Territorialità: il luogo delle decisioni è quello in cui deve avvenire la tassazione

Poco importa il fatto che la controllata esista ed operi in un altro territorio se le decisioni strategiche, amministrative e finanziarie, sono prese in Italia. Se si omette di presentare la dichiarazione scattano le sanzioni.

Questa presa di posizione della Cassazione nella sentenza n. 32091 depositata il 24 luglio 2013, desta particolare interesse perché afferma il principio secondo cui, in estrema sintesi, anche nell’ipotesi in cui esistano stabilimenti esteri, nel caso di specie in Tunisia, laddove in Italia sussista il vero centro di comando, in quanto le decisioni di carattere strategico, ma anche quelle relative alla gestione ordinaria, sono prese nel territorio nazionale, i redditi non possono che essere tassati nel nostro Paese. Per questo motivo scattano le sanzioni di cui all’art. 5, D.Lgs. n. 74/2000, se, in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, siano oltrepassate le soglie di punibilità. Il caso. Una controllata estera di una società Italiana aveva stabilito una sede nello Stato nordafricano al fine di poter beneficiare di più favorevoli dazi doganali e di un regime di esenzione decennale dalla tassazione. Dopo attente verifiche le autorità nazionali avevano constatato che in Italia veniva esercitata la gestione, così come risultava dalla corrispondenza tenuta nei confronti dei clienti della controllata, dai conti correnti bancari e persino dal possesso dei timbri e della carta intestata della società estera. Già nel 2012 la Suprema Corte sent. n. 7080/2012 aveva affermato il principio secondo cui poteva presumersi l’esistenza di una stabile organizzazione quando si fossero svolti in Italia la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi . L’attività svolta non evita l’evasione. In tali circostanze giocano un ruolo fondamentale le finalità che si vogliono ottenere con la esterovestizione societaria, id est le prospettive di ottenere tassazioni di maggior favore in Stati esteri, circostanze che nel caso in esame erano state riscontrate. La sentenza in commento pone dunque in evidenza un aspetto non di poco conto, ovvero il fatto che anche quando vi sia una formale residenza all’estero ovvero la presenza di una reale unità produttiva, non può sostenersi che la società sia residente in altro Paese se siano prese in Italia le decisioni strategiche, industriali e finanziarie nonché quelle più rilevanti dell’amministrazione della società . fonte www.fiscopiu.it

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 febbraio - 24 luglio 2013, n. 32091 Presidente Lombardi – Relatore Rosi Ritenuto in fatto 1. L'indagato R M. ha proposto ricorso in cassazione per l'annullamento dell'ordinanza del 15 ottobre 2010 con la quale il Tribunale di Arezzo, ha rigettato l'istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo di beni immobili di proprietà del ricorrente, fino alla concorrenza della somma di Euro 492.844,83 considerato profitto del delitto di omessa dichiarazione per gli anni d'imposta 2008 e 2010 , finalizzato alla confisca per equivalente, pronunciato dal GIP dello stesso Tribunale il 19.9.2012, in relazione al reato di cui all'art. 5 D. Lgs. n. 74 del 2000. 2. Il Tribunale ha respinto l'istanza di riesame ed ha osservato che la società AMP CARTHAGE Sari, con sede legale in ., ma con capitale detenuto al 95% dalla AMP Spa società con sede in . e di cui era legale rappresentante il sig. R M. e al residuo 5% dallo stesso R M., era una società estero vestita, con residenza fiscale, ai sensi dell'art. 73, comma 3, del TUIR, in Italia, e di conseguenza obbligata a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia. L'evasione d'imposta doveva quantificarsi nel 27,5% degli utili pari ad Euro 868.717,82 per l'anno 2008 ed Euro 923.445,19 per l'anno 2010 e di essa era responsabile rappresentante il sig. R M. quale presidente del C.d.A. della società estera, La prova della estero vestizione era data dalla documentazione relativa all'attività ordinaria svolta dalla società presso la sede sociale della controllante AMP Spa e all'attività di gestione finanziaria e commerciale svolta attraverso conti correnti in valuta estera, accesi presso tre filiali aretine, sui quali operavano i membri del C.d.A., con il conseguente radicamento in Arezzo della sede amministrativa effettiva della società AMP CARTHAGE Sari. La collocazione