivi nazionali o aziendali. A tale orientamento si è contrapposto un differente indirizzo che ha adottato una prospettiva maggiormente restrittiva, sostenendo che al fine di ritenere formati gli usi aziendali, riconducibili alla categoria degli usi negoziali, è necessaria unicamente la sussistenza di una prassi generalizzata, che si realizza attraverso la mera reiterazione dei comportamenti posti in essere spontaneamente e non già in esecuzione di un obbligo che riguardi i dipendenti di una sola azienda, che comporti per essi un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Le condizioni di miglior favore derivanti dai suddetti usi aziendali non possono essere derogate in senso peggiorativo per i lavoratori dalla contrattazione collettiva, atteso che gli usi si inseriscono nei singoli contratti individuali e non già nei contratti collettivi nazionali o aziendali e che l'esclusione di tale inserimento può avvenire soltanto in base alla concorde volontà delle parti. Da tali principi deriva che la configurabilità in concreto dell'uso aziendale va inquadrata ed accertata da parte del giudice di merito nell'ambito del complessivo comportamento datoriale e dell'atteggiamento dell'altra parte, con riferimento in particolare alla conoscibilità del vero intento del soggetto erogante in tal senso cfr. Cass. n. 10783/2000 . Tuttavia, è oramai maggioritario l’orientamento secondo il quale il criterio dell’uso aziendale costituisce una fonte sociale parificato ad un contratto collettivo nazionale. Di conseguenza, nel caso in cui, come nella fattispecie al centro della controversia in esame, la modifica in senso migliorativo del trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell’uso aziendale, ad essa non si applica certamente l’articolo 1340 c.c – il quale esige la volontà, tacita, delle parti di inserire l’uso o di escluderlo – né tanto meno, in generale, la disciplina civilistica sui contratti – con esclusione, quindi, di un’indagine sulla volontà del datore di lavoro e dei sindacati – né, comunque, l’articolo 2077, comma secondo, c.c., con la conseguente legittimazione delle fonti collettive nazionali e aziendali di disporre una modifica in senso peggiorativo del trattamento in tal modo attribuito si veda in tal senso Cass. n. 8342/2010, e in precedenzaCass. n. 9690/1996 n. 10783/2000 n. 9626/2004 n. 15489/2007 Cass. Sez. Un., n. 26107/2007 Cass. n. 18991/2008 n. 17481/2009 n. 18263/2009 . Il trattamento più favorevole non può essere più negato. In conclusione, la Suprema Corte rigetta il ricorso e dichiara illegittimo il tentativo di recupero da parte della società delle somme per scatti di anzianità dei dipendenti indebitamente recuperate dopo il loro iniziale riconoscimento.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 maggio - 2 settembre 2013, n. 20085 Presidente Miani Canevari – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con sentenza del 9/7 - 5/8/09 la Corte d'appello di Potenza, nel pronunziarsi sull'impugnazione proposta da S. G., C. S. ed A. F. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Matera che aveva respinto la loro domanda diretta alla condanna della M. s.r.l. alla restituzione delle somme per scatti di anzianità dalla medesima indebitamente recuperate dopo il loro iniziale riconoscimento, ha dichiarato estinto il giudizio nei confronti dell'A. per intervenuta rinunzia, mentre ha accolto il gravame in favore degli altri due dipendenti, condannando, di conseguenza, la società appellata al pagamento degli importi di cui era risultata debitrice. La Corte ha spiegato che per prassi aziendale, accertata all'esito dell'istruttoria, tali emolumenti erano entrati a far parte della retribuzione in ragione della loro stabilità e continuità, con conseguente illegittimità del loro recupero da parte della datrice di lavoro. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la M. s.r.l. che affida l'impugnazione a due motivi di censura. Resistono con controricorso S. G. e S. C La ricorrente deposita, altresì, memoria. Motivi della decisione Col primo motivo, dedotto per omessa ed insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 1340, 1374 e 2077 cod. civ., la ricorrente società contesta il ricorso, da parte dei giudici d'appello, al criterio dell'uso aziendale per la giustificazione del mantenimento degli scatti biennali di anzianità. Al riguardo la ricorrente evidenzia che si era limitata esclusivamente a riconoscere al personale lo stesso trattamento economico praticato dalla precedente datrice di lavoro A.G. s.r.l, aggiungendo il computo degli scatti maturati in corso di rapporto e finendo, in tal modo, per attribuire ai dipendenti un numero di scatti superiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale di settore, senza che tutto ciò autorizzasse ad intravvedere nella fattispecie una ipotesi di prassi aziendale come erroneamente intesa dalla Corte di merito. Col secondo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del CCNL Grafici Industria , la ricorrente evidenzia che i giudici d'appello hanno omesso di considerare che la norma collettiva in questione pone un limite massimo nel riconoscimento degli scatti di anzianità, stabilendo che l'aumento in cifra fissa deve essere contenuto fino ad un massimo di cinque bienni. Il ricorso è infondato. Invero, nel motivare il proprio convincimento sull'esistenza di una preassi aziendale favorevole ai dipendenti, la Corte di merito ha spiegato, con argomentazioni congrue che sfuggono ai rilievi di legittimità, che i lavoratori avevano fatto chiaro riferimento sia agli scatti di anzianità maturati con la precedente datrice di lavoro, come risultanti dalle buste paga, che a quelli ininterrottamente corrisposti per ben sette anni, in base al loro calcolo effettuato al momento del passaggio dalla società A.G. s.r.l. alla M. s.r.l. inoltre, era significativa pure la circostanza per la quale proprio nel periodo del passaggio alle dipendenze della nuova datrice di lavoro si era fatto riferimento alla locuzione scatti congelati contenuta nelle precedenti buste paga infine, da tutte le buste paga prodotte si ricavava che il calcolo era stato eseguito mantenendo l'importo maturato a titolo di scatti di anzianità e prevedendosi cambi di scatto biennali, per cui era da ritenere che tali emolumenti erano entrati a far parte della retribuzione in ragione della loro stabilità e continuità, con conseguente illegittimità del loro recupero da parte della datrice di lavoro. Tanto premesso, occorre aggiungere che il ricorso, da parte dei giudici d'appello, al criterio dell'uso aziendale più favorevole al lavoratore è conforme all'indirizzo interpretativo espresso al riguardo da questa Corte. Infatti, con sentenza della Sezione Lavoro di questa Corte n. 8342 dell'8/4/2010, si è statuito che la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca in trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti individuali e collettivi integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d'azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. Ne consegue che ove la modifica in melius del trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell'uso aziendale, ad essa non si applica né l'art. 1340 cod. civ. - che postula la volontà, tacita, delle parti di inserire l'uso o di escluderlo - né, in generale, la disciplina civilistica sui contratti - con esclusione, quindi, di un'indagine sulla volontà del datore di lavoro e dei sindacati - né, comunque, l'art. 2077, comma secondo, cod. civ., con la conseguente legittimazione delle fonti collettive nazionali e aziendali di disporre una modifica in peius del trattamento in tal modo attribuito. conf. a Cass. Sez. Un. n. 26107 del 13/12/2007 e a Cass. Sez. lav. n. 17481 del 28/7/2009 Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo con loro attribuzione all'avv. V. S. dichiaratosi antistatario. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 50,00 per esborsi, oltre accessori di legge, con attribuzione all'avv. S