Il vigile ritratta le proprie dichiarazioni e, insieme all’elemento psicologico del reato, sparisce anche la condanna

Vista la smentita dell’imputato, l’elemento psicologico non si configura e, per questo, il reato di calunnia è da escludere.

E’ emerso dalla sentenza n. 25149/2013 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 7 giugno. Il caso. Il fatto non costituisce reato , questa la formula assolutoria, utilizzata dalla Corte di appello di Reggio Calabria, per annullare la condanna inflitta in primo grado a un vigile urbano per il reato di calunnia. L’imputato, sentito a sommarie informazioni testimoniali, aveva riferito che il comandante dei vigili urbani aveva indicato specificamente alcuni esercizi commerciali da controllare e che, fra questi ultimi, non figurava il panificio dell’assessore al commercio. Tali dichiarazioni, tuttavia, venivano ritrattate qualche mese più avanti. La calunnia è un reato istantaneo? Nel ricorso presentato per cassazione dalla persona offesa, però, viene rilevato che le modifiche apportate alle dichiarazioni da parte dell’imputato, non valevano ad escluderne la responsabilità, trattandosi di un reato istantaneo, che si consuma all’atto della sola dichiarazione accusatoria . Manca l’elemento psicologico necessario per la configurazione del reato di calunnia. La Cassazione è d’accordo con i giudici di appello, non ritenendo raggiunta la prova dell’elemento psicologico dell’ipotizzata calunnia. L’imputato, infatti, non intendeva affermare di non aver effettuato alcun tipo do accesso istituzionale presso un determinato panificio, ma semplicemente escludere di avervi effettuato dei veri e propri controlli di tipo amministrativo o igienico.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 marzo – 7 giugno 2013, n. 25149 Presidente De Roberto – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 2 febbraio 2012 la Corte d'appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza pronunciata in data 3 luglio 2008 dal Tribunale di Palmi, sezione distaccata di Cinquefrondi, che aveva dichiarato A C. responsabile del reato di calunnia commesso in data omissis , condannandolo alla pena di anno uno e mesi quattro di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile G A. , ha assolto il predetto imputato dal reato ascrittogli, perché il fatto non costituisce reato. 2. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal Giudice di primo grado, l'imputato, quale vigile urbano in servizio nel Comune di ., sentito a sommarie informazioni testimoniali in data omissis , riferiva che G A. , comandante dei vigili urbani di quel paese, aveva loro indicato specificamente gli esercizi commerciali da controllare, mettendolo per iscritto nel relativo foglio di servizio, e che a lui era stato ordinato più volte di controllare alcuni panifici omissis , mentre presso il panificio ., appartenente ad un assessore al commercio, non si era mai recato. Quest'ultimo, infatti, era stato sottoposto solo a verifiche sull'attività di panificazione, mentre un vero e proprio controllo vi era stato effettuato solo dopo che i Carabinieri lo avevano imposto all'A. . In data omissis , inoltre, l'imputato rendeva dichiarazioni parzialmente diverse, spiegando che la diversa frequenza dei controlli sui panifici era legata alla loro ubicazione il panificio ., in particolare, era collocato in una zona periferica, con strada di accesso privata difficile da raggiungere ed altresì aggiungendo, segnatamente a che il comandante non indicava il nome dell'esercizio commerciale da controllare, ma soltanto il tipo di attività b che, a seguito delle sue dichiarazioni ai Carabinieri, l'A. aveva mutato comportamento, chiedendo negli ordini di servizio il controllo generalizzato di tutti gli esercizi commerciali presenti nel paese. 2.1. Sulla base delle emergenze probatorie, ed in particolare delle risultanze offerte dalle deposizioni rese da vari testimoni, il Giudice di primo grado riteneva infondate le accuse del C. ed osservava che le modifiche da lui successivamente apportate alle proprie dichiarazioni non valevano ad escluderne la responsabilità, trattandosi di un reato istantaneo, che si consuma all'atto della sola dichiarazione accusatoria. 3. La Corte territoriale, a sua volta, ha ritenuto fondato l'atto di appello proposto dal C. , escludendo che fosse stata raggiunta la prova in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico necessario per la configurazione del delitto di calunnia. 4. Avverso la predetta sentenza della Corte d'appello calabrese ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia della parte civile, deducendo la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., per travisamento della prova, laddove l'impugnata sentenza ancora la decisione assolutoria, in un passaggio decisivo della sua motivazione, al fatto che nella sentenza di primo grado non vengono evidenziati elementi rivelatori dell'esistenza di un pregresso astio tra il C. e l'A. . Il difetto di motivazione riscontrabile nella pronuncia di primo grado circa il movente della falsa accusa non autorizza la Corte d'appello a considerare inesistente agli atti una prova invece esistente e ritualmente acquisita ossia, le dichiarazioni rese dal teste A. all'udienza dibattimentale del 22 aprile 2005, in cui si fa riferimento ad una sanzione disciplinare da lui contestata ed applicata poco tempo prima a carico dell'imputato, nonché la relativa documentazione acquisita nel corso dell'istruzione dibattimentale del giudizio di primo grado . La sentenza di assoluzione, pertanto, sarebbe fondata su un deficit informativo di tale portata da travolgere la logicità delle argomentazioni e la necessaria correlazione dell'esito decisorio con gli elementi di conoscenza acquisiti, ai quali l'impugnata sentenza avrebbe dovuto uniformarsi. 