in Tunisia della sede legale e dello stabilimento dell'attività di parte della produzione dell'oreficeria, avrebbe permesso di beneficiare dell'esenzione dei dazi doganali imposti dagli Stati Uniti e di godere,per i primi dieci anni, dell'esonero totale dalla tassazione dei redditi prodotti dall'attività di esportazione. In sostanza, tutta l'attività amministrativa, come parametrata dalla sentenza n. 7080 del 2012 della S.C., si sarebbe svolta in Italia, senza che rilevi il carattere non fittizio dell'attività svolta all'estero. Non troverebbe applicazione il disposto dell'art. 167 TUIR, che presuppone un controllo su una società effettivamente residente all'estero. Né vi sarebbe la prova del difetto di dolo specifico da parte del ricorrente, risultando più che evidente il beneficio di indebiti vantaggi fiscali goduti dalla società dallo stesso amministrata. 3. Il ricorrente ha proposto ricorso chiedendo l'annullamento dell'ordinanza con un unico motivo, Articolato in cinque profili, con il quale si duole della violazione dell'art. 606, comma I, lett. b c.p.p., per l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale ed extra penale, ed in particolare dell'art. 73 TUIR. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. È, anzitutto, irrilevante che il R M., odierno ricorrente, sia indicato quale responsabile del fatto nella qualità di legale rappresentante della AMP Spa ossia della società controllante invece che di Presidente del CdA della controllata esterovestita AMP CARTHAGE Sari, con sede legale in Il dato formale riferito alla capogruppo e non alla controllata non elide la qualità effettivamente presente anche se non precisata in modo ineccepibile. Essa comunque individua il reale soggetto responsabile dell'amministrazione e gestione della controllata estera irrilevanza del primo profilo di doglianza . 3. È inoltre infondata la doglianza di violazione ed erronea applicazione dell'art. 73 TUIR, anche in riferimento alla sua interpretazione che il ricorrente condivide datane dalla sentenza n. 7080 del 2012 di questa stessa sezione v. i restanti profili di critica dell'unico motivo di ricorso che ha espresso il principio di diritto secondo cui L'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all'estero, la cui omissione integra il reato previsto dall'art. 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sussiste se detta società abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell'espletamento dei servizi . 4. Assume il ricorrente che, facendosi corretta applicazione di tale principio e dei dettati della sentenza nel suo testo integrale , si dovrebbe pervenire al riconoscimento della stabile organizzazione della controllata tunisina e non già alla sua natura fattizia. Ciò proprio in considerazione della scelta compiuta dalla struttura di comando del gruppo societario di voler proseguire il rapporto commerciale con gli Stati Uniti d'America, un tempo instaurato dalla società di controllo ma poi resosi improseguibile per la presenza di dazi doganali imposti dagli USA e, quindi, non più concorrenziali per la società aretina. E ciò indipendentemente dal godimento dei benefici fiscali da parte della legge tunisina che esenta, per un decennio, le nuove società dal pagamento delle imposte sui redditi. 5. In realtà le finalità perseguite dalla società AMP CARTHAGE Sari, con sede legale in ., così come tutte quelle c.d. esterovestite, sono finalità che danno luogo ad uno o più vantaggi fiscali ottenuti attraverso i più diversi strumenti dall'esenzione d'imposta all'applicazione di aliquote di favore, dai benefici alle agevolazioni, ecc. rispetto a quelli che invece dovrebbero scontare ove la società dichiarasse la sua vera residenza fiscale. E ciò, indipendentemente dal carattere reale o fittizio dell'attività industriale o commerciale svolta nel paese estero in cui si dichiara la residenza della società. 6. Ciò, del resto, è già stato riconosciuto da questa stessa sezione nella Sentenza n. 29724 del 2010, laddove si è affermato il principio di diritto secondo cui L'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale IVA da parte di società avente residenza fiscale all'estero sussiste se questa ha stabile organizzazione in Italia, che ricorre anche quando la società straniera abbia affidato, anche di fatto, la cura dei propri affari in territorio italiano ad altra struttura munita o meno di personalità giuridica, prescindendosi dalla fittizietà o meno dell'attività svolta all'estero dalla società medesima. Fattispecie in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni facenti capo a società avente residenza fiscale localizzata in territorio diverso dall'Italia, cosiddetta esterovestizione della residenza fiscale . 