La crisi economica potrebbe aiutare l’imprenditore, ma solo per quanto riguarda l’applicazione della pena

La crisi finanziaria porta l’imprenditore a commettere il reato di bancarotta semplice e mancato versamento delle ritenute fiscali. Adesso spetta al giudice del rinvio valutare la sussistenza della continuazione tra i reati.

Questo è quanto emerge dalla sentenza numero 23905/13 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 3 giugno. La fattispecie. Il Gip, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva la richiesta, avanzata dalla difesa di un imprenditore, di riconoscimento della continuazione tra i reati giudicati in 2 sentenze di condanna, rispettivamente per omesso versamento delle ritenute operate quale sostituto di imposta articolo 10 bis d.lgs. numero 274/2000 e per bancarotta semplice. Continuazione fra i reati? Nonostante le violazioni fossero state poste in essere nell'ambito della medesima gestione imprenditoriale, il giudice non riteneva rilevabile un unico disegno criminoso per violazioni che hanno una «diversa obiettività giuridica e che potevano, al più, trovare nelle difficoltà economica dell'impresa un unico movente». L’imputato propone ricorso per cassazione, deducendo l'assenza o, comunque, la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. Il Giudice, infatti, secondo quanto sostenuto dal ricorrente, si era limitato ad affermare l'assenza di un disegno criminoso comune, senza tener conto che si era trattato pur sempre di reati che avevano offeso il patrimonio dei creditori e dello Stato. La continuazione risulterebbe quindi per tabulas e, comunque, doveva essere riconosciuta in applicazione del principio del favor rei. A confermare la tesi dell’imputato è la stessa Suprema Corte, secondo cui il Giudice – a cui è rimesso l'accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso - avrebbe dovuto analizzare in concreto le condotte illecite contestate. L'esistenza di un unico disegno criminoso tra le due fattispecie è astrattamente configurabile. Nel caso di specie, si accenna ad un «unico movente», costituito dalle difficoltà economiche dell'impresa, ma, tenuto conto che la condanna per bancarotta deriva dalla mancata richiesta di sentenza di fallimento in proprio, pur in presenza di grave dissesto già nel 2003, e la condanna per il reato di cui all'articolo 10 bis d.lgs. numero 274/2000 consegue al mancato versamento delle ritenute operate nel 2004 quale sostituto di imposta, «il Giudice avrebbe dovuto accertare se l'imprenditore, consapevole delle gravissime difficoltà in cui si dibatteva la sua impresa e avendo deciso di non farla fallire, utilizzando per i pagamenti più urgenti o, comunque, per la prosecuzione dell'attività, tutte le somme che aveva a disposizione, avesse contestualmente deciso di non versare le somme trattenute a titolo di ritenute fiscali, appunto per utilizzarle nella prosecuzione dell'attività imprenditoriale». Pertanto, visto l’annullamento con rinvio da parte della Cassazione dell’ordinanza impugnata, il Gip dovrà valutare l’eventuale esistenza, in concreto della continuazione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 18 aprile – 3 giugno 2013, numero 23905 Presidente Bardovagni – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Il Giudice per le indagini preliminari di Vicenza, in funzione di giudice dell'esecuzione, respingeva la richiesta avanzata dalla difesa di Z.G. di riconoscimento della continuazione tra i reati giudicati in due sentenze di condanna, rispettivamente per violazione dell'articolo 10 bis D. Lvo 274 del 2000 omesso versamento delle ritenute operate quale sostituto di imposta e per bancarotta semplice. Il Giudice osservava che, nonostante le due violazioni fossero state poste in essere nell'ambito della medesima gestione imprenditoriale, non era rilevabile un unico disegno criminoso per violazioni che hanno una diversa obiettività giuridica e che potevano, al più, trovare nelle difficoltà economica dell'impresa un unico movente. 2. Ricorre per cassazione G.Z., deducendo l'assenza o, comunque, la manifesta Illogicità e contraddittorietà della motivazione. Il Giudice si era limitato ad affermare l'assenza di un disegno criminoso comune quanto all'accenno alla diversa obiettività giuridica delle due violazioni, essa non impediva il riconoscimento della continuazione e il provvedimento non teneva conto che si era trattato pur sempre di reati che avevano offeso il patrimonio dei creditori e dello Stato. In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione dell'articolo 81 cod. penumero . Il Giudice aveva fatto riferimento ad un movente comune alle due violazioni in realtà lo stato di insolvenza dell'imprenditore, che aveva determinato la dichiarazione di fallimento, era già presente nel 2003 e si era manifestata con i ritardi e le omissioni dei versamenti dei pagamenti I.N.P.S., I.V.A. e delle ritenute fiscali. La condanna per bancarotta era giunta proprio perché l'imprenditore non aveva chiesto in proprio il fallimento, aggravando il proprio stato di dissesto e il mancato pagamento dei debiti fiscali costituiva, appunto, una condotta di aggravamento di tale stato. La continuazione, secondo il ricorrente, risulta per tabulas e, comunque, deve essere riconosciuta in applicazione del principio del favor rei. Il ricorrente conclude per l'annullamento dell'ordinanza impugnata. 3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso, con riferimento al mancato riconoscimento della continuazione, è fondato. La motivazione dell'ordinanza Impugnata è sostanzialmente apparente, limitandosi ad affermare il Giudice che, nei due reati giudicati nelle separate sentenze, non si ravvisa un unico disegno criminoso. L'analisi del Giudice avrebbe dovuto scendere nel concreto delle condotte illecite contestate in effetti, l'accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione Sez. 6, numero 49969 del 21/09/2012 - dep. 28/12/2012, Pappalardo, Rv. 254006 ma, appunto, questa valutazione deve essere realmente effettuata dal giudice del merito, che ne deve dare atto in motivazione. Nel caso di specie, l'ordinanza accenna ad un unico movente , costituito dalle difficoltà economiche dell'Impresa ma, tenuto conto che la condanna per bancarotta deriva dalla mancata richiesta di sentenza di fallimento in proprio, pur in presenza di grave dissesto già nel 2003, e la condanna per II reato di cui all'articolo 10 bis D. Lvo 274 del 2000 consegue al mancato versamento delle ritenute operate nel 2004 quale sostituto di Imposta, il Giudice avrebbe dovuto accertare se l'imprenditore, consapevole delle gravissime difficoltà in cui si dibatteva la sua impresa e avendo deciso di non farla fallire, utilizzando per i pagamenti più urgenti o, comunque, per la prosecuzione dell'attività, tutte le somme che aveva a disposizione, avesse contestualmente deciso di non versare le somme trattenute a titolo di ritenute fiscali, appunto per utilizzarle nella prosecuzione dell'attività imprenditoriale. L'esistenza di un unico disegno criminoso tra le due fattispecie è, quindi, astrattamente configurabile e dovrà essere approfondita in concreto dal Giudice dell'esecuzione. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla continuazione e rinvia per nuovo esame al G.I.P. del Tribunale di Vicenza.