Disposto il sequestro preventivo quando sussistono il fumus delicti, una res confiscabile e il nesso di pertinenzialità

Il sequestro preventivo disposto ex articolo 321, comma 2, c.p.p. non necessita della prognosi di pericolosità in quanto oggetto del sequestro risultano beni confiscabili. È necessario invece verificare che sussista il fumus delicti, che oggetto del sequestro sia una res confiscabile ex articolo 240 c.p. e che esista un nesso strumentale tra la res ed il reato per cui si procede.

In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione, sez. II Penale, con la sentenza numero 21831 depositata il 28 maggio 2014. C’è il fumus delicti quando I giudici di legittimità, nella succitata sentenza, specificano a chiare lettere i requisiti per i quali è possibile provvedere al sequestro preventivo. Innanzitutto è necessaria l’esistenza del fumus delicti secondo le indicazioni della più acclarata giurisprudenza della Corte di Cassazione ex multiis Cass. 15448/2012 e Cass. 45591/2013 . Nella determinazione del sequestro preventivo, il giudice del riesame non deve verificare la fondatezza dell’accusa. Tuttavia deve accertare perlomeno la possibilità di sussumere il fatto concreto in una ipotesi di reato. Dunque, per potersi dire assolto l’onere del fumus commissi delicti, nella motivazione dell’ordinanza il giudice deve dare atto delle risultanze processuali e della coerenza dell’ipotesi di reato rispetto ai fatti per i quali è disposto il sequestro preventivo. Il periculum in mora è in re ipsa. Il sequestro preventivo disposto ex articolo 321, comma 2, c.p.p. si differenza, in quanto figura autonoma, da quello previsto al primo comma dello stesso articolo. Esso, contrariamente all’ipotesi di cui al primo comma dell’articolo 321 c.p.p., ha natura facoltativa e non necessita dell’indagine sul periculum in mora ai fini della determinazione della misura cautelare reale. Oggetto infatti del sequestro, nel caso del secondo comma, sono cose confiscabili secondo l’indicazione prevista all’articolo 240 c.p., il quale stabilisce la confisca in ipotesi di cose costituenti mezzi per la commissione del reato o prodotto/profitto del reato. Avendo il legislatore previsto esplicitamente ciò che può essere oggetto di confisca, è chiaro come lo stesso abbia ritenuto tali res pericolose ex se. In caso di sequestro preventivo ex articolo 321, comma 2, c.p.p., dunque, ciò che dovrà verificare il giudice è semplicemente l’esistenza di un bene confiscabile secondo la previsione del Codice Penale. Nel caso di specie, trattandosi di un’ipotesi di associazione per delinquere, sussiste il profitto del reato confiscabile, contrariamente alla tesi del ricorrente, ed è ravvisabile nel complesso di quei vantaggi deveniente dall’insieme dei reati – fine, seppure autonomo dagli stessi. Il nesso di pertinenzialità. L’ulteriore requisito per determinare il sequestro preventivo ex articolo 321, comma 2, c.p.p., è la sussistenza di un nesso strumentale tra la cosa oggetto di sequestro e la perpetrazione del reato. Tuttavia, non è necessario che il bene sequestrabile sia stato anche reso funzionale alla commissione del reato poiché previsto, fin dall’origine o successivamente, come bene utile ai fini dell’azione criminosa. Tale eventualità potrà essere valutata dai giudici di merito allorquando pronunciandosi per una condanna dovranno decidere in merito alla disposizione della misura di sicurezza. Ciò che, invece, rileva ai fini del sequestro preventivo ex articolo 321, comma 2, c.p.p. è semplicemente un collegamento reale tra il reato e la cosa oggetto di sequestro.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 9 aprile - 28 maggio 2014, numero 21831 Presidente Esposito – Relatore Rago Fatto 1. Con ordinanza del 15/11/2013, il Tribunale del Riesame di Siena confermava l'ordinanza con la quale, in data 28/10/2013, il giudice per le indagini preliminari del tribunale della medesima città aveva convertito, nei confronti di B.G. , indagato per i reati di cui agli articolo 416 e 640 cod. penumero , il sequestro probatorio in sequestro preventivo presso terzi della somma di circa Euro 18.000.000,00. 