7. Il problema della stabile organizzazione in Italia della società controllata, come nella specie, o partecipata formalmente residente all'estero deve essere desunta da elementi fattuali rilevanti ai fini dell'accertamento della presenza in Italia della sede delle decisioni strategiche, industriali e finanziarie c.d. alta amministrazione , nonché di quelle più rilevanti dell'amministrazione della società. In poche parole della conduzione in Italia dell'attività costituente l'oggetto sociale del sodalizio osservato. Tale accertamento è stato compiuto dal giudice di merito con una motivazione immune da censure e da vizi logici e giuridici. 8. È quasi superfluo rammentare che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento a del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice, così, Sez., U, n. 25932 del 26 giugno 2008, Ivanov, Rv. 239692 in precedenza, con la sentenza Sez. U, n. 5876 del 13 febbraio 2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710, è stato precisato che mentre rientra nel sindacato di legittimità la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua eventuale illogicità manifesta . Non possono pertanto essere censurati in questa sede presunti vizi di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento alle circostanze di fatto, quale quelli, evocate dal ricorrente, relative al fatto che l'unità produttiva tunisina fosse stata affidata alla gestione di un preposto di quella nazionalità, laddove avveniva la produzione dei gioielli diretti nel mercato americano, ed effettuati i pagamenti dei salari e degli stipendi, ecc 9. Il Tribunale di Arezzo, peraltro, ha ampiamente motivato in ordine all'attività direttiva e finanziaria svolta nella sede aretina della controllante, i cui amministratori e dipendenti sono coloro che tirano le fila delle scelte produttive e finanziarie della società che così si palesa come esterovestita. 10. Si assume, infine, da parte del ricorrente che la società tunisina costituirebbe una stabile organizzazione estera rispetto al gruppo societario aretino, ai sensi dell'art. 162 TUIR, ciò proprio allo scopo di proseguire l'attività produttiva e la commercializzazione verso il mercato americano. Ma l'elemento tecnico che dovrebbe far individuare proprio nella società tunisina quella stabile organizzazione idonea a localizzare nel paese magrebino il reddito dell'impresa multinazionale, sottraendolo lecitamente alla tassazione italiana, costituito dalla piena autonomia contabile, finanziaria e decisionale appare del tutto inesistente emergendo la totale eteronomia della gestione estera rispetto al centro decisionale italiano, proprio come motivato dal provvedimento del Tribunale di Arezzo, in questa sede impugnato, che ha richiamato i numerosi documenti trovati nella sede aretina indirizzati alla clientela della controllata in ordine al fixing del metalli prezioso, alla corrispondenza con i clienti della partecipata tunisina, agli strumenti di pagamento afferenti ai conti correnti bancari della controllata, persino ai timbri e alla carta intestata della società estera. Per non parlare della gestione finanziaria conti correnti in valuta estera accesi presso le filiali aretine, la delega ad operare sui conti tunisini, i rapporti di reciproca compensazione, ecc pp. 2 e 3 della motivazione del tutto dipendente dal board della società capogruppo. È davvero problematico parlare di stabile organizzazione di un gruppo multinazionale, come fa il ricorrente, quando in realtà la controllante italiana e la controllata estera risultano stabilmente dirette da un ristretto gruppo a base familiare. In conclusione, laddove vi sia una controllante italiana di una controllata estera, il superamento dell'accusa di esterovestizione suppone, anzitutto condizione necessaria ma non sufficiente , che il board della società capogruppo sia sostanzialmente diverso da quelli della società controllata. Ciò che nella specie manca e, con esso elemento, anche l'autonomia strategica e amministrativa della società controllata. Il ricorso va pertanto rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.