Inimicizia lavorativa e inimicizia professionale: la differenza non è di poco conto

Un dirigente scolastico viene condannato per abuso d’ufficio e tentata concussione in seguito a una vicenda ricca d’acredine riguardante il rapporto con due docenti. In sede di legittimità non emerge alcun dubbio circa il secondo addebito mentre l’obbligo di astensione gravante sul preside in ragione del suo carattere di pubblico ufficiale sussiste solo quando l’inimicizia sia determinata per ragioni personali estranee all’esercizio della funzione, non invece quando le tensioni attengono alla sola sfera professionale.

Questa la vicenda valutata dalla Cassazione Penale nella recente sentenza numero 34280/12, datata 7 settembre. Il preside gioca sporco? Un dirigente scolastico di un istituto veneto era accusato di abuso d’ufficio per aver omesso di astenersi in presenza di un interesse personale, determinato dalla pendenza di una causa di lavoro per mobbing e per un procedimento penale avviati da una dipendente , contestando alla collaboratrice l’infrazione disciplinare del temporaneo allontanamento dal servizio. Il medesimo preside era accusato pure di tentata concussione galeotto il fatto di aver indotto un’altra docente a sottoscrivere una finta dichiarazione secondo la quale la collega si era allontanata dalla scuola simulando motivi di salute fantomatici. Permane ancora la natura di pubblico ufficiale? Sì, stando all’avviso della Corte di Appello di Venezia. Anche successivamente alla riforma e alla privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, non sarebbe mutata la natura della funzione condotta dai dirigenti scolastici e, con essa, la qualifica – ex articolo 357 c.p. – di pubblico ufficiale. La Cassazione, adita dall’imputato, si attesta sulla medesima interpretazione, ma ritiene fondato un altro motivo di doglianza. Obbligo di astensione quando sussiste. Nulla quaestio, dunque, in riferimento alla qualifica di pubblico ufficiale attribuibile al preside. Tuttavia, nel ritenere sussistente nel caso di specie l’obbligo di astensione in capo al soggetto, la Corte territoriale non si è attenuta agli approdi della giurisprudenza amministrativa sul punto. Il suddetto obbligo sorge soltanto quando l’inimicizia sia determinata «da motivi di interesse personale», estranei all’esercizio della funzione e non anche per ragioni inerenti al servizio. Perciò non può costituire «elemento sintomatico di una situazione di grave inimicizia nei confronti dell’incolpato la proposizione di denunce da parte del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare». Punto rimasto irrisolto. In sede di merito la motivazione si è rilevata carente, tralasciando di appurare l’ipotetica inimicizia personale tra le parti in causa. Inoltre la sentenza del giudice del lavoro ha respinto la domanda giudiziale tesa ad accertare il presunto mobbing. Resta intatto, infine, l’addebito della concussione la richiesta di nuova valutazione delle prove, avanzata dal ricorrente, non è come noto esperibile in sede di legittimità. La sentenza trova dunque annullamento parziale limitatamente all’abuso di ufficio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 giugno – 7 settembre 2012, numero 34280 Presidente Milo – Relatore Rotundo Osserva 1.-. Con la sentenza indicata in epigrafe in data 14-7-11 la Corte di Appello di Venezia, in accoglimento dell'impugnazione avanzata dal Procuratore della Repubblica di Bassano del Grappa e in riforma dell'assoluzione pronunciata in primo grado, ha condannato P.A. , con le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata sub B , alla pena condizionalmente sospesa di anni uno e mesi due di reclusione, con interdizione temporanea dai pubblici uffici e con il beneficio della non menzione, per i reati di cui agli articolo 323 e 56-317 c.p., a lui ascritti ai capi A e B della rubrica. In particolare, il P. era accusato di abuso di ufficio per avere, quale dirigente scolastico dell'Istituto , omesso di astenersi in presenza di un interesse personale, determinato dalla pendenza di una causa di lavoro per mobhing e di un procedimento penale per violazione dell'articolo 660 c.p., avviati dalla dipendente M.R.M. , contestando alla predetta collaboratrice scolastica, in data 7-10-05, l'infrazione disciplinare del temporaneo allontanamento dal servizio attuato il 5-10-05 e contestando altresì ad altra dipendente, C.I. , la medesima infrazione disciplinare per avere il successivo 10-10-05 accompagnato la M. nei suoi uffici per la formale contestazione disciplinare, lasciando il proprio posto di lavoro. Inoltre il P. era accusato di tentata concussione per avere indotto C.I. a sottoscrivere una dichiarazione, secondo la quale la collega M. si era allontanata dal posto di lavoro il 5-10-05 simulando motivi di salute in realtà inesistenti, assicurandole che, a sottoscrizione avvenuta, il procedimento disciplinare avviato a suo carico sarebbe stato stracciato. Ad avviso della Corte di Appello di Venezia, anche successivamente alla privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, non sarebbe mutata la natura pubblicistica della funzione svolta e dei poteri esercitati dal dirigente scolastico e con essa la qualifica di pubblico ufficiale rilevante ai sensi dell'articolo 357 c.p Segnatamente il dirigente scolastico contribuirebbe con i propri atti autoritativi e certificativi alla formazione della volontà della Pubblica Amministrazione di appartenenza e, nell'ambito dei poteri autoritativi attribuitigli, rientrerebbe certamente quello disciplinare. 2.-. Avverso la suindicata sentenza del 14-7-11 ha proposto ricorso per cassazione il difensore di P.A. , chiedendone l'annullamento. Il ricorrente deduce, in primo luogo, mancanza, illogicità e manifesta contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito confutato specificamente le conclusioni alle quali era pervenuto il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Bassano, che, nell'esaminare la medesima vicenda sotto il profilo delle sanzioni disciplinari applicate dal P. , aveva concluso per la insussistenza della qualità di pubblico ufficiale in capo al dirigente scolastico, per la insussistenza di un suo obbligo di astensione e per la impossibilità di ravvisare nei comportamenti da lui posti in essere condotte concussive. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione del D.Lgs. numero 165 del 2001, della Legge 241 del 1990 e degli arti 323 e 317 c.p.,. ribadendosi che la intervenuta privatizzazione del rapporto di pubblico impiego e la sua contrattualizzazione avrebbero determinato la sottoposizione di tale rapporto alle regole ed ai principi del diritto privato, ivi compreso il potere disciplinare, sicché i provvedimenti adottati dal P. sarebbero stati atti di autonomia privata, espressione della potestà organizzativa e gestionale di rapporti di lavoro già costituiti, e sarebbero disciplinati unicamente dal diritto privato. Con il terzo motivo di ricorso si eccepisce, in relazione al reato di cui all'articolo 323 c.p., la violazione dell'articolo 6 DPR 28-11-2000 e dell'articolo 97 Cost. Secondo il ricorrente, la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere nel caso di specie sussistente l'obbligo di astensione in capo all'imputato e ciò per due diversi motivi da un lato, infatti, il preside si sarebbe mosso come privato datore di lavoro, sicché nessuna terzietà era esigibile e nessuna funzione pubblicistica era da lui svolta dall'altro, secondo la giurisprudenza amministrativa sul punto, l'obbligo di astensione sussisterebbe solo quando l'inimicizia sia determinata da motivi di interesse personale, estranei all'esercizio della funzione e non anche per ragioni attinenti al servizio, sicché non potrebbe costituire elemento sintomatico di una situazione di grave inimicizia nei confronti dell'incolpato la proposizione come nel caso in esame di denunce da parte del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione, sempre in riferimento al reato di cui all'articolo 323 c.p., non essendosi da parte della Corte di merito prese in considerazione le conclusioni del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Bassano, che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, avrebbe affermato la legittimità delle sanzioni disciplinari irrogate e la inesistenza di qualunque obbligo di astensione in capo al P. . Con l'ultimo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione in riferimento al reato di tentata concussione di cui al capo B , sostenendosi che la Corte di merito avrebbe male interpretato le dichiarazioni rese dai testimoni C. ed O. durante le indagini preliminari. 3.-. In riferimento al reato di abuso di ufficio contestato sub A il ricorso è fondato. Nulla quaestio in riferimento alla qualifica di pubblico ufficiale attribuibile al dirigente scolastico nell'ambito dei suoi poteri disciplinari anche successivamente all'introduzione della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego. Tale qualifica è, infatti, già stata riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità sez. 6, sentenza numero 10390 del 24-1-08, rv 238927, Magaldi sez. 6, sentenza 37172 dell'11.-6-08, rv 240932, Gatto e le conclusioni alle quali si è pervenuti nelle sentenze suindicate sono pienamente condivise dal Collegio. Tuttavia, nel ritenere sussistente nel caso di specie l'obbligo di astensione in capo al P. , la Corte di Appello ha ignorato gli approdi della giurisprudenza amministrativa sul punto, là dove si è chiarito che, nell'esercizio dei poteri di disciplina, l'obbligo di astensione in capo al pubblico ufficiale sussiste solo quando l'inimicizia sia determinata da motivi di interesse personale, estranei all'esercizio della funzione e non anche per ragioni attinenti al servizio, sicché non può costituire elemento sintomatico di una situazione di grave inimicizia nei confronti dell'incolpato la proposizione come nel caso in esame di denunce da parte del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare. Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è assolutamente carente, non essendosi chiarito se, oltre alle denunce sporte da parte della dipendente sottoposta a procedimento disciplinare attinenti a ragioni di servizio sussistessero altri motivi di inimicizia personale tra detta dipendente ed il preside. A parte il fatto che la sentenza del Giudice del Lavoro di Bassano avrebbe respinto la domanda giudiziale tesa ad accertare il presunto mobbing da parte del P. ai danni della M. e avrebbe confermato la validità delle sanzioni irrogate dal preside, con ciò chiaramente introducendo un elemento di insanabile contraddizione con le conclusioni in ordine alla natura meramente ritorsiva dei provvedimenti adottati dal P. , affermata dalla Corte di Appello di Venezia, sicché restano sostanzialmente immotivate le conclusioni della medesima Corte in ordine alla sussistenza nel caso in esame del requisito della ingiustizia del danno arrecato. A diverse conclusioni deve, invece, pervenirsi in riferimento alla tentata concussione contestata al capo B . Le censure del ricorrente attengono invero alla valutazione della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del giudice di merito e non può essere posta in questione in sede di giudizio di legittimità quando fondata su motivazione congrua e non manifestamente illogica. Nel caso di specie, i giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e sono pervenuti alla decisione impugnata attraverso un esame completo ed approfondito delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. 4.-. Per le considerazioni sopra svolte si impongono l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente all'abuso di ufficio con rinvio per nuovo giudizio su tale capo ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia ed il rigetto nel resto del ricorso. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'abuso di ufficio e rinvia per nuovo giudizio capo ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia. Rigetta nel resto il ricorso.