2. Avverso la suddetta ordinanza, l'indagato, a mezzo dei propri difensori, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi 2.1. violazione dell'articolo 324/6 cod. proc. penumero per non avere il tribunale notificato all'indagato personalmente l'avviso dell'udienza camerale, e, quindi, nullità dell'ordinanza per violazione del diritto di difesa 2.2. violazione dell'articolo 262/3 cod. proc. penumero per avere il giudice per le indagini preliminari disposto la conversione del sequestro probatorio in sequestro preventivo in assenza di una richiesta da parte del Pubblico Ministero 2.3. carenza del fumus delicti sostiene il ricorrente che, nonostante avesse dedotto, sul punto, una precisa doglianza, il tribunale - al di là che richiamare in modo generico alcuni atti processuali - non aveva indicato alcuna indizio idoneo a a rappresentare l'esistenza e la struttura dell'ipotizzato sodalizio criminoso b l'epoca e la natura dei rapporti intercorsi tra i sodali ed in particolare il contributo offerto dall'indagato c quali fossero le operazioni sospette concluse con Enigma e chi li avesse compiute d in cosa fossero consistiti gli artifizi e raggiri e quali sarebbero state le asserite retrocessioni di parte dei guadagni dei soci di Enigma al B. . 2.4. carenza del periculum in mora il ricorrente sostiene che, essendo stato il sequestro disposto ai sensi dell'articolo 240/1 cod. penumero e, quindi, ai fini della confisca facoltativa, non era ipotizzabile un profitto proprio del reato associativo né in astratto - atteso che l'associazione criminale può, al più, facilitare la commissione dei reati fine dai quali solo può derivare il profitto illecito - né in concreto difettando il nesso di strumentalità tra res e reato. D'altra parte, non era ipotizzabile, come ritenuto dal Tribunale, che il sequestro avesse inteso colpire il prezzo del reato atteso che tale possibilità era prevista dall'articolo 240/2 cod. penumero e non dal primo comma. Inoltre, il tribunale aveva giustificato la confiscabilità dei beni attraverso il meccanismo presuntivo di cui all'articolo 12 sexies D.I. 306/1992 non applicabile al caso di specie. Il ricorrente, infine, ha evidenziato l'assenza del nesso di pertinenzialità dei beni sequestrati a sotto il profilo oggettivo, avendo riguardato conti diversi, accesi presso banche diverse e per importi superiori alle asserite retrocessioni, di quelli indicati nell'ipotesi accusatoria sul punto, il tribunale aveva confermato il sequestro facendo riferimento alla fungibilità del danaro, ma non aveva considerato che doveva pur sempre sussistere un rapporto di pertinenzialità nel senso che possono essere oggetto di sequestro solo i beni che siano stati creati, trasformati o acquisiti mediante il profitto derivante dalla condotta criminosa contestata b sotto un profilo temporale, in quanto il sequestro aveva colpito beni nella disponibilità del ricorrente da epoca precedente 2000 - 2003 al 2008-2011 periodo al quale viene fatta risalire l'asserita illecita operatività degli indagati, non senza considerare che avendo il sequestro interessato somme esistenti sin dagli anni 200-2004, a tutto voler concedere, rappresenterebbero asseriti profitti di reati ormai prescritti e, quindi, non confiscabili c sotto un profilo quantitativo, atteso che, a fronte di ipotetiche retrocessioni avvenute in favore del B. per poco più di tre milioni di Euro, il sequestro è stato disposto per beni del valore di circa 18 milioni di Euro con ciò violando anche il principio di proporzionalità ed adeguatezza delle misure cautelari secondo il quale il sequestro non può mai eccedere l'ammontare complessivo del valore del prezzo o del profitto. Il tribunale, sul punto, aveva giustificato la suddetta eccessività sostenendo che il danno era indeterminato, ma non aveva considerato che, ai fini dell'applicazione della misura, può essere preso in considerazione solo il profitto conseguito dall'indagato e non il danno cagionato alla Banca MPS per il quale l'ordinamento ha previsto autonome misure. 