Eccesso di zelo del maresciallo, ma nessun male ingiusto

L’imputato ha voluto perseguire un fatto di reato realmente sussistente e non abusare della propria qualità di maresciallo per ottenere qualche risultato avulso dal contesto dell’indagine.

E’ questo il caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 28286, depositata il 28 giugno 2013. La fattispecie. Un maresciallo, ritenuto colpevole di tentata violenza aggravata e condannato alla pena di un anno di reclusione, presenta ricorso per cassazione. La doglianza, accolta dai giudici di legittimità, riguarda sia la sussistenza degli elementi costitutivi del reato – in particolar modo della minaccia – sia del dolo. Il maresciallo ha analizzato la situazione La questione, visto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, dovrà essere riesaminata dalla Corte di appello, in quanto il maresciallo ha sì violato le norme processuali preposte alla regolamentazione della sua attività, ma ha pur sempre prospettato alle parti conseguenze collegate all’indagine ed all’eventuale apertura a loro carico di un procedimento penale, senza minacciare alcun male ingiusto . o ha minacciato un male ingiusto? O meglio – precisano gli Ermellini – tale elemento non emerge con la dovuta chiarezza dalla motivazione, tuttavia, è stata messa in luce l’opinione dell’imputato di perseguire un fatto di reato realmente sussistente e non di voler abusare della propria qualità di maresciallo per ottenere qualche risultato avulso dal contesto dell’indagine.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 31 maggio – 28 giugno 2013, n. 28286 Presidente Dubolino – Relatore Demarchi Albengo Ritenuto in fatto 1. I.V. propone ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d'appello di Trento che, in parziale riforma esclusivamente in punto pena della sentenza pronunciata dal locale tribunale, lo dichiarava colpevole di tentata violenza aggravata e lo condannava alla pena di un anno di reclusione, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile. 2. A sostegno del ricorso deduce i seguenti motivi a. inosservanza della legge penale e di norme processuali stabilite a pena di nullità ed inutilizzabilità. b. Ulteriore inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità con riferimento agli articoli 228 e 229 del codice di procedura penale. c. Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. d. Assoluta mancanza di motivazione sull'esistenza dell'elemento psicologico del reato. Con memoria del 22 maggio 2013 la difesa ha evidenziato la presenza di un errore formale nel proprio ricorso, relativamente alla individuazione dell'imputazione. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo di ricorso lo I. sostiene che la registrazione operata dalla persona offesa sia qualificabile come intercettazione e non sia pertanto utilizzabile per violazione della relativa normativa non vi sarebbe inoltre alcuna garanzia della sua autenticità, essendo il nastro contenente la registrazione rimasto nella disponibilità della persona offesa e pertanto suscettibile di eventuale manipolazione. Questo motivo di ricorso è infondato sia perché la registrazione di una conversazione tra persone presenti non può essere equiparata ad una intercettazione telefonica cfr. sez. 6, n. 49511 del 01/12/2009, Picchiati, Rv. 245774 , sia perché non rileva la possibilità di manipolazione, ma solo la manipolazione effettiva e nel caso di specie l'imputato non risulta - per quanto emerge dal ricorso e dalla sentenza impugnata - aver contestato il contenuto della registrazione. In ogni caso, trattasi di aspetti attinenti alla valutazione di attendibilità del teste che ha prodotto la registrazione. 2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della perizia per mancata comunicazione alle patti del luogo in cui il perito avrebbe eseguito l'incarico secondo il ricorrente l'articolo 227, comma 3, laddove parla di parti, si riferisce all'imputato e non al suo difensore. Occorre qui rilevare che il terzo comma dell'art. 227 c.p.p. non parla affatto di obbligo di comunicazione alla patte del luogo e del tempo di svolgimento delle operazioni peritali. Al contrario, l'obbligo di comunicazione risultante dalla predetta norma è diretto al giudice e si riferisce alla data in cui il perito dovrà rispondere ai quesiti, quando non vi può essere risposta immediata. La norma, così interpretata, sembra incoerente, dal momento che non è necessario dare comunicazione alle parti del rinvio per l'esame del perito quando le parti sono o debbono considerarsi presenti. In realtà, l'articolo 227 del codice di procedura penale è norma generale che si applica anche ai provvedimenti emessi al di fuori del contraddicono ed è per tale motivo che si prevede la comunicazione a cura del giudice , mentre per quanto riguarda gli incarichi conferiti in udienza, alla presenza delle parti, si applica la norma speciale di cui all'articolo 508 del codice di rito, che non prevede alcuna comunicazione alle parti dell'udienza di rinvio per esame del perito. Sulla base delle predette considerazioni deve ritenersi inammissibile il motivo proposto, in quanto è ancorato ad una disposizione normativa che risulta inapplicabile al caso in esame perché non disciplina le comunicazioni alle patti da parte del perito . 3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la illogicità e contraddittorietà della motivazione per non aver tenuto conto, i giudici, del fatto che il maresciallo aveva un preciso dovere di svolgere le indagini necessarie e che non poteva costituire condotta illegittima e minacciosa quella con cui si prospettava la possibilità di conseguenze penalmente rilevanti in caso di mancata risposta o di dichiarazioni false. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta l'assenza di motivazione in relazione alla sussistenza del dolo del reato contestato. I due motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto affetti dal medesimo vizio. Ed invero, il giudice di merito assegna rilevanza eccessiva al dato della violazione delle norme processuali, da cui possono discendere senza dubbio conseguenze di tipo disciplinare, ma che non è di per sé sufficiente a ritenere sussistente il reato contestato. Né pare adeguatamente motivata la ritenuta sussistenza della minaccia che, per essere penalmente rilevante, deve essere caratterizzata dall'ingiustizia. Or bene, risulta dalla sentenza impugnata che il Maresciallo I. ha certamente peccato per eccesso di zelo, ed ha altresì violato le norme processuali preposte alla regolamentazione della sua attività, ma ha pur sempre prospettato alle parti conseguenze collegate all'indagine ed all'eventuale apertura a loro carico di un procedimento penale, senza minacciare alcun male ingiusto. O, perlomeno, tale elemento non emerge con la dovuta chiarezza dalla motivazione, così come non risulta adeguatamente approfondito l'aspetto soggettivo risulta, al contrario, messa in luce più volte la opinione del maresciallo I. di perseguire un fatto di reato realmente sussistente e non invece di voler abusare della propria qualità per ottenere qualche risultato avulso dal contesto dell'indagine. Per quanto, dunque, la condotta tenuta dal prevenuto sia stigmatizzabile, sia per l'eccesso nella prospettazione delle conseguenze negative potenzialmente legate all'indagine, sia per la violazione di norme processuali di garanzia, pur tuttavia ai fini del grave reato contestato è necessario che la Corte dia compiuta motivazione sia della sussistenza degli elementi costitutivi in particolar modo della minaccia , sia del dolo. Per tale ragione si impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla sezione distaccata di Bolzano della Corte d'appello di Trento.