Fabbricati abusivi e abitati, ma l’‘inquilino’ è imberbe. Opera non finita, niente prescrizione

Nessun dubbio sulla responsabilità dei committenti, che puntano esclusivamente sulla prescrizione, asserendo l’ultimazione dei lavori in data precedente a quella dell’accertamento dei reati. Ma questo quadro è ritenuto non plausibile dai giudici neanche il fatto che l’immobile fosse abitato dal figlio cambia la situazione.

Edilizia abusiva, senza dubbio i due fabbricati ‘incriminati’, in cemento armato, difatti, sono stati realizzati in zona sismica e in area sottoposta a vincolo paesaggistico, senza permesso di costruire e senza autorizzazioni. Unica speranza, per la coppia finita sotto accusa, è la prescrizione Ma neanche il fatto che l’immobile sia stato già abitato dal figlio della coppia può portare a considerare conclusa l’opera edilizia. Cassazione, sentenza n. 36912, Terza sezione Penale, depositata oggi Inquilino troppo giovane Netta la linea seguita dai giudici di primo e di secondo grado è considerata acclarata la responsabilità penale di una coppia. Uomo e donna, difatti, sono ritenuti committenti – in mancanza di permesso di costruire, di prescritti adempimenti in materia di opere in cemento armato e di costruzioni in zona sismica, di autorizzazione ai fini paesaggistici – della realizzazione di due fabbricati in cemento armato, in zona sismica e in area sottoposta a vincolo paesaggistico Ad avviso della coppia, però, vi è stato un errore nel conteggio dei tempi relativi alla realizzazione dei fabbricati, con effetti consequenziali sulla prescrizione . Più precisamente, essi sostengono che i lavori erano stati ultimati in tempo utile – giugno 2006 – per far scattare la prescrizione a dimostrarlo, a loro avviso, il fatto che nell’immobile abitasse il figlio e che l’immobile era dotato di rifiniture . Ma questa visione, finalizzata ad attestare la avvenuta ultimazione dell’immobile in data precedente a quella dell’accertamento dei reati agosto 2007 , viene ritenuta non plausibile dai giudici della Cassazione. Per una ragione semplicissima non sono state fornite ‘prove provate’ sulla ultimazione dell’immobile in epoca precedente a giugno 2006. Da un lato, difatti, viene citata una documentazione fotografica da cui si evince che la mancanza di rifiniture , e dall’altro, soprattutto, viene sottolineato che la circostanza che nell’immobile abitasse il figlio non è decisiva, in ragione del fatto che la giovane età rende plausibile che l’immobile non fosse finito .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 marzo – 9 settembre 2013, n. 36912 Presidente Mannino – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 14 giugno 2012, la Corte d'appello di Caltanissetta ha confermato, quanto alla ritenuta responsabilità penale, la sentenza del 19 luglio 2011 del Tribunale di Gela, con la quale gli imputati erano stati condannati, per i reati di cui agli articoli 81, secondo comma, 110 cod. pen., 44, comma 1, lettera b , 64, 65, 71, 72, 93, 94, 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, perché, in concorso tra loro e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in qualità di committenti, in mancanza di permesso di costruire, di prescritti adempimenti in materia di opere in cemento armato e di costruzioni in zona sismica, di autorizzazione ai fini paesaggistici, realizzavano due fabbricati in cemento armato, in zona sismica e in area sottoposta a vincolo paesaggistico. La Corte d'appello ha riconosciuto la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche e ha conseguentemente ridotto le pene. 2. - Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite il difensore, separati ricorsi di analogo contenuto, deducendo 1 la manifesta illogicità della motivazione e l'erronea applicazione dell'art. 158 cod. pen., perché la Corte distrettuale avrebbe ritenuto che gli imputati non avevano fornito, ai fini della prescrizione dei reati, alcun elemento univoco atto a dimostrare che l'immobile in questione fosse stato ultimato in epoca anteriore al 2 giugno 2006, ritenendo non rilevante a tal fine la circostanza che nell'immobile abitasse il figlio dell'imputato e non prendendo in considerazione il fatto che l'immobile era dotato di rifiniture 2 in via subordinata, l’erronea applicazione dell'art. 163 cod. pen., per la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, negata sui soli rilievi dell’entità dell'abuso e dell'inottemperanza all'ordine di demolizione impartito dall'autorità amministrativa inottemperanza dovuta alla sola esigenza di abitare l'immobile il più possibile fino al perfezionamento del provvedimento ablativo 3 sempre in via subordinata, l'erronea applicazione dell'art. 163 cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione, perché il beneficio della sospensione condizionale della pena sarebbe stato negato sul presupposto il manufatto abusivo era stato edificato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e non era di piccole dimensioni presupposto che attiene alla gravità del reato e che si porrebbe in contraddizione con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Considerato in diritto 3. - I ricorsi sono inammissibili. 3.1. - Quanto alla pretesa avvenuta ultimazione dell'immobile in data precedente a quella dell'accertamento dei reati 8 agosto 2007 , oggetto del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata evidenzia che gli imputati non hanno fornito alcun elemento univoco atto a dimostrare il loro assunto secondo cui l'immobile sarebbe stato ultimato in epoca anteriore al 2 giugno 2006, o comunque in epoca ancor più remota. Precisa la Corte d'appello che la circostanza che nell'immobile abitasse il figlio non è decisiva, anche in ragione del fatto che la giovane età dello stesso rende plausibile che l'immobile non fosse rifinito. La prospettazione difensiva è, del resto, smentita dalla documentazione fotografica in atti, dalla quale si evince con chiarezza la mancanza di rifiniture, e da quanto riferito in tal senso dal teste R. Si tratta di considerazioni che risultano, con tutta evidenza, ampiamente logiche e coerenti e, dunque, insindacabile in sede di legittimità e, comunque sufficienti a contrastare l'alternativa ricostruzione delle circostanze proposta dai ricorrenti. Da qui, l'inammissibilità della doglianza. 3.2. Il secondo e il terzo motivo di ricorso che possono essere esaminati congiuntamente, perché attengono, in sostanza, alla motivazione della sentenza circa la mancata concessione della sospensione condizionale della pena - sono del pari inammissibili. Si tratta, infatti, della mera ripetizione di rilievi già valutati e motivatamente disattesi in primo e secondo grado, laddove i giudici hanno precisato che ostano in tal senso elementi correttamente ritenuti decisivi quali l'entità dell'abuso, l'inottemperanza all'ordine di demolizione impartito dall'autorità amministrativa, le dimensioni delle opere edilizie abusivamente realizzate, il concreto pericolo di reiterazione di analoghe condotte criminose che emerge dalla gravità dei fatti così delineati. Del tutto generiche risultano, del resto, le considerazioni svolte dalla difesa circa le ragioni - peraltro meramente asserite - dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e circa una pretesa contraddittorietà della decisione nella parte in cui questa nega il beneficio della sospensione condizionale concedendo, però, le circostanze attenuanti generiche quasi che al riconoscimento di dette circostanze dovesse necessariamente conseguire il beneficio in questione, trattandosi, invece, di istituti giuridici evidentemente diversi e caratterizzati da presupposti e finalità diverse. 4. - I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1,000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.