2.5. violazione dell'articolo 191 cod. proc. penumero per avere il tribunale confermato il decreto di sequestro sulla base di atti di indagine inutilizzabili, nonostante la difesa, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, si fosse opposta. La difesa, infatti, sostiene che all'udienza del 14/11/2013, il Pubblico Ministero produsse un'annotazione di protocollo 1468 del 11/11/2013 relativa alla documentazione bancaria acquisita alla procedura San Marino , documentazione non utilizzabile essendo stato acquisito tramite rogatoria e riguardante soggetti diversi dall'indagato e per il quale non poteva essere fatto valere neppure il principio solidaristico applicabile solo al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Diritto 1. violazione dell'articolo 324/6 cod. proc. penumero la censura è infondata per le ragioni di seguito indicate. Da un controllo degli atti processuali è emerso quanto segue il B. aveva eletto domicilio presso lo studio dell'avv.to Filippo Dinacci il cui numero di fax, riportato nell'intestazione dell'istanza di riesame, era 06/324360 la notifica fu tentata a mezzo fax sennonché, vi è un'annotazione del funzionario giudiziario che, prima, attesta che il suddetto numero di fax è errato, poi che il numero effettivo, reale era 06/3243605 ed, infine, che, anche a quest'ultimo numero, “non si riesce ad inviare il fax” risultando, in effetti, sempre occupato. Orbene, sul punto, va ricordato che questa Suprema Corte ha costantemente affermato che “il difensore che abbia accettato il mandato fiduciario deve osservare la necessaria diligenza per consentire la notificazione degli avvisi per i quali la legge preveda l'urgenza, apprestando a tal fine presso il recapito dello studio i mezzi tecnici idonei alla ricezione di tali avvisi e preoccupandosi di garantire l'accesso agli stessi mezzi Cass. sez. II numero 2233 del 4/12/2013, RIV. 258287 id. sez. III numero 21401 del 15/2/2005, RIV. 231978 id. sez. IV numero 16369 del 17/12/2007, RIV. 239532 in quest'ultima decisione, la Suprema Corte ha ritenuto legittimo l'abbandono della procedura di notificazione a mezzo telefono dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale nel procedimento di riesame a causa dell'impossibilità di contattare l'utenza del difensore risultata costantemente occupata . È stato, ancor più esattamente, precisato che il difensore ha l'obbligo di assicurare con la necessaria diligenza la ricevibilità delle notifiche presso il domicilio eletto o dichiarato, in costanza di mandato difensivo. Ne consegue che la notifica si intende egualmente effettuata qualora il compito dell'ufficiale notificatore sia reso particolarmente difficoltoso per negligenza del professionista Cass. sez. IV numero 21734 dell'11 marzo 2004, RIV. 228581 negligenza del difensore che ben può consistere nel non consentire la notifica dell'avviso dell'udienza del riesame a mezzo telefono risultato costantemente occupato così Cass. sez. V, 19/3/2009 numero 30573, RIV. 244474 . Deve, pertanto, ribadirsi il seguente principio di diritto in tema di esame di misure cautelari personali e/o reali, il dovere di notificare al difensore di fiducia l'avviso di fissazione dell'udienza camerale deve ritenersi assolto - stante l'urgenza conseguente alla ristrettezza e alla perentorietà dei termini stabiliti dal legislatore - quando siano tempestivamente compiuti gli atti idonei alla notificazione e tuttavia questa non si sia perfezionata a causa della condotta negligente o incurante del difensore di fiducia sul quale incombe l'onere di rendere attuabile la ricezione degli avvisi urgenti inerenti al procedimento incidentale da lui stesso proposto principio già peraltro enunciato in tema di riesame di misure cautelari personali da Cass. sez. VI, numero 2669 dell'8/7/1999, RIV. 214531 . Applicando i suesposti principi al caso in esame, non vi è dubbio che, nella specie, la notifica al domicilio eletto deve intendersi egualmente effettuata non essendosi essa perfezionata esclusivamente per la condotta incurante e negligente del difensore che dapprima ha lasciato che sulla intestazione della istanza di riesame fosse riportato un numero di fax inesistente mancante dell'ultima cifra e, poi - dopo che il numero era stato diligentemente ricercato e individuato dal funzionario di cancelleria - non ha lasciato libera l'utenza telefonica, non trovata connessa, diventando, così, irraggiungibile v. attestazioni di cancelleria in atti . Per mera completezza, va osservato che, al secondo difensore avv. Cipriani, l'avviso della data di udienza innanzi al Tribunale, è stato ritualmente notificato, a mezzo fax, al numero, risultante dalla intestazione della istanza di riesame, la cui linea telefonica è risultata libera e funzionante. 