5. Con memoria depositata in data 19 febbraio 2013, il difensore di A C. ha esposto una serie di argomentazioni a sostegno della richiesta di rigetto del ricorso proposto dalla parte civile. Considerato in diritto 6. Il ricorso è infondato e va conseguentemente rigettato. 7. Occorre, preliminarmente, rilevare che il vizio di travisamento della prova - desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente - è ravvisabile solo quando l'errore sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetto doppia conforme e l'intangibilità della vantazione nel merito del risultato probatorio Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, dep. 21/06/2007, Rv. 237207 . Tuttavia, anche a seguito della modifica apportata all'art. 606, lett. e , cod. proc. pen. dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di Cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, dep. 26/06/2012, Rv. 253099 . Ne discende che, in relazione al giudizio di legittimità per travisamento di una prova decisiva acquisita al processo, l'oggetto della cognizione, nei limiti della censura dedotta, è costituito dall'esistenza di una palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, dep. 12/10/2009, Rv. 244623 . Nel caso di specie risulta evidente, dal chiaro percorso motivazionale tracciato nell'impugnata pronuncia, che la Corte d'appello non ha omesso la considerazione di un fatto decisivo ai fini dell'apprezzamento dei profili storico-fattuali della regiudicanda, ma ha escluso, con ragionamento lineare ed esente da vizi logico-giuridici, l'ipotizzata esistenza di un pregresso astio tra le parti, ponendo in risalto il fatto che nella stessa sentenza di primo grado non ne era stata indicata la presenza di elementi dimostrativi. Proprio muovendo da tale premessa, la Corte di merito ha successivamente sviluppato una serie di congrue ed esaustive argomentazioni, ritenendo non raggiunta la prova dell'elemento psicologico dell'ipotizzata calunnia sulla base di una complessiva disamina delle emergenze probatorie, ed in particolare delle dichiarazioni inizialmente rese dal C. in data OMISSIS e del contenuto delle precisazioni da lui successivamente fornite negli atti istruttori del OMISSIS , in modo da esplicitare il reale significato delle prime. Al riguardo, infatti, la Corte ha motivatamente escluso la certezza che egli intendesse attribuire al comandante della Polizia municipale la prassi di indicare nominativamente i singoli esercizi commerciali da sottoporre a controllo, e non riferirsi, invece, alla mera indicazione delle diverse categorie di attività commerciali o artigianali. Analogamente, ha ritenuto possibile ipotizzare, sotto altro profilo, che il C. non intendesse affermare di non aver effettuato alcun tipo di accesso istituzionale presso un determinato panificio - avendo egli chiarito che veniva effettuata anche presso tale esercizio una regolare verifica sull'attualità dell'attività di panificazione - ma semplicemente escludere di avervi effettuato dei veri e propri controlli di tipo amministrativo o igienico. Non sussiste, dunque, il dedotto vizio di travisamento della prova, poiché nessun connotato di decisività può attribuirsi ad un elemento di prova che la Corte distrettuale ha mostrato di apprezzare, assegnandogli tuttavia una valenza recessiva a fronte della complessiva valorizzazione di un insieme di ulteriori elementi di prova posti a fondamento, con congrua e lineare esposizione logico-argomentativa, della ritenuta esclusione della penale responsabilità dell'imputato. 8. Il ricorso, dunque, appare sostanzialmente orientato non a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dall'impugnata decisione, il cui assetto motivazionale, di contro, ha ricostruito adeguatamente la base storico-fattuale oggetto della regiudicanda, traendone le conseguenze logicamente coerenti con il quadro delle risultanze offerte dai dati processuali a disposizione. È noto, del resto, che in tema di calunnia, perché si realizzi il dolo, è necessario che colui che falsamente accusa un'altra persona di un reato abbia la certezza dell'innocenza dell'incolpato, in quanto l'elemento soggettivo può ritenersi integrato solo nel caso in cui sussista una esatta corrispondenza tra momento rappresentativo sicura conoscenza della non colpevolezza dell'accusato e momento volitivo intenzionalità dell'incolpazione [Sez. 6, n. 17992 del 02/04/2007, dep. 10/05/2007, Rv. 236448]. Nel ritenere non raggiunta la prova dell'elemento soggettivo attraverso la compiuta disamina delle concrete circostanze e modalità esecutive dell'azione Sez. 6, n. 32801 del 02/02/2012, dep. 21/08/2012, Rv. 253270 , la Corte territoriale, in definitiva, ha fatto buon governo del principii che regolano la materia, illustrando ampiamente le ragioni giustificative dell'epilogo decisorio cui è pervenuta in ordine all'esclusione degli elementi richiesti per la configurazione della contestata ipotesi delittuosa. Né, peraltro, può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere l’iter argomentativo seguito dal Giudice di merito, in modo da controllarne la completezza e l'insussistenza di vizi logici manifestamente percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza del percorso motivazionale alle acquisizioni processuali. 9. Conclusivamente, sulla base delle su esposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente ai pagamento delle spese processuali ex art. 616 c.p.p P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.