2. violazione dell'articolo 262/3 cod. proc. penumero la censura è infondata. Risulta dall'ordinanza del giudice per le indagini preliminari che, in data 04/10/2013, la Procura della Repubblica di Siena “depositava richiesta di sequestro preventivo sui medesimi valori e sulle somme di denaro già oggetto di sequestro probatorio nei confronti dei prevenuti”, somme delle quali il B. aveva chiesto la restituzione che, però, la Procura aveva negato con decreto notificato il 16/07/2013 avverso il quale l'indagato aveva proposto opposizione avanti il giudice per le indagini preliminari proprio per l'udienza del 04/07/2013. Il giudice per le indagini preliminari ritenne la richiesta del Pubblico Ministero andasse “interpretata quale richiesta di conversione del sequestro probatorio disposto nel febbraio e nel marzo 2013 dal Pubblico Ministero in sequestro preventivo ai sensi dell'articolo 262/2 cod. proc. penumero conformemente a quanto indicato nell'istanza del Pubblico Ministero a pag. 5 anche ai fini di paralizzare la domanda di restituzione dei beni in sequestro avanzata dalla difesa di B.G. con l'iniziativa sopra richiamata”. Alla stregua dei fatti così come indicati dal giudice per le indagini preliminari nell'ordinanza del 28/10/2010, la motivazione del tribunale - che ha respinto la medesima eccezione - osservando che “[ ] il giudice per le indagini preliminari non ha proceduto d'ufficio, bensì su impulso della Procura, rispondendo ad una richiesta di sequestro preventivo [ ]”, non si presta ad alcuna censura. Ed infatti, ciò che processualmente rileva è che a vi fu una espressa richiesta del Pubblico Ministero al giudice per le indagini preliminari di disporre il sequestro preventivo sulle somme fino ad allora sottoposte a sequestro probatorio b il giudice per le indagini preliminari, ordinò il sequestro preventivo provvedendo ai sensi dell'articolo 321 cod. proc. penumero , così come espressamente previsto dall'articolo 262/3 cod. proc. penumero 3. carenza del fumus DELICTI anche la suddetta doglianza è infondata. In punto di diritto, è ben noto che, secondo la più recente e condivisibile giurisprudenza di questa Corte di legittimità, “nel sequestro preventivo la verifica del giudice del riesame, ancorché non debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, deve, tuttavia, accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato pertanto, ai fini dell'individuazione del fumus commissi delicti, non è sufficiente la mera postulazione dell'esistenza del reato, da parte del pubblico ministero, in quanto il giudice del riesame nella motivazione dell'ordinanza deve rappresentare in modo puntuale e coerente le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti e dimostrare la congruenza dell'ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale sottoposta al suo esame” ex plurimis Cass. 15448/2012 Rv. 253508 Cass. 45591/2013 Rv. 257816. Orbene, ove la pur sintetica motivazione addotta dal tribunale pag. 2 , la si legga in uno con il decreto emesso dal giudice per le indagini preliminari, è facile concludere per l'infondatezza della doglianza in quanto dalla lettura congiunta dei due provvedimenti, si evince che gli indizi relazione della Guardia di Finanza Polizia Tributaria di Roma del 26/09/2013 consulenze tecniche del Dott. M. ispezione di vigilanza della Banca d'Italia relazione Consob accertamenti bancari sono numerosi e convergenti ed indicano, secondo il corretto giudizio espresso all'unisono da entrambi i giudici, l'esistenza “di un sodalizio criminoso strutturato e organizzato con adeguati supporti transazionali, che, da un lato, poteva contare sulla rilevantissima disponibilità finanziaria movimentate dall'Area Finanza del colosso bancario MPS, per alimentare la realizzazione di una serie continua di operazioni di trading, muovendo anche somme imponenti di denaro, le quali solo apparentemente costituivano espressione dell'attività istituzionale di quella diramazione dell'istituto, ma che in realtà erano dirette, in accordo con il broker, alla realizzazione di anomali e sproporzionati margini di profitto per quest'ultimo dall'altro lato ricorreva la struttura organizzativa del broker il quale, avvalendosi delle proprie articolazioni dislocate anche all'estero Malta e Londra e della contestuale accensione di depositi e conti correnti off-shore Repubblica di San Marino e Repubblica di Vanuatu , non solo si occupava di dare puntuale esecuzione agli ordini di trading provenienti dall'Area Finanza MPS, ma in realtà lucrava profitti ingiusti in quanto artificiosamente realizzati per tipo e per numero di operazioni per quantità e per valore degli ordini, per modalità e per entità di remunerazione al contempo retrocedendo ai funzionari di MPS, che a loro volta si erano dotati di conti off-shore o comunque avevano costituito ulteriori compagini ad essi riconducibili. imponenti somme di denaro”. A sua volta, il Tribunale poi, a pag. 3 e 4 del provvedimento impugnato, aderendo all'opinione del giudice per le indagini preliminari, ha confermato l'esistenza degli indizi in ordine sia alla struttura del sodalizio criminale articolo 416 cod. penumero che agli artifizi e raggiri articolo 640 cod. penumero concludendo che “tutto ciò, sino ad ora, non ha trovato alcuna ragionevole spiegazione diversa dalle ipotesi criminose prospettate dall'accusa” pag. 2 . Alla stato degli atti, quindi, e, ai fini della validità del sequestro, deve ritenersi che entrambi i giudici di merito si siano adeguati alla citata giurisprudenza di questa Corte, avendo non solo evidenziato un amplissimo compendio probatorio ma anche chiarito le ragioni per le quali quegli indizi avessero una adeguata valenza relativamente ai contestati reati di associazione per delinquere e truffa. La motivazione, sotto questo profilo, quindi, non può dirsi né omessa né apparente e, pertanto, non è ipotizzabile alcuna violazione di legge, unico motivo deducibile in sede di legittimità ex articolo 325 cod. proc. penumero . 4. carenza del periculum in mora anche la suddetta doglianza è infondata per le ragioni di seguito indicate. In punto di fatto, va premesso che, come si desume a chiare lettere dall'ordinanza di sequestro pronunciata dal giudice per le indagini preliminari, il sequestro fu disposto ex articolo 321/2 cod. proc. penumero sulla suddetta somma di denaro in quanto profitto confiscabile dei reati di associazione per delinquere e truffa. Ora, è ben noto che il sequestro ai fini di confisca di cui all'articolo 321/2 cod. proc. penumero si differenzia, in quanto figura autonoma, dal sequestro di cui all'articolo 321/1 cod. proc. penumero sotto i seguenti profili a ha natura facoltativa, al contrario di quello di cui al primo comma SSUU 12878/2003 riv 223721 b non presuppone alcuna prognosi di pericolosità connessa alla libera disponibilità delle cose medesime, le quali, proprio perché confiscabili sono di per sé oggettivamente pericolose, indipendentemente dal fatto che si versi in materia di confisca facoltativa o obbligatoria Cass. 4114/1994 Rv. 200854 Cass. 1810/2000 Rv. 217682 c è sufficiente l'esistenza del nesso strumentale tra la res e la perpetrazione del reato, non essendo necessario che la cosa sia anche strutturalmente funzionale alla commissione del reato nel senso che debba essere specificatamente predisposta, fin dall'origine o per successiva modifica, per l'azione criminosa. Tale ulteriore connotazione, in quanto attinente al grado di pericolosità della cosa, sarà valutata dal giudice del merito nel momento in cui, pronunciata la condanna, dovrà decidere se esercitare o meno il potere discrezionale di disporre la misura di sicurezza Cass. 3334/1996 Rv. 206885 Cass. 34088/2003 rv. 226687 Cass. 13298/2004 rv. 227886 Cass. 24756/2007 rv. 236973 Cass. 11603/2012 rv. 252496 Cass. 13049/2013 rv. 254881 d per stabilire quale sia l'oggetto della confisca, occorre far riferimento all'articolo 240/1-2 cod. penumero che individua appunto, le cose confiscabili. Questa breve premessa su notorie nozioni, consente, quindi, di affermare che, nel presente procedimento, vertendosi in un caso di sequestro facoltativo ex articolo 321/2 cod. proc. penumero , occorre semplicemente verificare a la sussistenza del fumus delicti b che le cose sottoposte a sequestro siano confiscabili c che esista un nesso strumentale tra la res e la perpetrazione del reato, non essendo necessario che la cosa sia anche pericolosa. Del fumus delicti si è già detto nel p. precedente. Quanto agli altri requisiti, va osservato quanto segue. Indubbiamente, il Tribunale è incorso in quello che si può chiamare un eccesso motivazionale avendo, peraltro in modo confuso ed improprio, a fronte di una precisa ed inequivoca ordinanza genetica, parlato anche di prezzo del reato sul punto, quindi, le censure dedotte dal ricorrente appaiono fondate. Ciononostante, l'ordinanza, al netto delle suddette imprecisioni, va confermata. Che le somme di denaro siano sequestrabili, non vi può essere alcun dubbio. Il ricorrente, innanzitutto, contesta che sia ipotizzabile un profitto in relazione al reato associativo. Tuttavia, come ha chiarito prima il giudice per le indagini preliminari e poi ribadito il Tribunale, la suddetta eccezione va disattesa alla stregua della giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo la quale “Il profitto del reato di associazione per delinquere, sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente articolo 11, legge 16 marzo 2006, numero 146 , è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme dei reati fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui esecuzione è agevolata dall'esistenza di una stabile struttura organizzata e dal comune progetto delinquenziale” Cass. 5869/2011 riv 249537. Indiscutibile, poi, è la confiscabilità del profitto del reato di truffa. Quanto, infine, al nesso di pertinenzialità, il giudice per le indagini preliminari, ha ampiamente spiegato, nell'ultima pagina dell'ordinanza, le ragioni per le quali le somme di denaro sequestrate fossero in rapporto di pertinenzialità con i reati commessi e tale motivazione è stata fatta propria dal Tribunale che ha rafforzato il concetto osservando che l'enorme disponibilità di denaro trovata in possesso del B. non poteva che essere il frutto dei reati contestati in quanto erano “incongrue rispetto alla pur elevata retribuzione percepita in MPS”. In questa sede, il ricorrente ha dedotto, sotto il profilo della pertinenzialità, le censure illustrate supra nella presente parte narrativa. Sennonché, si deve replicare che il giudice per le indagini preliminari e, poi, lo stesso Tribunale nell'ultima pagina dell'ordinanza , dopo aver preso in esame i suddetti profili, ha osservato che i risultati del programma delinquenziale “sono ancora in corso di definitivo accertamento di ben maggiore portata e consistenza se solo si considera che i suddetti margini di utile sono riferibili ad operazioni eseguite OTC over the counter [ ]”. Di conseguenza, ancora una volta, non può che rilevarsi come la motivazione non sia censurabile ex articolo 325 cod. proc. penumero , non essendo evidenziabile alcuna violazione di legge in quanto entrambi i giudici si sono posti il problema della pertinenzialità dei beni sequestrati, ed hanno dato risposta positiva al quesito adducendo una motivazione che non si può ritenere né apparente né omessa né fondata su affermazioni contrarie a principi di diritto. Si tratta, infatti, di una motivazione di merito necessità di tenere fermo il sequestro essendo ancora in corso complesse indagini finalizzate proprio a chiarire i punti ancora controversi , sulla quale la legge non ammette censura in sede di legittimità. 5. violazione dell'articolo 191 cod. proc. penumero l'ultima censura è manifestamente infondata sia perché il Tribunale non sembra che abbia utilizzato, ai fini motivazionali, l'annotazione di p.g. del 11/11/2013 in quanto il Tribunale fa riferimento agli stessi indizi indicati dal giudice per le indagini preliminari , sia perché, a tutto concedere, risulta dall'ordinanza impugnata che la suddetta annotazione fu acquisita “nulla rilevando il difensore”. 6. In conclusione, l'impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. RIGETTA il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali.